I turchi esistono? Può sembrare una domanda assurda, scrive lo studioso Massimo Introvigne nel volume La Turchia e l’Europa, ma non lo era alla corte di Istanbul almeno fino agli inizi dell’Ottocento. Prima di allora, sarebbe stato un insulto definire turco un gentiluomo ottomano di Costantinopoli, poiché il termine era peggiorativo e nella capitale era utilizzato per descrivere i contadini analfabeti dell’Anatolia e i nomadi dell’Asia centrale.
La prima identità dell’Impero dei sultani e dei califfi era semplicemente musulmana, spiega Introvigne. La seconda identità era ottomana e, nel corso del XIX secolo, a queste se ne affiancò faticosamente una terza: quella turca. Negli anni Venti del Novecento, nella Turchia kemalista emergerà poi una quarta identità, europea: convinto della superiorità dell’Occidente, Atatürk riteneva che i turchi facessero parte a pieno titolo dell’Europa, anche se l’Islam ne aveva a lungo offuscato l’europeità.
Per modernizzare la Turchia, Atatürk vietò il velo e fece della laicità un pilastro dello Stato. Ma forse, osserva Introvigne, il suo maggior successo sta nell’importazione del gioco del calcio: la Federcalcio turca fu fondata nel 1923 e oggi questo sport è “vissuto con un fervore a suo modo davvero religioso”. Nonostante l’avvicinamento all’Occidente e la laicità delle istituzioni proclamata dalla Costituzione, quando si discute dell’ingresso di Ankara in Europa il “vero problema è la religione musulmana” professata dalla maggioranza della popolazione.
Direttore del Centro studi sulle nuove religioni, Introvigne traccia una mappa dell’Islam turco, utilizzando la metodologia della teoria sociologica dell’economia religiosa secondo cui “anche quelli religiosi sono beni simbolici offerti da aziende in concorrenza fra loro in un mercato religioso cui possono essere applicate alcune leggi dell’economia di mercato. Questo studio si sofferma anche sulla migrazione interiore dell’Islam turco: non potendo utilizzare le istituzioni messe al bando dal regime in nome della laicità, le confraternite dei mistici sufi s’inseriscono in uno spazio familiare e agiscono nei centri culturali.
Sull’Islam, la politica e la democrazia in Turchia, si segnala inoltre il volume collettaneo The EU & Turkey in cui David Shankland si sofferma sul governo del premier Erdogan. Lo studioso dell’Università di Bristol conclude con un’osservazione interessante: se Ankara riuscirà a sfuggire all’Islam radicale sarà merito non soltanto delle autorità turche, ma anche dell’atteggiamento del vecchio continente che, con un eventuale rifiuto all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, rischia di sprecare una splendida opportunità.
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La Turchia e l'Europa. Religione e politica nell'islam turco Sugarco, Milano 2006 |