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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
La seduta comincia alle 11,55.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti della Conferenza episcopale italiana.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di libertà religiosa, l'audizione di rappresentanti della Conferenza episcopale italiana.
Innanzitutto, desidero scusarmi con i nostri ospiti per l'inizio dell'audizione odierna con circa 25 minuti di ritardo, dovuto all'esame, abbastanza complicato, del testo sulla riforma dei servizi di sicurezza, che ci ha impegnato in sede referente.
Quello di oggi è il primo di una serie di incontri, che si terranno anche nel pomeriggio e domani, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di libertà religiosa.
Prima di dare la parola ai nostri ospiti, ai quali rivolgo un saluto a nome della Commissione, invito il relatore, professor Zaccaria, ad introdurre il tema.
ROBERTO ZACCARIA. Premesso che la relazione da me presentata all'inizio di questo dibattito è a disposizione di tutti, vorrei riassumere alcune delle questioni che mi sembrano centrali per le audizioni che ci accingiamo a fare.
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Innanzitutto, va osservato che quella sulla libertà religiosa è una legge di attuazione costituzionale, che tiene, quindi, come punti fermi i principi contenuti nel testo costituzionale e ha l'obiettivo di dare loro attuazione in un'epoca certamente diversa dal 1948.
Ritengo che questo concetto dell'attuazione costituzionale sia importante perché, nel dibattito che spesso si svolge, a volte affiorano anche impostazioni che tendono a mettere in discussione alcuni di questi principi, mentre penso che la nostra impostazione debba essere quella di una legge di attuazione costituzionale. Non che dal punto di vista formale ciò abbia un particolare valore, perché si tratta di una legge ordinaria, tuttavia si tratta pur sempre di una legge ordinaria che ha un particolare significato in quanto si ricollega direttamente a questi principi.
Tale legge ha quindi il vantaggio, intervenendo dopo il 1948 - momento in cui quei principi furono posti - di poter tenere conto dei risultati raggiunti dalla giurisprudenza - soprattutto costituzionale - che, naturalmente, è abbastanza ricca su questa materia, dalla dottrina e anche dalla prassi concreta che, in questi anni, si è venuta determinando.
Tra i principi fondamentali individuati proprio dalla Corte costituzionale vi è certamente quello supremo della laicità dello Stato, richiamato in più occasioni anche dal Presidente della Repubblica (Napolitano da ultimo anche se tutti i Presidenti hanno fatto in qualche modo riferimento a questo principio da cui discende l'impostazione di tutta la legge).
La legge che ci accingiamo ad approvare ha una struttura base che risale, nel tempo, intorno agli anni Novanta. Siamo, quindi, consapevoli che prima della sua approvazione richiederà un appropriato aggiornamento e anche sulla base di ciò che ascolteremo nelle audizioni che abbiamo programmato. Si
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potrebbe valutare, forse, anche la possibilità di offrire, nei primi articoli, alcune definizioni generali, che rendano più semplice la lettura dell'intero testo. Ci rendiamo conto che, in questa materia, la stessa nozione di confessione religiosa è oggetto di discussione piuttosto ampia e si potrebbe valutare se collocare tale definizione all'inizio della legge (in realtà, nelle leggi italiane ciò non è molto frequente ma in alcune leggi recenti questa tecnica si sta introducendo). Quando si parla di ministro competente si tende a chiarire quale sia tale ministro competente e sappiamo che, nel tempo, si è alternata la competenza del Ministero della giustizia e, qualcuno, nell'ambito del dibattito ha parlato anche di una competenza da parte della Presidenza del Consiglio. In questo testo, noi abbiamo la competenza del ministro dell'interno, però, in altri casi, si potrebbe valutare se collocare tali definizioni all'inizio della legge per far poi discendere da queste le altre.
La legge, fedele all'impostazione costituzionale, non disciplina le attività della Chiesa cattolica, ma tende a dare attuazione soprattutto agli articoli 3, 8, 19 e 20 della Costituzione oltre ad altre norme costituzionali che si riferiscono al fenomeno religioso. D'altra parte, questa esclusione della Chiesa cattolica risulta proprio dall'articolo finale delle due proposte che abbiamo in questo momento alla nostra attenzione - la proposta dell'onorevole Spini e quella dell'onorevole Boato - che, in qualche modo, escludono sia la disciplina della Chiesa cattolica, che risale ad altre fonti - il Concordato, per capirci - sia la disciplina che riguarda le intese già raggiunte e stipulate.
Il fine sostanziale della legge mi sembra quello di offrire alla libertà religiosa, intesa nel senso più ampio, positivo e negativo, una disciplina coerente con il principio di eguale libertà contenuto nell'articolo 8 della Costituzione. Un trattamento
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più garantito su scala generale potrà rendere indubbiamente più agevole per il futuro il problema delle intese, che pure la Costituzione prevede.
La società alla quale guarda questa legge è una società plurale, caratterizzata da etnie, culture, religioni diverse. È naturale, quindi, che questa legge si colleghi concettualmente ad altre leggi fondamentali come quella sulla cittadinanza, sull'immigrazione, sull'asilo. Naturalmente mi riferisco a leggi nei testi vigenti o che, comunque, si ritiene di modificare. Questo discorso fa parte, secondo il mio punto di vista, di una visione generale, che considera una serie di altre leggi che, pur non essendo omogenee, hanno dei legami concettuali con quella al nostro esame. Prima di concludere mi sembra importante sottolineare che uno dei capitoli certamente più bisognosi di approfondimento è quello collegato all'insegnamento religioso e ai rapporti con i principi del nostro ordinamento, che trova, al momento, una disciplina nel solo articolo 4.
Questa è già la segnalazione di un punto che - mi pare - potrebbe essere trattato più ampiamente.
Da queste audizioni (secondo una prassi ormai consolidata, anche se breve) che stiamo svolgendo (anche se non in questo caso) in una forma plurale, o meglio contestuale all'esame, ci aspettiamo dei contributi per potere meglio definire il testo su cui lavoreremo successivamente.
PRESIDENTE. Do ora la parola a monsignor Betori.
GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Desidero, anzitutto, esprimere al presidente della Commissione affari Costituzionali, onorevole Violante, e al relatore, onorevole Zaccaria, un ringraziamento per il cortese invito rivolto alla Conferenza episcopale italiana a intervenire nell'ambito dell'indagine
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conoscitiva per l'esame in sede referente delle proposte di legge n. 36 Boato e n. 134 Spini, recanti l'identico titolo «Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi». A questo invito aderiamo volentieri, nella convinzione che il dibattito su un tema di cosi particolare rilievo e delicatezza richiede un processo di partecipazione democratica che, in un quadro di effettivo pluralismo e di corretta laicità, non può non coinvolgere le Chiese e le comunità religiose.
Desidero altresì esprimere un ringraziamento al professor Venerando Marano, ordinario di diritto ecclesiastico presso l'università di Foggia, coordinatore dell'Osservatorio giuridico-legislativo della Conferenza episcopale italiana, alla cui collaborazione devo molto dell'intervento che mi accingo a fare di fronte a voi.
Il disegno riformatore che le proposte in esame intendono realizzare deve essere valutato alla luce di alcuni principi ed esigenze che possono favorire una elaborazione condivisa.
In primo luogo, si avverte la necessità, per la Chiesa cattolica chiaramente affermata dalla dichiarazione conciliare Dignitatis humanae e dal successivo magistero - anche quest'ultimo magistero, del Santo Padre, Benedetto XVI - di assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo e pietra angolare dell'edificio dei diritti umani, fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta la società.
La garanzia del fondamentale diritto di libertà religiosa in tutte le sue dimensioni, non ultima quella propriamente istituzionale, costituisce la condizione per una pacifica convivenza e per una corretta laicità.
In secondo luogo, si sottolinea la necessità di non alterare i caratteri costitutivi del sistema costituzionale di disciplina del
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fenomeno religioso, nel quale il diritto di libertà religiosa viene formulato in modo specifico e garantito in tutte le sue manifestazioni - così come ricordava l'onorevole Zaccaria - dagli articoli 3, 8, primo comma, e 19, e la condizione della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose viene riconosciuta e disciplinata rispettivamente dagli articoli 7 e 8, commi 2 e 3.
In questo sistema, l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose di cui all'articolo 8, primo comma, non implica piena eguaglianza di trattamento ma solo una eguaglianza in quelle materie e in quei rapporti suscettibili di incidere sulla libertà delle confessioni. Al di fuori dei diritti connessi alla eguale libertà (diritto di culto, di propaganda religiosa, di organizzazione comunitaria) rimane la possibilità di discipline giuridiche differenziate, come del resto emerge chiaramente già dal confronto fra l'articolo 7, che riconosce la Chiesa cattolica come ordinamento primario, sovrano e indipendente i cui rapporti con lo Stato sono regolati in base a un rapporto pattizio di tipo internazionale, e l'articolo 8, che per le confessioni diverse dalla cattolica riconosce il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti «in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano» (comma 2) e prevede che i loro rapporti «sono regolati per legge, sulla base di Intese con le relative rappresentanze» (comma 3).
In terzo luogo, si avverte l'esigenza di non sottovalutare i problemi connessi alla diffusione anche nel nostro paese di nuovi movimenti religiosi, estranei alla tradizione giudaico-cristiana, che provocano diffuse reazioni di diffidenza e talvolta di allarme sociale. In mancanza di un sicuro criterio dogmatico idoneo a definire in modo univoco il concetto di religione e di confessione religiosa, pare opportuno riaffermare che lo Stato può intervenire legittimamente per negare il
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riconoscimento, come tali, a realtà connotate da caratteri contrastanti con qualsiasi forma di religiosità, ovvero ispirate a principi o dedite a pratiche che si pongono in contrasto con i diritti fondamentali dell'uomo e i principi fondanti della convivenza civile.
Da ultimo, si segnala la necessità di non sottovalutare le questioni legate al fenomeno della intercultura e della multietnicità. È noto che anche nel nostro paese hanno iniziato a radicarsi gruppi sociali portatori di identità diverse rispetto a quelle tradizionali, che tendono a perpetuare usi e costumi a volte confliggenti con principi e valori fondamentali per la comunità e per l'ordinamento.
Per l'esperienza italiana si tratta di una problematica molto recente, che era praticamente sconosciuta all'inizio degli anni Novanta - lo ricordava poco fa l'onorevole Zaccaria - quando lo schema originario delle proposte di legge in esame venne elaborato a chiusura della cosiddetta «stagione delle intese» e questo tema risultava ancora marginale o comunque meno avvertito quando, nel corso delle due precedenti legislature, sono stati predisposti e discussi i testi che sono poi rifluiti senza sostanziali modifiche nelle proposte oggetto del nostro dibattito.
Sarebbe poco lungimirante non tener conto di questa evoluzione, che di per sé non comporta una radicale obsolescenza delle proposte in esame né determina l'inopportunità del proposito riformatore, ma indubbiamente esige una rinnovata prudente attenzione per l'impostazione e i contenuti delle suddette proposte. L'esigenza di favorire l'integrazione dei nuovi gruppi e quindi la pacifica convivenza non deve infatti tradursi in forme di ingiustificato cedimento di fronte a dottrine e pratiche che suscitano allarme sociale e contrastano con i principi irrinunciabili della nostra civiltà giuridica.
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In base alle considerazioni svolte, alcune soluzioni adottate nelle proposte in esame appaiono sostanzialmente condivisibili. Fra queste, si può richiamare anzitutto la riaffermazione del principio secondo cui la libertà di coscienza e di religione è garantita a tutti, «in conformità alla Costituzione, alle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili dell'uomo e ai principi del diritto internazionale internazionalmente riconosciuti».
Un'analoga valutazione positiva riguarda le disposizioni finali, sia quelle che prevedono l'abrogazione della legislazione sui culti ammessi (articolo 41), sia quelle che riaffermano chiaramente la vigenza degli accordi in atto tra la Repubblica e la Santa Sede (Concordato) e tra lo Stato e talune confessioni religiose (Intese) previste dall'articolo 40.
Anche la previsione di determinazioni procedurali relative alla elaborazione e alla stipulazione delle intese, contenuta in particolare nel Capo III, risulta elemento di chiarezza e garanzia di legittimità. A questo riguardo, mi permetto di sottolineare che occorre evitare il rischio che la legge sulla libertà religiosa - originariamente ideata anche per arginare la frammentazione del quadro normativo che deriverebbe da una ingiustificata proliferazione delle intese - paradossalmente possa essere utilizzata per favorire proprio un simile esito e attraverso di esso, un indebito riconoscimento di realtà che poco o nulla hanno in comune con le confessioni religiose quali riconosciute e valorizzate nel vigente sistema costituzionale.
In realtà, nel vigente ordinamento costituzionale non è previsto alcun «diritto all'intesa», poiché l'intesa è cosa diversa dalla eguaglianza nella libertà e non può ritenersi necessitata da quest'ultima, come risulta chiaramente da una corretta lettura dei commi primo e terzo del richiamato
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articolo 8 della Costituzione. La garanzia della piena libertà è dovuta a tutti e a tutti deve esser offerto il quadro legislativo entro il quale tale libertà possa esplicarsi in modo certo e sereno; l'intesa, invece, è frutto di una valutazione correttamente discrezionale del Governo, il quale può decidere di stipulare o di non stipulare, salva sempre, poi, la decisione del Parlamento di approvare o non approvare con legge l'intesa così stipulata.
Perché la discrezionalità non divenga arbitraria occorre che lo Stato - al di là di ogni autoqualificazione da parte dei gruppi religiosi - si attenga ad alcuni parametri oggettivi e ragionevoli, fra i quali possono richiamarsi, a titolo esemplificativo, non solo il non contrasto degli statuti del gruppo che chiede l'intesa con l'ordinamento giuridico italiano, espressamente previsto dal comma 2 dell' articolo 8 della Costituzione, ma anche il rispetto dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione repubblicana e, più in generale, la non contrarietà del messaggio di cui la confessione è portatrice con i valori che esprimono l'identità profonda della nazione e ispirano il suo quadro costituzionale. Si potrà inoltre verificare la sua relazione con il quadro socio-culturale e con la tradizione storica del paese, la consistenza numerica e il radicamento territoriale, eccetera.
Nel caso in cui alcuni di questi elementi mancassero o fossero insufficienti, non verrebbe meno il diritto di una confessione o di un gruppo religioso alla libertà e la possibilità del riconoscimento della personalità giuridica civile - a ciò osterebbe soltanto il «contrasto con l'ordinamento giuridico italiano», come stabilisce il secondo comma dell'articolo 8 della Costituzione sopra richiamato. Ma, certamente, sarebbe incoerente che lo Stato apprezzasse, per dir così, in modo specifico e positivo, proprio attraverso la stipulazione di
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un'intesa, una realtà in stridente contrasto con gli indirizzi «politici», in senso alto, che esso persegue. Un eventuale intervento legislativo, pertanto, dovrebbe definire un quadro entro il quale tutti gli interessi che risultano legittimi possano trovare tutela ma allo stesso tempo assicurare che le oggettive diversità siano salvaguardate e promosse nell'ottica del bene comune. I valori del pluralismo, così come non postulano una sorta di «livellamento al basso» quale unica possibilità per garantirne il rispetto, analogamente non esigono certo un'omogeneizzazione verso il massimo di realtà troppo diverse fra loro.
In base a tali considerazioni, nell'articolo 29 sarebbe opportuno sostituire la formula «prima di avviare le procedure di intesa» con l'espressione «ove ritenga di avviare le procedure di intesa», così come correttamente previsto nel testo originario del 1990. Una valutazione positiva sembra invece da esprimere circa l'individuazione del Consiglio di Stato quale organo chiamato ad esprimere il parere circa il riconoscimento della personalità civile alla confessione religiosa o al rispettivo ente esponenziale, secondo quanto previsto dall'articolo 28, considerato che il Consiglio di Stato può contare su una valida tradizione giurisprudenziale e offre garanzie di imparzialità e di competenza necessarie nell'esame dei profili giuridicamente qualificanti la natura e l'attività della confessione dell'ente richiedente.
Altre soluzioni adottate nelle proposte in esame suscitano interrogativi e sembrano richiedere qualche ulteriore approfondimento.
Gli interrogativi riguardano in particolare il problema dell'estensibilità di alcune disposizioni contenute nelle proposte in esame alle confessioni religiose che operano in regime
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di concordato o di intese, al fine di evitare nei confronti di queste ultime disparità di trattamento in peius certamente non volute né giustificabili.
È il caso, ad esempio, della disposizione contenuta nell'articolo 22, comma 1, che prevede «intese» tra le confessioni interessate e le autorità competenti per la definizione concreta di interventi relativi a edifici religiosi, oppure della disposizione contenuta nell'articolo 23, che per gli enti delle confessioni prive di accordi o intese con lo Stato prevede la possibilità di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica degli enti da essa dipendenti «con le modalità ed i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia». Se con tale espressione piuttosto generica si intende richiamare la procedura semplificata prevista per il riconoscimento delle personalità giuridiche private dal decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000, si avrebbe per gli enti suddetti l'introduzione di una disciplina più favorevole rispetto a quella attualmente vigente per gli enti di culto della Chiesa cattolica e delle altre confessioni che hanno stipulato intese con lo Stato.
È noto infatti che, mentre il citato decreto del Presidente della Repubblica ha introdotto una sorta di automatismo nel riconoscimento della personalità giuridica, la disciplina pattizia degli enti della Chiesa cattolica e delle altre confessioni che hanno stipulato intese con lo Stato prevede invece l'intervento del ministro dell'interno, con la possibilità di chiedere il previo parere del Consiglio di Stato e la specifica verifica del requisito del fine di religione o di culto o di requisiti ulteriori richiesti per le singole categorie di enti. Questo sistema risponde ad una precisa opzione del legislatore bilaterale, ispirata a esigenze tuzioristiche che, rispetto a pur apprezzabili intenti di semplificazione
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procedurale, potrebbero risultare tuttora prevalenti anche - e direi forse soprattutto - per gli enti delle confessioni prive di intesa.
L'esigenza di ulteriori approfondimenti riguarda soprattutto la previsione dell'articolo 11, nella parte in cui afferma la possibilità di scegliere se gli articoli del codice civile riguardanti il matrimonio siano letti durante il rito o al momento della richiesta delle pubblicazioni. Questa previsione - che ha suscitato, com'è noto, un acceso dibattito, con riferimento soprattutto alla questione del matrimonio poligamico - nel nostro ordinamento non è nuova, in quanto già contenuta in alcune intese con confessioni diverse dalla cattolica e riguarda propriamente solo le modalità di un adempimento, ma non l'adempimento in sé, che sussiste e produce effetti anche se realizzato al di fuori della celebrazione religiosa. Essa inoltre si inserisce in un contesto ordinamentale in cui il matrimonio poligamico non può essere in alcun modo riconosciuto, in quanto la libertà di stato è condizione necessaria per contrarre matrimonio, ai sensi dell'articolo 86 del codice civile e l'ordinamento punisce il reato di bigamia, secondo quanto disposto dall'articolo 556 del codice penale.
Le perplessità sul punto riguardano quindi non tanto un profilo di legittimità quanto piuttosto il profilo dell'opportunità, in quanto la disposizione in esame viene oggi ad essere riferita ad una platea di soggetti confessionali ben più vasta che in passato, alcuni dei quali professano e praticano di fatto, con convivenze plurime, oppure celebrando più matrimoni religiosi, esperienze di matrimonio poligamico che sono radicalmente estranee e confliggenti col modello di matrimonio e di famiglia proprio della nostra tradizione culturale e del nostro ordinamento costituzionale e che comportano una grave violazione della dignità femminile. Il problema, che è
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reale e non deve essere sottaciuto o minimizzato per ossequio alle pretese esigenze di un malinteso multiculturalismo, non può essere ricondotto né tantomeno giustificato nell'orizzonte della libertà religiosa, ma può sorgere soprattutto a seguito di normative e provvedimenti, che, come già avvenuto in alcuni paesi europei, determinino un fenomeno di rilevanza indiretta della famiglia poligamica, sia pure circoscritta a taluni determinati effetti, soprattutto in materia di diritti sociali e di agevolazioni fiscali.
Anche sotto questo profilo, emerge con evidenza la particolare complessità e delicatezza delle questioni affidate alla responsabilità del legislatore, chiamato a garantire la libertà religiosa, nel quadro di un pieno sviluppo della persona umana e del rispetto della sua dignità.
PRESIDENTE. Ringrazio molto il monsignor Betori perché ha posto alla nostra attenzione ulteriori temi rispetto a quelli già affrontati dalla Commissione. A questo punto chiedo ai colleghi se intendano intervenire. Ovviamente il dibattito su questi temi avverrà successivamente.
MARCO BOATO. Grazie. Ringrazio anch'io il monsignor Betori e il professor Marano per l'audizione di oggi. Mi dispiace che li abbiamo fatti aspettare per terminare i lavori della Commissione. In occasione di questa audizione mi è sembrato doveroso, essendo stato membro di questa Commissione anche nel corso della precedente legislatura, rileggere l'audizione svolta dagli stessi rappresentanti della Conferenza episcopale italiana il 26 novembre del 2002. Ovviamente non tutti i membri dell'attuale Commissione erano allora presenti e in questo momento confrontare la relazione che abbiamo appena ascoltato con quanto detto all'epoca è stato per me interessante. A me sembra che l'impianto delle riflessioni - e
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a me fa piacere che sia così, perché non avrei compreso un radicale cambiamento di rotta a distanza di pochi anni - che monsignor Betori ha svolto a nome della CEI sia coerente con le analoghe riflessioni da lui esposte nel corso dell'audizione svoltasi nella precedente legislatura.
Molto opportunamente lei ha ricordato che le proposte di legge oggi in esame sono in realtà la prosecuzione in questa legislatura di un complesso di proposte legislative che risale agli inizi degli anni Novanta. Effettivamente una prima proposta di legge, come lei ha ricordato, fu elaborata dal Parlamento nel 1990, anche se non fu poi presentata. Una prima proposta di legge fu presentata formalmente dal Presidente del Consiglio Prodi nel corso della XIII legislatura e una seconda dal Presidente Berlusconi nella scorsa legislatura - pur essendo di schieramenti politici alternativi, si trattava di proposte politiche convergenti.
Ovviamente parlo a titolo personale perché essere presentatore di una proposta di legge non attribuisce nessuna particolare autorità: sarà la Commissione, infatti, a decidere. Tra l'altro, il collega, relatore, Zaccaria ha già espresso alcune valutazioni - da me condivise - al riguardo.
Credo che da parte nostra sarà opportuno - le audizioni servono proprio a questo - operare un'ulteriore ridefinizione di alcuni aspetti. Bisogna precisare meglio anche eventuali automatismi non compresi nei testi delle proposte di legge, che potrebbero però verificarsi, quasi per un'eterogenesi dei fini. Su questi ultimi lei ha già richiamato l'attenzione nella scorsa legislatura, così come in questa; mi riferisco alle sue osservazioni circa le intese previste dall'articolo 29.
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Ovviamente quando concluderemo le audizioni passeremo alla fase emendativa, ma mi pare che queste sue riflessioni siano da considerarsi condivisibili e dovranno essere in qualche modo recepite attraverso correzioni del testo.
La mia è stata più una riflessione che una domanda, ma ora le porrò una vera e propria questione con la quale concluderò il mio intervento. Lei, in questa occasione, si è soffermato sull'articolo 11; non lo aveva fatto nel 2002 perché il dibattito è esploso in questi mesi, come ella giustamente ha fatto osservare.
Vi è stato un dibattito che, francamente, ritengo pretestuoso e ridicolo; infatti, è come se l'articolo 11 della proposta di legge, che ha interessato prima Prodi, poi Berlusconi ed oggi Boato e Spini, potesse in qualche modo legittimare forme di poligamia.
Lei ha giustamente ricordato che la lettura degli articoli del codice civile in occasione del rito religioso, eseguita subito prima e non in un momento successivo dall'ufficiale di stato civile, deve verificare che non vi sia contrasto con l'ordinamento giuridico del nostro paese. Tra l'altro, lei ha anche ricordato che l'Italia non contempla alcuna forma di riconoscimento di un matrimonio poligamico.
Detto questo però lei ha sostenuto che non vi è un problema di legittimità, ma di opportunità. In seguito avremo anche altri interlocutori, d'altronde le audizioni servono proprio a questo; in ogni caso vorrei sapere da lei se si può ipotizzare una più precisa formulazione al riguardo. Per parte mia non vedo altra soluzione che quella di prevedere l'obbligo, per tutti i tipi di matrimonio religioso previsti, della lettura nel corso della celebrazione religiosa degli articoli del codice civile.
Lei però ha ricordato che anche in altri casi in passato è stata prevista questa fase differente della lettura; ad ogni
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modo, questa potrebbe rappresentare la soluzione per evitare qualunque dubbio al riguardo. Infatti, non vi può esser alcun dubbio nella lettura del testo poiché l'ufficiale di stato civile legge gli articoli del codice e, comunque, non concede il nulla osta se non sussiste lo stato di libero.
Se lei lo ritiene desidererei ulteriori osservazioni sulla questione.
ENRICO LA LOGGIA. Intanto un ringraziamento - non solo doveroso, ma opportuno - a monsignor Betori per la relazione che egli ha ritenuto di svolgere in Commissione con una serie di osservazioni, valutazioni ed evidenziazioni della necessità di un approfondimento che mi sembrano quanto meno opportune.
Mi è sembrata particolarmente efficace - credo che la cosa meriterebbe maggior attenzione da parte di tutti noi - la distinzione chiara, evidente e perfettamente in linea con il nostro ordinamento costituzionale, tra la libertà di aderire ad una confessione religiosa e l'intesa; quest'ultima è cosa ben diversa e richiede un intervento attivo o riconoscitivo di alcune caratteristiche da parte dello Stato, sia che l'iniziativa provenga dal Governo sia che provenga dal Parlamento. Tra l'altro, la formulazione dell'articolo 29 proposta dal nostro ospite ci fa giungere esattamente al cuore del problema.
Allora, in riferimento ad una corretta lettura della nostra Costituzione, la libertà religiosa è già garantita? Se sì, lo è sufficientemente? Occorre un ulteriore intervento legislativo per garantirla? Vi è già un'importante base giuridica, data dalla Carta fondamentale del nostro paese, per dare una risposta positiva a questa domanda? Ho la sensazione che su questa questione valga la pena svolgere un importante approfondimento:
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non uso l'espressione «definitivo» poiché nulla vi è di definitivo, soprattutto in riferimento all'evoluzione giuridica.
Un riconoscimento giuridico «aggiuntivo» rispetto a ciò che è già previsto nell'ordinamento costituzionale non può implicare una modificazione dello stesso ordinamento? Ciò, ritengo non sia nelle intenzioni dei presentatori della proposta e, probabilmente, non era neanche nelle intenzioni dei presentatori delle proposte precedenti. Rivolgendomi anche al relatore, professor Zaccaria, sottolineo che questo è un aspetto delicato.
In riferimento agli aspetti giuridici di questo problema, l'evoluzione costituzionale - che implica un riconoscimento giuridico ulteriore rispetto a ciò che è già previsto nella Costituzione - provoca o meno una modificazione dell'ordinamento costituzionale?
Noi stiamo tentando di procedere attraverso una proposta di legge ordinaria e il confine non è labile, ma netto. Oggi non voglio anticipare la mia opinione, ma mi limito a porre delle domande poiché riconosco l'esigenza di un ulteriore approfondimento.
Il riconoscimento, laddove fosse effettuato e laddove implicasse una modificazione dell'ordinamento costituzionale, modifica di per se stesso anche la procedura che rispecchia la sostanza dell'intendimento costituzionale proprio dei nostri padri costituenti?
Anche questo secondo interrogativo merita un approfondimento.
Vi è poi un terzo argomento estremamente delicato che emerge dalla lettura dell'articolo 11 della proposta di legge in esame riguardante il matrimonio. In che modo questo articolo è compatibile con quello della Costituzione che prevede
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l'istituto familiare, il matrimonio? Camminiamo su binari diversi, stiamo introducendo qualcosa di differente? Prevediamo la possibilità di un'intesa anche con una confessione religiosa che preveda una forma di matrimonio tra virgolette? Ciò comporta una modifica della nostra concezione del matrimonio? Ciò comporta una ulteriore modifica del nostro ordinamento civile e penale con riferimento alla bigamia e alla poligamia? Quale possibilità prevediamo immaginando che questo possa essere inserito legittimamente nel nostro ordinamento? Premesso che tutto si può decidere, visto che il Parlamento è sovrano, occorre comunque fornire risposte convincenti a queste domande.
Credo che nell'ambito del dibattito, che certamente si svolgerà, si debba sviluppare sul serio un ragionamento, anche con la consulenza di esperti che, quanto prima, saranno auditi dalla Commissione. Occorrono dunque valutazioni, osservazioni, richieste di approfondimento.
Mi permetto di concludere con una ulteriore osservazione che non mi è sembrato di cogliere nella relazione di monsignor Betori; d'altro canto, mi rendo conto che non è possibile porre la medesima attenzione su tutte le questioni. Mi riferisco, in particolare, alla discrezionalità dello Stato di procedere o meno ad una eventuale intesa.
Laddove si dovesse giungere ad una formulazione il più possibile condivisa, sarei dell'avviso di predisporre una serie di norme ancora più precise; infatti, più le norme saranno chiare, minore sarà la discrezionalità dello Stato o di chi, a nome dello Stato, dovrà assumere tali iniziative.
L'esperienza stratificata in tanti anni di vita parlamentare e anche amministrativa mi ha insegnato che più vi è discrezionalità in chi ha il potere di decidere, meno probabilità ci sono che venga compiuto un atto che sia universalmente
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riconoscibile come rispondente ad un principio. Tante sono le sfaccettature che possono essere prese in considerazione e le diverse e variegate realtà che possono essere prese come punto di riferimento: dal caso singolo, che fornisce anche un forte impatto dal punto di vista emotivo, ad una fattispecie ampia che riguarda una grande comunità di persone. Più le regole sono precise più vi è certezza del diritto, meno le regole sono precise minore sarà la probabilità che vi sia certezza del diritto.
Ciò mi incoraggia a propendere per una maggiore specificità e rigore delle regole, visto che la scelta discrezionale può essere anche oggetto di singole e diverse trattative che, certamente, non corrisponderebbero neanche allo spirito della proposta di legge in esame.
Questi sono tutti argomenti che sto evidenziando affinché, rispondendo agli stessi, monsignor Betori ci possa fornire una ulteriore specificazione del suo pensiero.
Da ultimo, mi riferisco al comma 5, dell'articolo 11, secondo il quale all'articolo 83 del codice civile le parole: «dei culti ammessi nello Stato», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «delle confessioni religiose aventi personalità giuridica». In questo caso, con tutta la buona volontà, non mi sento di escludere che proprio ciò possa incidere sul nostro ordinamento costituzionale. Infatti, non si tratta di una modifica da niente rispetto all'impostazione fornita dal costituente! Si tratta di una modifica sostanziale.
Mi sono sentito in dovere di esprimere alcuni dubbi e non valutazioni, cercando di svolgere un ragionamento molto problematico, perché ritengo che tali argomenti meritino, dapprima da parte della Commissione e successivamente dell'intero Parlamento, un approfondimento che fino a questo momento, nonostante le buone intenzioni, non vi è stato.
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Laddove sua eccellenza ritenesse di fornirmi qualche ulteriore chiarimento rispetto alla sua posizione sui temi che ho evidenziato, gliene sarei grato e, in ogni caso, è ovvio che si tratta di temi sui quali comunque dovremo svolgere valutazioni approfondite, traendone le migliori conclusioni.
PRESIDENTE. Onorevole La Loggia, se mi permette una battuta, l'audizione è di monsignor Betori!
VALDO SPINI. Signor presidente, non essendo un componente della Commissione, mi permetta di ringraziare lei, il relatore e la Commissione per avere iniziato l'esame di questi provvedimenti senza attendere la presentazione di un disegno di legge governativo; infatti, ritengo che l'aver già iniziato l'esame di tali questioni ci possa consentire di riuscire a concluderle.
Vorrei ringraziare monsignor Betori per il suo intervento di alto livello, che ho molto apprezzato. Naturalmente, ciascuno di noi ha le proprie opinioni e, probabilmente, nel confronto tra l'articolo 7 e l'articolo 8 della Costituzione, le mie opinioni sono un po' diverse dalle sue. Tuttavia, ho apprezzato il fatto che, con molta chiarezza, monsignor Betori abbia considerato positiva la finalità del provvedimento e l'eliminazione della legge sui culti ammessi. Questo è importante e significativo anche perché la legge sui culti ammessi era la conseguenza del Concordato del 1929 e, la conseguenza ovvia della revisione del Concordato, effettuata nel 1984, è considerare superata la legislazione nel dei culti ammessi. Devo anche dire che questo mi serve indirettamente per rispondere all'onorevole La Loggia perché i culti ammessi non sono nella nostra Costituzione, non sono nell'attuale Costituzione e, quindi, se si intende difendere l'attuale Costituzione si usi qualche altra legge, non quella che appartiene, come è noto, ad altra stagione.
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Adesso vorrei entrare nei punti del dibattito che monsignor Betori ci ha sottoposto: egli ha correttamente riconosciuto che l'approvazione di una legge sulla libertà religiosa è un freno anche alla proliferazione indiscriminata di intese e non c'è dubbio che questo è uno degli scopi e degli effetti del provvedimento in esame. A tal proposito vorrei sapere se anch'egli non creda che, a fronte dell'articolazione del quadro di presenze religiose che si è verificato, la rapida approvazione della legge sulla libertà religiosa da parte del Parlamento sia in realtà l'unico freno a questa proliferazione; infatti, diventa molto difficile di fronte a realtà di centinaia di migliaia di persone, per non dire di più, negare sia la legge sulla libertà religiosa sia le intese. Queste sono risposte che ad un certo punto vanno date. Non ritiene che, al di là delle motivazioni tecniche, il primo freno ad una proliferazione indiscriminata di intese consista nell'approvare finalmente una legge sulla libertà religiosa?
Per quanto riguarda la sua richiesta di reintrodurre all'articolo 29 la dizione «ove ritenga di avviare le procedure di intesa», credo che oggettivamente la prassi interpretativa della vicenda finora non è andata mai nel senso di un diritto automatico alle intese. Tutte le Presidenze del consiglio che si sono succedute, di varie maggioranze, hanno o meno proceduto ad avviare trattative; quindi, credo che, tutto sommato, sia un discorso abbastanza pleonastico. Tuttavia questo tema può essere certamente oggetto di discussione e di precisazione anche se non mi sembra che si sia affermata una prassi di diritto all'intesa e, quindi, non credo ci si debba chiudere in questo senso. Le Presidenze del consiglio, le più diverse tra loro, hanno, di volta in volta, intrapreso o meno trattative e nessuno in Parlamento si è sentito per questo di pensare che venissero meno gli obblighi costituzionali. Le previsioni dell'articolo
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11 della proposta di legge in esame, concernenti la lettura degli articoli del codice civile in tema di matrimonio - ringrazio di aver precisato che non c'era nessuna intenzione di introdurre la poligamia da parte di chi ha proposto nel tempo queste leggi - danno la possibilità - tra l'altro è un articolo introdotto dal Governo Berlusconi - di scegliere di pronunciare gli articoli del codice civile o durante la celebrazione religiosa o al momento della concessione del nulla osta; anzi, è noto che l'ufficiale di Stato civile che concede il nulla osta dovrebbe attestare di aver letto ai nubendi gli articoli del codice civile riguardanti il matrimonio. A tal proposito volevo farle alcune domande: lei crede che la scelta nella letteratura degli articoli del codice civile per le intese oggi in essere debba continuare in questo modo o ritiene che tale prassi debba essere cancellata anche per quelle in vigore?
È noto che in Italia ci siano matrimoni musulmani e che, in assenza di una legislazione, il matrimonio venga celebrato nei luoghi di culto annessi alle ambasciate dei paesi a maggioranza musulmana e che di conseguenza ai nubendi venga letto il codice civile dei paesi di provenienza che a volte è più avanzato nei confronti della donna e dei figli, a volte meno. Le cronache dei giornali sono piene dei problemi che nascono quando questi matrimoni vanno in crisi; quindi non è, tutto sommato, nell'interesse dei diritti civili della donna e dei figli rendere il più possibile accessibile il matrimonio secondo il codice civile italiano? Se ritiriamo questa disponibilità non lo rendiamo di fatto meno accessibile?
Ora, se mi è permesso dal presidente della Commissione, vorrei fare una piccola notazione su quanto si domandava l'onorevole La Loggia: è veramente necessaria una legge o possiamo tenerci la Costituzione così com'è? In questo caso, avendo tempo, si potrebbe portare una numerosa casistica che
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spiega perché questa legge sia necessaria. A tal proposito porto alcuni esempi: c'è il caso del sindaco che, pensando di fare bene, requisisce un luogo di culto pentecostale perché pensa di averne bisogno per fini pubblici e perché questo luogo di culto non è tutelato; alle numerose multe che qualche vigile urbano infligge quando qualcuno lascia dei fogli informativi fuori i luoghi di culto per rendere noto ciò che avviene nella comunità; alle ammende che vengono inflitte quando qualcuno distribuisce manifesti religiosi assolutamente innoqui che però vengono multati perché non confacenti alla legge. Tutti questi esempi non sono riferiti a monsignor Betori, ma all'onorevole La Loggia; infatti, credo che la casistica sulla necessità di questa legge sarebbe amplissima, ma soprattutto li riconduco all'affermazione di monsignor Betori: la legge sui culti ammessi è una legge che non ci può più soddisfare e che quindi va abrogata.
Infine, monsignor Betori ha detto che è bene che il Consiglio di Stato intervenga. So che vi sono giuristi che, in nome di principi liberali, pensano che invece ciò non sia bene, che sia troppo discrezionale; però, io credo che questa procedura - Ministero dell'interno e Consiglio di Stato - possa venire incontro a quei timori che vi possano essere nelle popolazioni e, quindi mi sento di condividere questo aspetto.
Terminando il mio intervento, sottolineo l'importanza di quello che è avvenuto oggi o che è stato ripetuto oggi e cioè che proprio da parte delle chiese che detengono tutela - o ex articolo 7 o ex l'articolo 8 - venga un contributo e un concorso per la definizione di questo tema; infatti, credo che questo sia un elemento importante per la pace religiosa. Penso, inoltre, che la riaffermazione fatta da Papa Benedetto XVI nel recente viaggio in Turchia riguardo all'importanza della libertà religiosa renda il nostro paese particolarmente responsabile nel
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dimostrare agli altri paesi di essere in grado di far approvare una legge conforme alla Costituzione in materia di libertà religiosa.
MAURIZIO GASPARRI. Intervengo brevemente per ringraziare monsignor Betori per le considerazioni fatte ed esprimere la necessità - per la Commissione - di riflettere attentamente su quelli che possono essere gli sviluppi e le implicazioni di una legge che di fatto su questa materia si discute da tempo ma poi non vede la luce perché tocca aspetti molto complessi.
Vorrei ringraziare monsignor Betori soprattutto perché ha richiamato le previsioni presenti nella parte finale del provvedimento con molta misura, ma anche con chiarezza, evidenziando tutte le implicazioni che possono scaturire dal multiculturalismo che da un punto di vista astratto può esser un arricchimento per la nazione, ma per altri aspetti comporta impatti, difficoltà e problematiche che tutti riscontriamo giorno dopo il giorno. Nello stesso senso sembra sia stato prezioso il rischiamo all'aspetto della famiglia, il riferimento ai rischi della poligamia anche in riferimento alle norme laiche vigenti in Italia. Credo che questo sia un richiamo rivolto anche a me come legislatore, a prescindere ovviamente dalle convinzioni religiose che ciascuno di noi esprime liberamente, perché ci sono aspetti di carattere civilistico e di ordine nella nostra società che possono essere scalfiti da una legislazione che apra spazi di ambiguità.
Tra i testi che sono attualmente in discussione ci sono molte questioni che possono causare notevoli problemi e, quindi, credo che sarà opportuno, anche sulla base delle considerazioni, non solo della Conferenza episcopale, ma anche con il rischiamo alle norme già vigenti nel nostro ordinamento di riflettere molto per vedere se poi da una legge
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di questa natura possano nascere più problemi di quanti non se ne possano risolvere. Questo è il dilemma di una questione così delicata e complessa e, a volte, leggendo alcuni aspetti di questo provvedimento, sembra che l'ipotesi che di problemi ne possano nascere più di quanti non se ne risolvano, possa essere un'ipotesi molto consistente.
PRESIDENTE. Ringrazio molto l'onorevole Gasparri per la brevità.
ITALO BOCCHINO. Il che per Gasparri è un'anomalia!
PRESIDENTE. Vorremmo che avvenisse più spesso...
FRANCO RUSSO. Presidente, mi atterrò al suo invito implicito di tenere conto che siamo in sede di audizione e, dunque, i deputati e le deputate sono chiamati più ad ascoltare che ad intervenire, visto che avremo ulteriori occasioni di discutere in Commissione. Detto questo, farò una premessa e due domande.
La premessa è anche una domanda che rivolgo a monsignor Betori, che ringrazio per la sua ampia ed approfondita relazione, e riguarda la laicità. Leggendo, come gli altri membri di questa Commissione, i documenti di Papa Benedetto XVI e dei suoi predecessori, noto che nella cultura della Chiesa cattolica vi è una laicità considerata buona ed una non buona. La laicità buona sarebbe quella fondata sul diritto naturale interpretato legittimamente come opinione da parte della Chiesa cattolica. Le domando, monsignor Betori, se non ritenga, invece, che in uno Stato costituzionale il fondamento della laicità sia da ricercare nei valori costituzionali: si tratta di un punto, a mio avviso, particolarmente importante anche per la legge sulla libertà religiosa. Come va intesa, a suo avviso,
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la laicità? Vi sarebbe un fondamento ultracostituzionale, oppure i valori naturali sono stati assunti ormai storicamente dalle Carte costituzionali, in particolare dalla nostra Carta costituzionale?
Vengo alla seconda domanda. Al di là delle valutazioni, che non faccio in questa sede, su alcune sue accentuazioni di natura culturale - assolutamente legittime, per questo non dico nulla -, mi ha particolarmente colpito la sua affermazione secondo cui bisogna fare perno sui diritti della persona. A questo tema siamo tutti molto interessati perché, quando si parla di comunità religiose, il diritto dell'individuo e il diritto della comunità molto spesso possono entrare in contrasto. La Chiesa cattolica ed il cristianesimo hanno subito la grande riforma del Cinquecento su tale questione, cioè su chi interpreta la legge, la parola scritta. Ritiene che nella nostra legge - e si tratta di una delle proposte che avevo fatto al relatore - dobbiamo fare molto perno sul diritto della persona a poter esercitare, esplicitare, esprimere le proprie credenze religiose? Ovviamente, non bisogna mai escludere i diritti all'espressione pubblica e comunitaria del sentimento religioso: questo è contenuto nella nostra Carta costituzionale. Come bilancerebbe il rapporto tra il diritto della persona ed il diritto della comunità religiosa? Ciò riguarda storicamente in maniera molto secondaria e tangenziale il cristianesimo, ma sappiamo che nelle religioni che stanno impiantandosi nell'Occidente il rapporto individuo-comunità è molto più delicato.
L'ultima questione è relativa alla personalità civile. Se ho ben capito, lei ha palesato una certa preoccupazione sulle intese (anche il Concordato) e sulla possibilità di ottenere il riconoscimento della personalità civile in maniera più semplificata con le nuove norme. Non ritiene, comunque, che il riconoscimento della personalità civile da parte delle comunità
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religiose possa essere uno strumento di immissione all'interno dell'ordinamento e della società italiani delle nuove religiosità che si vanno diffondendo nel nostro paese? In generale - e mi ricollego a quanto diceva l'onorevole Spini -, l'accesso all'ordinamento italiano non è uno strumento di garanzia dell'eguaglianza dei cittadini e delle persone che vivono nel nostro paese? La ringrazio, monsignor Betori.
FABIO GARAGNANI. Innanzitutto, ringrazio anch'io sua eccellenza, segretario generale della CEI, per la sua riflessione acuta ed attenta anche ad alcuni aspetti trascurati nell'audizione del 2002 o che, perlomeno, allora non erano balzati all'attenzione dell'opinione pubblica. Condivido tutte le sue riflessioni, ed al riguardo ritengo che questa legge nella migliore delle ipotesi sia inutile, nella peggiore sia devastante rispetto ad una situazione politico-sociale particolarmente delicata.
Sugli aspetti giuridici si è soffermato molto opportunamente il collega La Loggia, conoscitore della materia, e quindi non entro nel merito. Vorrei porre, però, alcuni problemi di fondo che ho percepito nella relazione di monsignor Betori, e vorrei rispondere anche ad un'osservazione dell'onorevole Spini in merito all'utilità o meno di questa legge. Rimane il fatto che oggi la legge in questione è vista da settori crescenti, anche se minoritari, dell'opinione pubblica come una sorta di rivendicazione delle altre confessioni religiose nei confronti dell'identità culturale cristiana del nostro paese. Piaccia o meno, è percepita come una risposta a 2 mila anni di storia del cristianesimo ed alla stipula del Concordato, come una sorta di rivendicazione: basta che ognuno di noi si muova a livello di scuola o di società e potrà percepire tale sorta di istanza. Credo che sarebbe opportuno - e vorrei sottolineare anche le sue affermazioni in merito all'ingiustificato cedimento
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a valori che ispirano l'identità profonda del paese - un riferimento di ordine generale alla tradizione culturale giudaico-cristiana che ha permeato la storia e la cultura del nostro paese. Si tratta di una sorta di proemio, di presupposto, di principio fondamentale che definisce la storia e l'identità di un popolo.
In secondo luogo - e non si tratta di fare processi alle intenzioni, in quanto è stato detto da tutti -, rispetto agli anni Novanta in Italia è cresciuto, con l'afflusso dell'immigrazione extracomunitaria, un movimento religioso profondamente estraneo alla nostra cultura ed alla nostra tradizione. In questa realtà - e mi riferisco alla religione musulmana - manca un'autorità gerarchica in grado di assumere responsabilità cogenti nei confronti dello Stato per la difesa della propria identità e idealità. In questo senso, credo che manchi nella proposta di legge un'adesione esplicita ai valori della nostra Costituzione, che deve essere riaffermata in modo molto più chiaro. Lo dico perché vengo da una regione, l'Emilia-Romagna, dove con molta generosità si concedono permessi di edificazione delle moschee senza verificare le condizioni minimali per le medesime: ad esempio, vengono concessi permessi per palestre e poi si utilizzano come moschee. Si inneggia ad atteggiamenti discriminatori quando, in realtà, si continua a condannare la presenza del quadro di Maometto all'interno della basilica di San Petronio. Anche in questo caso, credo sia necessaria una presa d'atto della situazione che il nostro paese presenta, e lo dico con tutto il rispetto per i presentatori di questa proposta di legge.
In sostanza, rischiamo che la maggioranza degli italiani, che si riconosce nella tradizione culturale, spirituale e religiosa giudaico-cristiana, diventi minoranza per un malinteso senso
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di rispetto degli altri. Io credo che occorra questa presa d'atto, che ho notato con preoccupazione, pur con un aspetto positivo, nell'intervento di monsignor Betori.
Un'altra considerazione è che un accenno all'accettazione intima e vincolante della legislazione italiana è più che mai opportuna.
Un'ulteriore domanda che volevo porre - e che non è stata ancora posta - riguarda l'articolo 12. Anche se faccio parte della Commissione cultura della Camera, sono molto preoccupato perché il primo comma dispone che nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado l'insegnamento è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità, senza distinzione di religione. Già oggi, la mancata visita del vescovo di Padova o di quello di Siena testimonia che una minoranza, nelle scuole di vario tipo, è in grado di imporre alla maggioranza non solo la pratica di una determinata religione, ma di fatto anche altri aspetti, quali ad esempio l'affissione del crocifisso.
La domanda è questa: non occorrerebbe esplicitare ulteriormente questo primo comma? Infatti, non voglio esprimermi con un paradosso, tuttavia, un domani le lezioni di italiano concernenti la Divina Commedia o i Promessi Sposi, oppure l'insegnamento di certi aspetti della storia moderna e medievale, potrebbero essere concepiti da una minoranza come un attentato alla libertà di coscienza e alla pari dignità. Siamo in presenza di numerosi casi di boicottaggio dei presepi (nonostante la richiesta della maggioranza dei genitori) e di tutta una serie di iniziative - forse non percepite nettamente, ma presenti in larga parte dei paesi - che, in nome di questi valori della Costituzione, mirano a circoscrivere l'esercizio di quella che è la religione tradizionalmente maggioritaria nel paese.
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La scuola è un terreno delicatissimo e pericoloso. Ho raccolto numerosi esempi in cui, in nome di questa uguaglianza davanti alla legge, di fatto, viene discriminato l'insegnamento multiculturale, sotto varie forme, della nostra tradizione. Su questo chiedo anche un riferimento preciso, e concludo citando un fatto che non è poi così isolato. In un comune della provincia di Bologna è stata chiesta da un genitore cattolico, in tempo di Quaresima, una tabella dietetica particolare per la propria bambina e gli è stato risposto che ciò era possibile solo per i bambini musulmani. Questo è un paradosso, ma indica altresì il rischio - e mi rivolgo anche ai colleghi di maggioranza - che potremmo correre. Di qui, l'opportunità di prevedere alcuni commi, all'interno dell'articolo 12 della Costituzione che riguarda la libertà di insegnamento, che definiscano e configurino i principi della libertà di coscienza e della pari dignità nel rispetto di una tradizione e di una cultura della maggioranza del popolo italiano che è il tessuto connettivo e identitario della storia del nostro paese.
FRANCESCO MONACO. A me preme comprendere il senso complessivo e la sostanza del punto di vista di monsignor Betori e dei nostri autorevoli amici che sono qui stamattina. Infatti, questo dovrebbe essere il senso delle audizioni, più che introdurre il dibattito, come ha provato il presidente, tuttavia con scarso successo.
Vorrei in proposito formulare tre domande molto secche, per fare un po' di ordine in generale. La prima è la seguente (e ciò anche sulla scorta di questo principio nel dibattito, che forse non avremmo dovuto neanche avviare): a suo avviso è opportuna, o addirittura necessaria, una legge generale sulla libertà religiosa? Infatti, questa a me sembra la domanda
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preliminare che - come mi pare sia avvenuto qui - viene rimessa in discussione, mentre ricordo che fino ad una o due legislature fa vi fosse un consenso più ampio.
La seconda domanda è se lei conferma un sostanziale apprezzamento per l'ispirazione e l'impianto delle proposte al nostro esame. Non mi è sfuggito, tuttavia, che in relazione a più di un punto lei ha introdotto dei caveat - se così posso dire - sulla base dell'assunto che questi testi sono figli comunque di un contesto e sono segnati da esso. Lei non si è spinto a dire che è un testo datato, ma certamente ha segnalato l'esigenza di contestualizzarlo alla luce dell'evoluzione della società italiana, nel pluralismo religioso all'interno della stessa e nelle concrete forme che ha assunto. Ha fatto più di un riferimento alle questioni più specifiche, dalla disciplina del matrimonio all'enfasi sul «non diritto» automatico alle intese. Questo mi pare sia emerso anche nell'ultima sua audizione nella scorsa legislatura; questo accento mi sembra ancor più marcato nella presente audizione.
Credo sia utile e giusto che lei ci richiami a questo, tuttavia voglio intendere meglio il senso di preoccupazione che è maturato nel tempo e, se fosse possibile, vorrei che lei lo esplicitasse meglio. Provo ad abbozzare una interpretazione di questa preoccupazione, ma le chiederei di tematizzarla, di svolgerla. Mi pare che essa si possa appuntare su due elementi: lei dice che vi è un elemento di discrezionalità in capo allo Stato ed ha precisato che non si tratta di arbitrio, ma di competenza e responsabilità di discernere e selezionare. Immagino che ciò sia stato detto sulla scorta di un'interpretazione situata dei principi e dei vincoli costituzionali.
L'altro punto su cui vedo affiorare una preoccupazione (ma vorrei fosse esplicitata circa l'evoluzione del contesto) è ciò che lei condensa nella formula «malinteso multiculturalismo».
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Come terzo ed ultimo punto, domando se si raccolgano attorno a questi due elementi le sue preoccupazioni e i caveat che ne seguono anche su questo o quel punto dell'articolato.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Monaco, per aver opportunamente chiarito il senso di questa audizione. È chiaro che, essendo questi temi anche identitari, ciascuno a volte è trascinato...
GIANPIERO D'ALIA. Io, ovviamente, risparmio ai colleghi, a lei e, in particolare, a monsignor Betori alcune considerazioni di merito, che appartengono più al confronto che avremo in Commissione ed in Assemblea su queste proposte di legge, e mi attengo allo spirito della relazione che abbiamo ascoltato. Essa, dal punto di vista tecnico - al di là delle considerazioni di carattere etico e culturale che sono, dal mio punto di vista, assolutamente condivise -, alza il livello dell'attenzione e delle responsabilità che noi abbiamo nell'affrontare un tema così delicato.
Credo che sia possibile la seguente sintesi: noi fino a oggi abbiamo avuto un percorso che disciplina il rapporto tra lo Stato e le confessioni religiose che si fonda su una graduazione di valori, di storia e di cultura nel nostro paese e che troviamo puntualmente inserito negli articoli 7 ed 8 della Costituzione. In questo contesto, abbiamo - al di là della legge sui culti ammessi che precede l'approvazione della Carta costituzionale e che è in qualche modo elemento complementare al primo Concordato - una normativa di rango costituzionale pattizia che ha disciplinato, da un lato, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica attraverso i Patti lateranensi e, dall'altro, le intese con le cosiddette confessioni religiose «minori». Ci può essere l'esigenza di un adeguamento della normativa complementare rispetto a ciò che riguarda il governo dei fenomeni
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religiosi diversi, piccoli o difficili da comprendere, ovvero grandi o comunque emersi negli ultimi anni anche nel nostro paese. Tuttavia, il pericolo che corriamo è che l'introduzione di una disciplina che non tiene conto del fatto che esiste la normativa concordataria e quella contenuta nelle intese possa costruire un sistema che genera disparità di trattamento, diseguaglianze e che, pertanto, mina in qualche modo i principi in forza dei quali l'ordinamento interviene per disciplinare la materia.
Credo che ciò sia assolutamente condivisibile sotto il profilo squisitamente tecnico e giuridico, a prescindere dalle convinzioni religiose che ciascuno di noi presenta e che sono ben note a tutti. Allora, credo sia utile porre qualche domanda più specifica sul testo, seguendo questa traccia e questo ragionamento.
In base al testo al nostro esame, ci troviamo di fronte ad una articolazione complessa. Infatti, possiamo avere confessioni o associazioni religiose (la distinzione non è chiara, per ovvie ragioni) che, pur prive di personalità giuridica, possono stipulare intese.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Se sono prive di personalità giuridica, come...
GIANPIERO D'ALIA. Chiedo scusa, ma leggo il testo, che può essere interpretato. Faccio riferimento all'articolo 28, nel quale si stabilisce (su questo vorrei chiedere un'opinione) che, se la richiesta è presentata da una confessione religiosa non avente personalità giuridica, il Presidente del Consiglio fa effettuare la verifica della conformità dello statuto secondo le procedure o, comunque, secondo lo spirito del riconoscimento della personalità giuridica; ma ciò non implica che vi sia un difetto di legittimazione della confessione o dell'associazione a
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chiedere la stipula dell'intesa, il che significa che, in base a questa proposta (lo ricordo per introdurre elementi di confronto, per meglio comprenderci sui termini delle questioni che stiamo affrontando), vi possono essere confessioni o associazioni religiose prive di personalità giuridica che chiedono di stipulare un'intesa con lo Stato.
Peraltro (per tale motivo, presidente, mi permetto di rivolgere alcune domande specifiche), con il meccanismo della cosiddetta automaticità dell'avvio della procedura di intesa, ciò può portare alla stipula di un'intesa con una associazione che, controllata sotto il profilo della conformità all'ordinamento giuridico, non sia dotata di personalità giuridica.
Vi possono essere enti, associazioni che chiedono il riconoscimento della personalità giuridica, ma che non accedono al meccanismo delle intese. Vi possono essere enti o associazioni di carattere religioso che non chiedono né il riconoscimento della personalità giuridica né la stipula di un'intesa, ma che, comunque, sotto alcuni punti di vista, sul piano dei principi sostanziali del nostro ordinamento costituzionale, hanno un legittimo diritto di ingresso nel riconoscimento della tutela dei diritti fondamentali.
In aggiunta, possiamo avere anche uno sdoppiamento, in base al testo (almeno per come lo interpreto); mi riferisco alle confessioni o alle associazioni che non hanno personalità giuridica, non stipulano intese o non chiedono di stipularle, ma le cui articolazioni (alcune articolazioni delle fondazioni e così via), attraverso il meccanismo del riconoscimento della personalità giuridica, possono accedere al complesso dei diritti e dei doveri che sono regolati all'interno dell'ordinamento giuridico civile del nostro Stato.
È evidente che ci troviamo di fronte ad una casistica, chiamiamola così, molto articolata, che non so fino a che
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punto possa rispondere all'esigenza di una semplificazione e di un reciproco riconoscimento di diritti e doveri che consenta, comunque, a chi manifesta liberamente il proprio credo religioso, nel rispetto dei principi fondamentali della nostra Costituzione e delle norme del nostro ordinamento giuridico, di poterlo fare, in un rapporto di reciproco riconoscimento da parte dell'ordinamento. Questa è la prima domanda; mi scuso se sono stato lungo, ma recupererò sulle altre.
Inoltre, pur essendo un cattolico, non so se buono o meno (Commenti), confesso la mia ignoranza su alcuni aspetti riguardanti, ad esempio, il Concordato. Il comma 3 dell'articolo 22 della proposta del collega Boato stabilisce: «Gli edifici di culto, costruiti con contributi regionali o comunali, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non sono decorsi venti anni dalla erogazione del contributo». La parte successiva, ovviamente, mi interessa poco; mi interessa capire se oggi la Chiesa cattolica usufruisca (a me non risulta) di contributi comunali di enti locali, credo anche delle regioni (credo, ma non vorrei sbagliarmi). Mi interessa capire se, con questa formulazione, non si crei un'oggettiva disparità di trattamento tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni. Ma vorrei porre anche altre domande.
In questi giorni, sui giornali, abbiamo letto alcune dichiarazioni del ministro Amato (che, in parte, condivido) su talune fonti di finanziamento di strutture di altre confessioni religiose. Il ministro dell'interno ha annunciato provvedimenti relativi ad un controllo su queste forme di finanziamento. La mia domanda specifica riguarda l'articolo 13 del provvedimento, in cui si stabilisce che le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni e di stampati relativi alla vita religiosa e le collette effettuate all'interno e all'ingresso dei rispettivi luoghi o edifici di culto avvengano liberamente. Questo è assolutamente
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condivisibile. Tuttavia, manca la parte relativa alla disciplina dei finanziamenti (tra virgolette) privati delle attività di culto, che credo sia regolata nel Concordato attraverso alcune procedure che conosciamo.
Un'altra questione riguarda l'articolo 12 ed in particolare due aspetti che sono stati oggetto di discussioni (alcune, forse, anche inutili e superflue, se mi è consentito, ma che sono patrimonio del nostro confronto) sull'insegnamento.
La prima questione riguarda le scuole religiose, parificate, convenzionate, ovvero le scuole che vengono riconosciute dallo Stato, ma che sono promosse ed organizzate dalla Chiesa cattolica. Vorrei chiederle in che modo valutate le procedure che, ad oggi, lo Stato impone attraverso la materia pattizia, al fine del riconoscimento delle scuole cattoliche, rispetto ad altre procedure seguite sempre con lo stesso metodo, ossia quello di riconoscere un interesse pubblico nell'esercizio di una funzione educativa che venga da una tradizione religiosa (cattolica o meno, in questa fase poco importa).
La seconda questione riguarda, invece, l'insegnamento religioso nelle scuole, questione ovviamente, controversa, che è stata superata. Poiché in questi giorni si parla di insegnamento del Corano nelle scuole pubbliche, vorrei comprendere la vostra opinione rispetto alla disciplina attuale del nostro ordinamento sulla trasformazione che, in questi anni, è avvenuta dell'insegnamento della religione nella scuola pubblica, in forme diverse di coinvolgimento, e quant'altro. Infatti, anche il questo caso, il rischio è che si possa avere una disparità di trattamento.
Dal nostro ordinamento scolastico abbiamo tolto l'insegnamento obbligatorio della religione cattolica. Oggi, si discute di introdurre, ancorché non in forma obbligatoria (mi auguro),
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l'insegnamento di altre religioni all'interno della scuola pubblica. Quindi, questo potrebbe essere un aspetto non secondario.
Da ultimo - chiedo scusa se mi sono dilungato troppo nella formulazione delle mie domande ed anche se sono stato un po' confusionario -, vorrei svolgere due considerazioni in ordine all'articolo 11 della proposta di legge n. 36, concernente la celebrazione del matrimonio.
In questa sede, vorrei dire che non mi preoccupa la circostanza che gli articoli del codice civile siano letti durante la celebrazione del rito o all'atto della pubblicazione. Se possibile, monsignor Betori, gradirei conoscere la sua valutazione del comma 4 dell'articolo 11 della citata proposta di legge (che, personalmente, mi preoccupa maggiormente), il quale stabilisce che il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione anche se l'ufficiale dello stato civile, che ha ricevuto l'atto, ha omesso di effettuare la trascrizione nel termine prescritto. In altri termini, tale disposizione supera gli effetti della trascrizione del matrimonio religioso: se non ricordo male - ma potrei sbagliarmi -, in passato era uno degli aspetti particolarmente controversi, perché riguardava la produzione di effetti civili di un matrimonio celebrato secondo un rito religioso. Pertanto, monsignore, vorrei conoscere la sua opinione su questa disposizione.
L'altra considerazione che intendo svolgere, sempre relativa al comma 4 dell'articolo 11 della proposta di legge n. 36, riguarda la questione del patrimonio poligamico. Anche in tal caso, è evidente che ciascuno di noi ha le proprie convinzioni, ed in questo momento dobbiamo limitarci a discutere di aspetti più squisitamente normativi o giuridici.
La domanda che le pongo, se è possibile, concerne un aspetto. Credo che non sia superabile la questione degli effetti
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civili di un matrimonio religioso celebrato sulla base di una confessione che ammetta la poligamia. Infatti, ciò diventa giuridicamente difficile, se immaginiamo di seguire tale impostazione sul piano della celebrazione del matrimonio.
Vorrei comprendere, ad esempio, se questa possa essere una causa di nullità del matrimonio. Infatti, il nostro ordinamento riconosce tutto, ad eccezione dei matrimoni poligamici (perché la Costituzione italiana riconosce e tutela i figli nati fuori dal matrimonio). Il nostro ordinamento riconosce, altresì, il matrimonio celebrato secondo il rito civile ed impone alcune regole alle confessioni religiose. Così è stato anche per la Chiesa cattolica, attraverso la delibazione delle sentenze emanate dai tribunali ecclesiastici: si tratta, in altri termini, della valutazione, da parte dell'ordinamento italiano, della conformità ai principi dello stesso ordinamento giuridico.
Non so, quindi, se sia possibile - e su questo aspetto vorrei conoscere la vostra opinione, proprio grazie alla vostra grande esperienza - prevedere una causa di nullità del matrimonio religioso, trascritto per gli effetti civili e riconosciuto dall'ordinamento, qualora sussista una riserva o un vizio che nasca dalla circostanza che non si accetta il principio del legame di coppia. Ciò perché, di fatto, tale principio viene violato con la sussistenza di più legami asseverati e riconosciuti (Commenti del deputato Incostante).
MAURIZIO TURCO. Vorrei innanzitutto ringraziare il monsignor Betori, perché credo che le sue posizioni, che non condivido, potranno essere molto utili ai fini del nostro dibattito.
In particolare, monsignor Betori, volevo ringraziarla anche per un passaggio del suo intervento, dal momento che lei ha affermato che la libertà religiosa ha dei «paletti», vale a dire che devono esservi dei parametri (io almeno li intendo come
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paletti). Lei, infatti, ha parlato di parametri oggettivi e ragionevoli: il rispetto dei diritti fondamentali (immagino quelli dettati dalle Dichiarazioni universali dell'ONU, del Consiglio d'Europa e quant'altro) e la non contrarietà al quadro costituzionale. Io direi più l'adesione al quadro costituzionale che non la non contrarietà, e tale non contrarietà la intenderei riferita non solo alle parti relative alla libertà di pensiero e di coscienza (gli articoli 7 e 8 della Costituzione), ma all'intero quadro costituzionale.
Prima di formulare la mia domanda, desidero ringraziare l'onorevole La Loggia, perché il suo ragionamento, sotto il profilo metodologico, mi convince. Ho maturato questa convinzione leggendo un libro di un vostro collaboratore, Roberto Beretta, giornalista dell'Avvenire (il quotidiano della Conferenza episcopale italiana) intitolato Chiesa padrona.
Ebbene, in quel libro - dovremmo acquisirlo agli atti di questa Commissione - è descritta la capacità di questo Stato cosiddetto repubblicano di «corrompere» - parlo di corruzione intesa come corruzione della carne - quello che dovrebbe essere il principio fondamentale della libertà religiosa degli individui e della Chiesa intesa come ecclesia. In altri termini, sembra quasi che la nostra legislazione, che dovrebbe aiutare i singoli e la comunità, di fatto impedisca questo sviluppo.
Penso si tratti di un testo fondamentale per i lavori di questa Commissione e non, invece, per entrare nel merito dell'organizzazione interna delle varie confessioni, che può avvenire fino ad un certo punto, vale a dire fino a quando non si oltrepassano quelli che monsignor Betori ha definito parametri oggettivi e ragionevoli. Fin lì, siamo tutti d'accordo, e non abbiamo non dico nessun dovere, ma nemmeno un diritto
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di ingerenza sulle convinzioni e sulle espressioni di coloro che danno vita, incarnano e rappresentano tali confessioni.
Una domanda vorrei rivolgerla, monsignor Betori. Le faccio due esempi, e li faccio anche ai miei colleghi. Se il capo della Polizia o il più influente giornalista italiano fosse «inquilino» - diciamo così - di una fondazione islamica o di una confessione religiosa - «inquilino» inteso come «ospitato» -, penso che ci solleveremo tutti quanti! Non accadrebbe, se questo (Commenti del deputato Garagnani)... Io mi solleverei! Beh, scusate, se il capo della Polizia, il giornalista più influente del paese o qualche membro di authority, che potrebbe avere alcune interferenze rispetto alla vita del paese - io sto parlando dello Stato, della Repubblica italiana...
ROBERTO ZACCARIA. Cosa vuol dire «inquilino»?
MAURIZIO TURCO. Faccio un esempio: che paga l'affitto a prezzi di favore (Commenti)...
PRESIDENTE. Che è favorito...
MAURIZIO TURCO. Esatto, che è favorito: ebbene, non accadrebbe nel senso inverso. Non accade nel senso inverso (Commenti del deputato Giovanardi)!
PRESIDENTE. Va bene, andiamo avanti! Il senso credo sia chiaro.
MAURIZIO TURCO. È registrato ciò che diciamo? Ne rispondo; ovviamente rispondo di quello che è registrato, non delle interpretazioni (Commenti)!
PRESIDENTE. Chiederemo l'indirizzo al capo della Polizia! Prego...
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MAURIZIO TURCO. Perfetto (Commenti). Ho detto «se», comunque!
ITALO BOCCHINO. Chiediamo la ricevuta d'affitto...!
MAURIZIO TURCO. Allora, scusatemi, non possiamo far finta che attraverso la... Parlo ai miei colleghi, mi scusi (Commenti del deputato Giovanardi)! Parlo ai miei colleghi (Commenti del deputato Giovanardi)!
Credo che la Conferenza episcopale italiana, lo Stato Città del Vaticano, la Santa Sede non abbiano responsabilità nel momento in cui chiedono cose che, a mio avviso, uno Stato democratico, liberale e repubblicano non dovrebbe concedere ma che noi, invece, concediamo!
I mancati controlli... guardi, non è provocatorio: tanto le voglio dimostrare la mia buona volontà che userò un termine latino, così ci capiamo, forse, solo noi due! Se qualsiasi confessione religiosa (Commenti)... Se qualsiasi confessione religiosa avesse diramato ed avesse organizzato (Commenti)... Scusate, colleghi, aspettate! Volete che vi legga quello che ha detto monsignor Tarcisio Bertone (Commenti)...? Vorrei continuare, ma di fatto vengo provocato (Commenti), perché quelle riguardano...
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, basta!
MAURIZIO TURCO. Stavo per arrivare alla domanda!
FRANCESCO MONACO. Queste sono audizioni!
ITALO BOCCHINO. Presidente, ma l'audizione degli atei non era prevista per domani?
MAURIZIO TURCO. Scusi, vorrei chiederle dei delicta graviora. Il comportamento che è stato tenuto dalla Santa Sede, nel corso di questi decenni, per quello che concerne i delicta graviora...
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PRESIDENTE. Per quello?
MAURIZIO TURCO. Sì, finisco: poi lo approfondiremo anche noi!
Se fosse stato tenuto, da qualsiasi altra confessione religiosa, un comportamento come quello che ha avuto la Santa Sede nel corso di questi decenni, vi sarebbe stata una sollevazione, o no?
PRESIDENTE. Questa è la domanda?
MAURIZIO TURCO. Sì. Questa è la domanda.
ITALO BOCCHINO. Dov'è la domanda?
MAURIZIO TURCO. Non ti preoccupare che la domanda c'è.
Il problema è la piena uguaglianza di trattamento. Capisco le sue ragioni; cerchi di capire le ragioni di uno Stato repubblicano laico e democratico che deve tutelare la libertà religiosa di ciascun cittadino e di ciascuna comunità.
ROBERTO COTA. Non mi riconosco nelle affermazioni del collega, ma ciò è quanto avviene quando si sottovalutano le elezioni.
La ringrazio, monsignore, di essere intervenuto. Siamo contrari alla proposta di legge presentata, anche se rinvio per le argomentazioni di merito alla discussione che si terrà sul provvedimento. Vorrei, invece, evidenziare alcuni aspetti ed ascoltare la sua opinione.
L'articolo 4 della proposta recita: «I genitori hanno diritto di istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, in coerenza con la propria fede religiosa o credenza, nel rispetto della loro personalità e senza pregiudizio per la
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salute dei medesimi». Rimarcare in un testo di legge questo aspetto, a fronte di religioni o sette (dato che la proposta di legge apre la via anche al riconoscimento di sette religiose, aspetto trascurato) è, a nostro avviso, preoccupante.
L'articolo 9, con riferimento all'esercizio delle attività lavorative, garantisce determinate situazioni. Ciò che preoccupa non è tanto l'aspetto della garanzia, quanto l'implicazione che ciò potrebbe avere con riferimento allo stravolgimento dell'organizzazione del lavoro e delle abitudini delle persone e con riguardo alle persone che sono di fede diversa rispetto ai credenti di fede musulmana, che potrebbero pretendere un completo stravolgimento dell'attività lavorativa ed una diversa previsione dei giorni di festa.
Un'altra considerazione riguarda l'articolo 11, da lei cautamente citato, relativo alla celebrazione del matrimonio. Vorrei richiamare alcune argomentazioni citate dai colleghi, per capire quale senso abbia prevedere specificamente nel provvedimento che si possa omettere la lettura delle disposizioni del codice civile riguardanti diritti e doveri del coniuge. Tale previsione, in combinato disposto con ciò che sappiamo, cioè con le pratiche poligamiche che alcune religioni autorizzano, può avere soltanto il senso di aprire le maglie alla poligamia.
Riteniamo pericolosa anche la disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 11, già richiamata, che si riferisce alla possibilità di trascrivere, sine die, un matrimonio per cui è stata omessa la trascrizione. In questo modo lasciamo la possibilità di creare, di fatto, uno Stato nello Stato, per cui due persone decidono di unirsi in matrimonio, si dirigono dal proprio ministro di culto, il quale (ovviamente di altre confessioni religiose) svolge una cerimonia e non trascrive il matrimonio
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e, un domani, si decide di far retroagire il matrimonio basandosi soltanto su un'attestazione che potrebbe non essere sufficientemente qualificata.
Altre perplessità riguardano l'articolo 12, in cui è scritto: «Su richiesta degli alunni e dei loro genitori le istituzioni scolastiche possono organizzare, nell'ambito delle attività di promozione culturale, sociale e civile previste dall'ordinamento scolastico, libere attività complementari relative al fenomeno religioso». Dobbiamo essere chiari. L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole è un fatto strettamente religioso oppure attiene alla necessità di fornire nozioni riguardanti valori universalmente riconosciuti come fondanti la nostra comunità? Svolgendo questo riconoscimento ho un'impostazione assolutamente laica dello Stato, ma riconosco che l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole non ha soltanto un valore strettamente religioso, bensì un valore profondamente educativo legato all'insegnamento di alcuni valori che debbono essere considerati fondanti.
Ulteriori perplessità riguardano l'articolo 24, con riferimento agli effetti tributari, per cui le confessioni religiose sono, tout court, paragonate ed equiparate ad enti ed attività aventi finalità di beneficenza o di istruzione.
Queste perplessità si inseriscono in un contesto di contrarietà e di preoccupazione, perché abbiamo il sospetto che il provvedimento in esame sia prodromico all'islamizzazione della nostra società, da un lato, e, dall'altro, rappresenti una sottovalutazione di alcuni fenomeni, quali quelli legati, ad esempio, al fenomeno delle sette religiose, che dovrebbero, invece, essere oggetto di puntuale attenzione.
KHALED FOUAD ALLAM. Ringrazio anch'io sua eccellenza per i suggerimenti e le analisi svolte in merito alla proposta di legge in esame.
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A mio avviso, vi è una forte differenza tra definire l'idea di libertà religiosa e la nozione o il concetto di libertà di religione. Si tratta di una differenza non soltanto concettuale o semantica. Se parlo di libertà di religione, è evidente che parlo anche della produzione di effetti giuridici e sociali che il concetto di libertà di religione ha all'interno di una società complessa come la nostra. Invece, l'idea stessa di formulare giuridicamente la nozione di libertà religiosa è ben diversa, dato che ci si mette nel paradigma dello Stato: sono io, come un direttore d'orchestra, a dare il la, per così dire, di fronte alla complessità di una società destinata a diventare sempre più multietnica, multiculturale, e di fronte ad un enorme problema politico e sociale, che non è soltanto l'emergenza del fenomeno islamico e delle sue derive terroristiche.
Io, come uomo politico, di fronte ad una società multiculturale e multietnica, devo pormi la problematica della coesione socio-democratica e di come una democrazia plurale definisce il suo vettore portante, a partire dalla necessità di creare e definire una società coesa. Non è facile. Non è facile proprio con riferimento al trattamento stesso del fenomeno religioso.
Per tale motivo, è più importante parlare di libertà religiosa piuttosto che di libertà di religione, perché è evidente che - lo vogliamo o no - non vi sono simmetrie tra le religioni, avendo delle storie diverse, dei paradigmi e dei fondamenti diversi, delle strutture portanti diverse.
Di fronte al disincanto multiculturale, come lei ha sottolineato indirettamente, parlando di malinteso multiculturale (al riguardo concordo pienamente con lui), credo che un fenomeno religioso di per sé non sia immutabile. Il compito del legislatore e della politica è quello di attirare ed integrare il fenomeno religioso di fronte a situazioni e contesti storici, sociali, culturali e religiosi diversi.
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Io, che sono musulmano di cultura e di origine, posso affermare che l'Islam che ha conosciuto mio nonno o i miei genitori è diverso dall'Islam di oggi, presentando tendenze positive e negative e ciò nell'ambito della gestione giuridica di una problematica che investe oggi con un certo allarmismo alcune questioni come quella della poligamia.
In certi paesi, il legislatore (mi riferisco ad esempio alla Turchia, alla Tunisia o al re del Marocco) non fa una cosa diversa da quello occidentale; modifica la Sharia stessa, perché la Sharia non è un «assoluto» e lo dovete capire proprio per evitare l'allarmismo relativamente alla poligamia o alla discriminazione fra donne e uomini e via seguitando. La Sharia ha bisogno di una norma che l'attui e l'incarni nella sfera spazio-temporale e ciò è necessario nel contesto di un fenomeno complesso, difficile, austero come quello dell'Islam.
Questo provvedimento è estremamente interessante, perché, in un certo senso, sbarra il campo da tutto ciò che attiene alla nozione di «intesa». Relativamente all'Islam, le politiche dell'intesa hanno finito il loro tempo, anche perché ho sempre pensato che se non vi è una chiesa in una struttura non è compito dello Stato inventarne una. Le intese, in realtà, hanno la cattiva funzione di rendere un po' iconico l'approccio al fenomeno religioso, mentre la libertà religiosa, invece, inscrive la dinamica religiosa all'interno di una dinamica sociale e culturale che prende atto delle necessità del cambiamento.
Vorrei capire la sua posizione di fronte alla grande questione dell'Islam e come interpreterebbe, lo dico tra virgolette, un multiculturalismo sano o positivo.
JOLE SANTELLI. Cercherò di essere veramente sintetica ed esprimere alcune considerazioni sul quadro giuridico costituzionale su cui si è espresso in premessa sua eccellenza.
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Non ho il testo della relazione resa questa mattina, ma, rileggendo quello della scorsa legislatura, che, in grande parte lo ripropone, mi sembra che una delle preoccupazioni (chiedo conferma al riguardo) sia l'aderenza reale al testo della Costituzione. In fondo, la nostra Costituzione sceglie un rapporto ben definito con le confessioni religiose e sceglie in maniera privilegiata ovviamente il sistema pattizio. Compie una scelta nel rapporto con le confessioni religiose. Questo è il mio timore e le chiedo se sbaglio o meno.
Mi sembra che nel testo in discussione vi sia un allargamento della concezione della libertà, di diritti che vengono attribuiti in via automatica, anche con riferimento a determinate confessioni. Vi è una sovrapposizione reale tra la libertà di religione del cittadino ed i diritti della religione in senso lato.
Inoltre, mentre viene mantenuta una forma abbastanza definita e stretta di rapporti a livello di intesa, al contrario mi sembra che il testo sia molto «slabbrato» per quanto riguarda un'altra serie di diritti che vengono riconosciuti anche a quelle confessioni religiose al di fuori dell'intesa. Faccio solo un esempio specifico. Il riconoscimento dell'ora di religione cattolica ha creato nel nostro paese un dibattito lunghissimo. Oggi finiamo per prevederlo in un testo di legge per tutti, senza, in realtà, sapere quali saranno le conseguenze. Quali saranno le modalità utilizzate al riguardo? Con chi discuteremo? Che tipo di religione è in discussione? Non vi è soltanto un fenomeno Islam che, forse, è stato anche preponderante nella discussione attuale, ma vi sono anche altri tipi di fenomeni di diversa natura, i cui confini con la religione sono estremamente labili.
Inoltre, nell'audizione della scorsa legislatura, eccellenza, lei aveva fatto riferimento ad un dato che mi sembra
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particolarmente interessante, ma, onestamente, non mi sembra di averlo ascoltato oggi (probabilmente mi sbaglio): penso al riconoscimento della personalità giuridica, anche con riferimento alle confessioni religiose, che, proprio per la natura stessa dell'atto amministrativo ai sensi della nostra legge attuale, può divenire automatico e ciò comporta una serie di problematiche reali, poiché, in realtà, non disponiamo di una valutazione e di un esame netto degli statuti e dei riconoscimenti della religione.
Concludo con un'osservazione in riferimento all'affermazione del collega Allam: leggendo questo testo, sembra che gli occhi del legislatore italiano siano quelli di un legislatore che ha in evidenza soprattutto il fenomeno della religione cattolica e riscrive i rapporti con le altre religioni, secondo i parametri di quest'ultima.
Rischiamo con questa legge di inserire delle maglie che possono essere di disturbo e di ostacolo per intrattenere rapporti diversi con religioni, come, per esempio, l'Islam, a cui non riusciamo a ricondurre specifiche materie.
PRESIDENTE. Colleghi, do la parola per la replica al monsignor Betori ed al professore Marano, i quali, qualora lo ritenessero opportuno, possono anche fornire delle risposte per iscritto (tra l'altro, vi è il resoconto stenografico dell'audizione e, quindi, possiamo anche avere questa opportunità).
Sono state poste questioni di grande rilievo. Vorrei fissare alcuni punti, ma molto brevemente. Mi pare che trattare in maniera uguale realtà diseguali sia un errore. Inoltre, la libertà religiosa è anche una libertà individuale: non presuppone necessariamente un riconoscimento. Quindi, sono due profili da tenere molto separati.
Una cosa è la libertà del singolo di manifestare la propria identità religiosa, un'altra cosa è quello del riconoscimento
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dell'associazione religiosa che non è un'associazione qualsiasi, ma un'associazione che ha una sua collocazione specifica nell'ordinamento giuridico.
Do ora la parola al monsignor Betori.
GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Ringrazio innanzitutto per l'attenzione con cui sono state accolte le nostre considerazioni, anche per la qualità degli interventi che si sono svolti. Non riuscirò ovviamente a rispondere a tutto, riservandomi - e ringrazio per l'opportunità - di inviare delle risposte scritte più puntuali.
Gli interventi, da un lato, si sono collocati su un livello culturale in quanto tale, sul quale potrò riferire delle opinioni e rispondere specificamente alle domande poste, e, dall'altro lato, hanno riguardato specifiche previsioni del testo attualmente in discussione, nonché altre problematiche, che esulano dal dispositivo di cui si sta discutendo e che attengono, invece, ad altri interventi legislativi che il legislatore, forse, in concomitanza ed in coerenza con questo impegno legislativo, dovrà assumere.
Rispetto a quanto chiedeva l'onorevole Boato circa il problema della obbligatorietà della lettura degli articoli del codice civile all'interno del rito, ossia se tale obbligo debba essere imposto a tutte le religioni, anche a quelle che hanno già stipulato un'intesa con lo Stato, proprio in questo caso si apprezza in modo particolare la mens del legislatore italiano, che, nella Costituzione, prevede tre categorie di rapporto tra lo Stato e la confessione religiosa: il rapporto con la confessione religiosa tradizionale, che costituisce anche l'humus culturale più visibile dell'identità stessa e della realtà del nostro paese, attraverso il Concordato; il rapporto con le altre realtà religiose, che lo Stato apprezza, per motivi storici o di altro tipo, e che possono essere titolari di un rapporto
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privilegiato con lo Stato, attraverso l'intesa; il terzo aspetto riguarda la libertà religiosa, che deve essere assicurata a tutti.
La previsione della lettura degli articoli del codice civile fuori dalla celebrazione è stata richiesta da alcune confessioni religiose, non da quella cattolica, la quale, peraltro, ha inserito tale lettura all'interno della celebrazione stessa, anche con una certa difficoltà per il celebrante. Infatti, ad un certo punto, egli deve inventarsi un ruolo da ufficiale civile della Repubblica, quale è stato anche nel momento in cui ha recepito la volontà dei contraenti (ma in questo momento si svela in maniera più significativa) e, subito dopo, passare ad un atto religioso, ossia la benedizione finale. È un andamento non molto facile, che, tuttavia, è stato bene accolto da parte cattolica come un modo attraverso il quale esprimere l'identità della celebrazione del matrimonio come un atto profondamente inserito nel sistema civile della nazione.
Pertanto, se alcune confessioni religiose hanno inteso distinguere questo momento civile, nella sua esemplarità, rispetto alla celebrazione religiosa in quanto tale, credo che ciò appartenga proprio a quel «privilegio» che l'intesa assicura a quelle confessioni religiose che lo Stato riconosce come realtà che condividono un patrimonio culturale e che, quindi, non hanno bisogno di sottolinearlo nuovamente. Di qui l'attenzione che noi dicevamo circa l'opportunità che, in genere, le altre confessioni religiose, che non diano la stessa sicurezza di condivisione di una visione del matrimonio quale quella istituita dal legislatore italiano, debbano, invece, esprimere questa adesione esplicita attraverso la lettura del codice civile all'interno della celebrazione stessa.
Questa osservazione dell'onorevole Boato, tra l'altro, ci aiuta a capire come alcuni problemi che si sono posti negli ultimi anni abbiano portato ad una certa continuità nell'esposizione
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della nostra audizione rispetto a quella di cinque anni fa e, dall'altro lato, anche a delle novità, che credo debba essere la caratteristica di tutto l'impianto legislativo. Ho riletto la legge sui culti ammessi e il regolamento conseguente e ho scoperto che molte delle questioni inserite nell'attuale impianto legislativo sono già previste nella legge sui culti ammessi. È l'espressione «culti ammessi», però, che pone un po' di difficoltà, anche a un vescovo post-conciliare. È un po' difficile pensare di dare ancora adesione ad una legge che parla di «culti ammessi» dopo la Dignitatis Humanae. D'altra parte, però, quest'attenzione all'evolversi della situazione sociale deve spingerci anche a riflettere su alcuni profili che, magari, a quel tempo, non erano ancora emersi.
Per quanto riguarda alcune delle questioni che poneva l'onorevole La Loggia circa il riconoscimento giuridico, ossia se esso implichi una modifica dell'ordinamento costituzionale, non saprei rispondere, perché non sono un costituzionalista. A me non sembra. Mi sembra, invece, che qui si tratta di interpretare la legge in modo attuativo, non in modo sostitutivo del dettato costituzionale. In questo senso, se ci sono delle articolazioni di ciò che il primo comma dell'articolo 8 riconosce come libertà religiosa, mi sembra sia opportuno, da parte del legislatore, stabilire una figura sistemica rispetto a ciò che già esiste, in altre forme, nella legislazione attuale.
Per quanto riguarda il termine «discrezionalità» circa la procedura dell'intesa, non intenderemmo utilizzarlo nel senso che il funzionario statale ha una discrezionalità nel concedere l'intesa, quanto, piuttosto, nel senso di negare la pretesa, da parte di una confessione religiosa, ad ottenere un'intesa, perché, altrimenti, cadrebbe completamente la figura dei rapporti con le confessioni religiose stabilita dalla Costituzione stessa. Verrebbe a mancare il primo comma, perché tutte le
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confessioni potrebbero chiedere l'intesa e andremmo verso una loro proliferazione, in quanto potrebbero pretenderla. Credo che il legislatore, ovviamente, dovrà stabilire dei criteri. Noi ne abbiamo indicati alcuni (il radicamento storico, eccetera), che possono essere utili a questo proposito.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Spini circa la necessità di porre un freno alla proliferazione delle intese, mi sembra di poter condividere questa idea: la promulgazione di una legge sulla libertà religiosa costituirebbe un freno alla proliferazione indebita e, tra l'altro, costituirebbe la possibilità, come accennava l'onorevole Allam, di configurare forme di libertà religiosa per quelle realtà religiose che non hanno la possibilità di stipulare intese, perché non hanno neanche un ente apicale cui lo Stato possa fare riferimento.
L'espressione «o aprire trattative» vorrebbe indicare l'urgenza di stabilire alcuni criteri, nel senso che il legislatore statale deve sapere che non è obbligato ad aprire trattative, ma deve poterle aprire se riscontra alcuni criteri che la legge può indicare quali presupposti per l'apertura di una trattativa per una intesa.
L'onorevole Gasparri sottolineava il problema della riflessione sugli sviluppi e le implicazioni del multiculturalismo, cui accennava anche in conclusione l'onorevole Allam. Noi siamo convinti che il multiculturalismo non chieda né un livellamento a zero delle identità, né una parcellizzazione di identità, l'una accanto all'altra.
Il punto di convergenza potrebbe essere costituito dal riconoscimento di alcuni valori che appartengono alla storia di questa nazione e che vengono codificati, per quanto ci consta, all'interno della Costituzione stessa. Questa condivisione dovrebbe essere richiesta a tutti, ma mi sembra che questa Commissione sia già instradata su questo cammino rispetto ai
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temi relativi alla cittadinanza e so che ci sono anche altre iniziative al riguardo da parte del Ministero dell'interno.
Ritengo che, rispetto al bilanciamento tra diritti della persona e diritti della comunità, il problema sia proprio questo: infatti, non credo ci sia un criterio a priori che possa esprimere un favore all'uno o all'altro dei due diritti. Lo scopo della legislazione è proprio quello di bilanciare i diritti della persona con quelli dell'espressione pubblica e comunitaria della credenza religiosa.
Per quanto riguarda il tema della personalità giuridica, il testo del progetto pone due problemi.
Con riferimento al primo, quello del riconoscimento della personalità alla confessione religiosa o all'ente che la rappresenta, si suggeriva, da parte nostra, di prevedere criteri che possano sostenere l'azione del Consiglio di Stato in sede di espressione del parere.
Il secondo problema è riferito agli enti dipendenti dalla confessione religiosa, agli enti di religione o di culto che fanno capo alla confessione religiosa, il cui riconoscimento, per quanto riguarda la Chiesa cattolica e le altre confessioni che hanno stipulato intese, segue un preciso percorso, che comporta la verifica, da parte del Consiglio di Stato, della finalità di culto, di religione, dell'ente stesso e, quindi, una ispezione, in qualche modo, da parte dello Stato. Invece, nell'attuale formulazione, le proposte di legge fanno riferimento al cammino più agevolato che il decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000 prevede per qualsiasi ente di carattere privatistico.
Al riguardo, si faceva notare, da parte nostra, che si avrebbe una situazione inversa, cioè che sarebbero più favoriti gli enti che non hanno stipulato un'intesa o un concordato rispetto all'ente Chiesa cattolica o alle altre confessioni religiose
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che hanno stipulato intese. Pertanto, si suggeriva che anche alle confessioni religiose che avessero un riconoscimento e che chiedessero il riconoscimento a favore dei propri enti di culto o di religione fosse esteso lo stesso itinerario di verifica delle finalità che è previsto, già ora, per gli enti cattolici o delle confessioni che hanno già stipulato intese.
Per quanto riguarda il problema del riferimento alla tradizione giudaico-cristiana, loro sanno che il tema è stato molto caro a Giovanni Paolo II ed è stato ribadito da Benedetto XVI per quanto riguarda l'identità stessa dell'Europa. Non so se sia questo il luogo idoneo per dichiararlo, ma il nostro auspicio è che anche il legislatore italiano possa esprimere un riconoscimento siffatto, in modo tale da far verificare che la tradizione giudaico-cristiana fa parte dell'insieme degli elementi costitutivi, dei valori portanti della Costituzione, sicché l'adesione alla Costituzione stessa ha il significato non di mera adesione, ma di riconoscimento di una storia ancora viva all'interno della nostra realtà comunitaria.
Con riferimento alle precise domande poste dall'onorevole Monaco, ritengo opportuna e necessaria l'approvazione di una legge sulla libertà religiosa, proprio per superare l'attuale legislazione sui culti ammessi. D'altra parte, credo che occorra fare grande attenzione alle modalità, per quanto riguarda l'evoluzione di questi ultimi tempi.
Un sostanziale apprezzamento per il testo del progetto? Direi di sì, se si ha riguardo all'impianto fondamentale. Vi è, però, la necessità di immettere all'interno di esso tutte le specificazioni che l'attuale contesto socio-culturale ci impone. Tali specificazioni sono legate, fondamentalmente, a quello che ho inteso definire, più che multiculturalismo, interculturalismo, multietnicità che appartiene alla nostra condizione.
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L'onorevole D'Alia ha fatto riferimento alla libertà di chiedere o meno il riconoscimento e l'intesa da parte delle realtà religiose. Sono d'accordo circa la necessità di assicurare una libertà religiosa di base senza costringere alcuno a chiedere il riconoscimento, né a chiederlo nella forma di un'intesa.
Non ho presente, specificamente, la normativa riguardante la concessione di contributi agli edifici di culto da parte degli enti locali. Per quanto mi risulta, con specifico riferimento alla gestione dei proventi derivanti dall'otto per mille da parte della Conferenza episcopale, il tipo di intervento finanziario che la legislazione attuale prevede a favore degli edifici di culto passa, nel caso della Chiesa cattolica, attraverso tale gestione. Pertanto, noi diamo i contributi attraverso l'otto per mille, mentre non mi risultano, al momento, altri interventi.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Ci sono, ci sono. Le regioni danno contributi.
PRESIDENTE. Ma per legge o per scelta?
MARCO BOATO. Anche per legge, presidente.
Nel duomo di Trento, che è la mia città e la mia diocesi, è in corso un grande restauro. Proprio domenica scorsa, nell'osservare la tabella esposta nel cantiere, ho appreso che i lavori di restauro, dell'importo di alcuni milioni di euro, sono stati finanziati in base ad una legge provinciale. Quindi, ci sono anche questi interventi.
PRESIDENTE. Credo che si tratti di un'altra destinazione. Comunque...
ROBERTO COTA. Bisogna vedere se sono finalizzati...
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PRESIDENTE. Si.
MARCO BOATO. La finalizzazione è quella del restauro.
PRESIDENTE. No, qui si parlava di altra destinazione.
MARCO BOATO. Questa era la domanda che era stata posta.
PRESIDENTE. Ci riferivamo ad un altro tema.
GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Credo che occorra distinguere tra restauro ed edificazione degli edifici di culto. Ritengo si tratti di problematiche diverse.
Per quanto riguarda le scuole religiose e l'insegnamento religioso nelle scuole, credo che la disciplina debba nettamente distinguere tra l'insegnamento della religione cattolica e le altre materie che costituiscono oggetto delle previsioni contenute nelle proposte. Peraltro, tali previsioni si riferiscono a diverse intese: in quelle stipulate con la confessione valdese e, se non erro, con la confessione ebraica, è prevista la possibilità, su richiesta dei genitori, di accedere ad attività complementari ad attività di promozione culturale. Credo che il legislatore debba valutare se questo sia elemento tipico di un'intesa, in quanto si riconosce alla confessione religiosa che stipula l'intesa una capacità di apporto alla globalità della convivenza che può essere espressa anche attraverso l'ingresso nell'attività scolastica. Ritengo che questo aspetto meriti una riflessione.
Per quanto riguarda, invece, l'insegnamento della religione cattolica, mi preme sottolineare come esso, nella nuova configurazione, abbia assunto una forma culturale che non ha più una funzione tipicamente religiosa, ma serve a mettere in evidenza il patrimonio culturale della nazione italiana. Il
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risultato è conseguito anche mediante programmi di insegnamento concordati con lo Stato, che prevedono, da parte dell'insegnante, l'illustrazione anche delle altre religioni e l'educazione al dialogo interreligioso.
Per quanto riguarda il libro citato dall'onorevole Turco, il dottor Beretta non è un consulente della Conferenza episcopale italiana, ma un giornalista di Avvenire, che ha una completa indipendenza dalla Conferenza episcopale italiana.
MAURIZIO TURCO. L'ho detto.
GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Circa il comportamento della Santa Sede, essa esercita sui delicta graviora una giurisdizione molto severa, che è stata resa ancor più rigorosa, proprio negli ultimi anni, dall'allora cardinale Ratzinger. Quindi, credo che non vi siano ulteriori osservazioni da fare in merito alla serietà con la quale la Santa Sede, le diocesi e, per quanto ci riguarda, la Conferenza episcopale italiana si assumono la responsabilità di esercitare la funzione giurisdizionale riguardo ai predetti delitti.
Per quanto concerne le sette - rispondo all'onorevole Cota -, si tratta di un problema che abbiamo avvertito. In occasione di una precedente audizione, abbiamo lasciato agli atti un testo scritto contenente un paragrafo dedicato proprio a tale argomento. Credo che il problema vada valutato con molta attenzione. Non basta che un qualunque soggetto si autoproclami confessione religiosa, ma deve intervenire una valutazione da parte dello Stato; in caso contrario, potremmo cadere nelle mani di enti che potrebbero creare gravi conseguenze sotto il profilo educativo (come ha sottolineato l'onorevole Cota).
Per quanto riguarda l'omissione della lettura degli articoli del codice civile, mi sono già espresso prima. Noi siamo
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contrari non tanto alla omissione, quanto al fatto di leggere gli articoli al di fuori della celebrazione del matrimonio nei casi in cui non si abbia una intesa specifica che assicuri la piena adesione della confessione religiosa ai principi della Costituzione e della legislazione italiana sul matrimonio.
Sulla questione della trascrizione civile dei matrimoni, mi sembra che il dispositivo proposto non parli di un ritardo nel trasmettere da parte del celebrante, ma da parte dell'ufficiale di stato civile che ha ricevuto. Non so se questo poi provochi dei riflessi che possono essere ulteriormente valutati.
ROBERTO ZACCARIA. Non far ricadere la responsabilità sugli sposi...
GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. In questo caso, vi è un problema di amministrazione interna allo Stato.
Per quanto riguarda l'insegnamento della religione cattolica come valore fondante della convivenza, anche nelle modalità con cui essa viene svolta attualmente, ho già manifestato, onorevole Allam, la mia idea dell'interculturalismo e della multietnicità come compresenza di valori condivisi e libertà di espressione di forme diverse da un punto di vista culturale.
Per quanto riguarda il quadro giuridico costituzionale, onorevole Santelli, direi che non si privilegia il sistema pattizio, ma si riconosce allo stesso una prerogativa per quei soggetti che lo Stato riconosce come appartenenti ad una sua storia fondamentale. Da questo punto di vista, il nostro sistema non esclude un sistema di libertà religiosa generale. Fatto salvo quello che stabilisce l'articolo 40, negli attuali dispositivi delle proposte di legge, che riconoscono il mantenimento di tutto ciò che riguarda il Concordato e le intese già stipulate, direi che questa ipotesi di legislazione che riguarda la libertà religiosa e di religione all'interno della convivenza civile sia opportuna
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proprio per non lasciare senza riferimento tutti coloro ai quali manca una intesa - volutamente o perché non riescono ad esprimere neanche una identità unica (è il caso della realtà religiosa islamica, che non ha una realtà unica che possa istituire una intesa con lo Stato) -, non lasciando indeterminato il comportamento religioso delle varie confessioni religiose.
Sulla possibilità delle confessioni religiose di rivolgersi alla scuola attraverso le ore complementari, come previsto dalla vostra proposta di legge si può riflettere sull'opportunità di riconoscerla a coloro che hanno fatto un'intesa e che, quindi, vengono riconosciuti come maggiormente significativi per la convivenza civile.
Per quanto riguarda il riconoscimento della personalità giuridica, esso non deve essere automatico. Mi sembra molto utile quello che l'onorevole Violante diceva, a commento di tutta la nostra riflessione: occorre evitare di trattare in modo eguale realtà diseguali. Credo che questo debba essere un principio fondamentale nella riflessione su questa legislazione.
VENERANDO MARANO, Direttore generale della CEI. Intervengo molto brevemente, considerato l'orario e anche la completezza delle risposte di monsignor Betori.
Per quanto riguarda la prima domanda formulata dall'onorevole Boato, terrei a sottolineare che è vero che vi è una sostanziale continuità nell'apprezzamento della Conferenza episcopale, come risulta dal raffronto sinottico fra il testo dell'audizione del 2002 e quello attuale, però, a seguito della diffusione del nostro testo di oggi, si potranno apprezzare anche degli elementi di novità, che tengono conto in particolare dell'esigenza di una rinnovata prudenza a seguito della diffusione di movimenti - altrove detti «sette» -, ovvero di fenomeni di multiculturalismo, che esigono una nuova calibratura
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e un nuovo bilanciamento di alcuni contenuti del progetto di legge in esame.
Per quanto riguarda la questione specifica della lettura degli articoli del codice civile nel corso della celebrazione del matrimonio o nel momento anteriore e gli altri profili, è chiaro che la previsione generale che tiene ferme le intese, così come il Concordato - e con questo rispondo anche ad un passaggio dell'onorevole Spini -, non fa venir meno le pattuizioni che in regime di intesa sono state già riservate ad altre confessioni. Sul problema della lettura degli articoli osservo soltanto che abbiamo cercato, distinguendo due livelli, quello della legittimità, che non mi sembra sinceramente in rilievo, e quello dell'opportunità, che potrebbe esserlo, di fornire un contributo che potrebbe, per esempio, portare ad ipotizzare la lettura nel corso della celebrazione degli articoli del codice civile come elemento utile a favorire l'integrazione di talune nuove realtà religiose. In altre parole, quella condivisione che la Chiesa cattolica fece alla metà degli anni Ottanta per motivi di lealtà istituzionale, a maggior ragione, potrebbe valere per le nuove confessioni che si affacciano sullo scenario italiano e chiedono riconoscimenti e tutele. Esse potrebbero dimostrare anche tramite questa via la sostanziale condivisione di principi fondamentali.
Per quanto riguarda un passaggio dell'intervento dell'onorevole Spini, mi piace la sottolineatura sulla funzione di chiusura del sistema della legge. Il proposito originario, come molti dei presenti ricordano perché vi hanno contribuito già dall'inizio degli anni Novanta e poi nel corso della XIII legislatura, è proprio quello di evitare la moltiplicazione e la frammentazione del sistema, in corrispondenza con la stagione avviata a metà degli anni Ottanta. Bisogna evitare il rischio - che però in alcuni interventi del dibattito, soprattutto mediatico,
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si avverte - che, una volta ottenuto tutto quello che si può con una legge generale sulla libertà religiosa, si utilizzi tutto questo per ottenere poi anche una serie indefinita di intese con contenuti particolarissimi. Bisognerà poi valutare di volta in volta se queste intese, posta l'esistenza di una legge quadro, abbiano ragion d'essere, per quali profili e per quali eventuali contenuti.
Una precisazione veloce su quanto osservava in maniera molto puntuale l'onorevole Monaco, che ha già avuto risposta, sotto il profilo politicamente rilevante, dal monsignor Betori, che ha confermato il sostanziale apprezzamento per il proposito riformatore, ammesso che vengano recepiti alcuni contenuti che tendano ad equilibrarlo. Egli, nella parte finale, chiedeva se le preoccupazioni si appuntino su due profili essenziali, discrezionalità e malinteso multiculturalismo. Direi di sì, ma non solo su questi, perché tutto il punto primo del testo che vi verrà distribuito individua in maniera bilanciata quattro elementi di valutazione, che tutti insieme sono alla base non solo delle nostre preoccupazioni, ma anche delle nostre valutazioni positive. Quindi, si tratta di una lettura unitaria.
Un brevissimo cenno all'intervento dell'onorevole Turco, del cui operato leggiamo anche nei resoconti dell'attività parlamentare per altre materie e vicende. Mi sembra che talune affermazioni non trovino riscontro nell'ordinamento positivo vigente e traggano da questo delle conclusioni molto legittime, ma personali ed opinabili. Sul secondo aspetto, non spetta né a noi né a me in particolare intervenire; sul primo, relativo alle inesattezze e alle imprecisioni, inviterei alla lettura del testo che vi lasciamo per quanto riguarda la distinzione tra CEI e Santa Sede, eguale libertà ed eguale trattamento, legge in esame ed assetto costituzionale. Non si può, per trarre delle
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conclusioni politicamente suggestive, confondere una serie di realtà e di contenuti che sono profondamente distinti. L'assetto costituzionale delinea un quadro largamente condiviso tuttora, al di là dei delicta graviora, un quadro di eguaglianza differenziata. A questo ancora oggi cerchiamo di attenerci.
In conclusione, anch'io ritengo che l'osservazione del presidente Violante in ordine alla necessità di non assicurare trattamenti uguali a realtà differenti - principio cardine del diritto ecclesiastico enunciato già all'inizio del secolo, ma che vale per una corretta lettura del principio di uguaglianza - possa essere effettivamente la chiave di lettura più adeguata per un'elaborazione condivisa, che auspichiamo.
PRESIDENTE. Ringrazio molto i nostri ospiti per la loro partecipazione e tutti gli intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,25.
Il progetto di legge sulla libertà religiosa in Italia - Indice