A Kharahorum, antica capitale della Mongolia, da pochi anni si erge un colossale monumento formato da tre muri convessi; essi illustrano le grandi dominazioni mondiali che scaturirono dalla regione: quella degli Unni, dei Turchi e infine dei Mongoli.
Massimo Introvigne, nella sua eccellente sintesi su La Turchia e l'Europa (Sugarco, 2006) parte da questa immagine per descriverci i Turchi, le loro radici, le loro vocazioni. Guidati da Attila nella prima metà del V secolo d.C. gli Unni sembrarono sul punto di sbaragliare l'Occidente: al loro apparire, romani e germanici in un attimo si scoprirono simili.
Così fu possibile al generale Ezio compattare un esercito romano-gotico e sbaragliare sul campo il "flagello di ". Un secolo dopo cominciarono a muoversi verso Occidente i Turchi, partendo dagli altopiani di Ungut, laddove ancora oggi corrono gli ultimi cavalli selvaggi del mondo e dove ulula il lupo grigio, animale simbolo dei nazionalisti pan-turchi. I Turchi Selgiucidi si convertirono spontaneamente all'islam e occuparono la Persia assimilandone la raffinata cultura. Ma essi stessi dovettero soccombere quando i Mongoli incominciarono nel XII secolo la loro galoppata, coprendo sotto la guida di Gengis Khan spazi immensi e calpestando decine di milioni di morti.
Le tribù turcomanne, sull'onda della terribile pressione, si spostarono ai confini dell'impero bizantino. Tra di esse emerse la tribù di Otsman: i suoi seguaci, gli "ottomani", erano destinati a creare un impero ben più solido di quello di Gengis Khan. Nel 1453 gli Ottomani conquistano Costantinopoli, trasformano la grande basilica di Santa Sofia in moschea, quindi invadono l'Europa dell'Est e lì creano il primo grande sistema coloniale moderno. Nel Cinquecento, sotto Solimano il Magnifico, l'impero ottomano si estende dalla Algeria all'Arabia, dalla Mesopotamia alla Ungheria: egli è sultano e califfo, guida spirituale di tutti i credenti. Nella sua vocazione universale e multietnica l'impero ottomano è la "casa dell'Islam", oltre la quale si estende la "casa della guerra": tutto il resto del mondo da conquistare alla Sharia.
Ma nel 1683 il progetto di islamizzazione dell'Europa incredibilmente fallisce.
Un esercito ottomano che appariva invincibile per la schiacciante superiorità di uomini e mezzi si infrange contro le difese di Vienna. Il Sacro Romano Impero riesce di nuovo a fare muro. Lewis, eminente storico del mondo islamico, rileva che dal punto di vista militare la sconfitta degli islamici sotto Vienna rimane un mistero. Giovanni Paolo II, beatificando il frate Marco d'Aviano che della resistenza viennese fu l'anima, si è spinto a parlare di prodigio.
Fatto sta che dopo il 1683 l'impero ottomano arretra. «Che cosa è andato storto? » si chiedono a Instanbul. Per alcuni il fallimento della campagna 'Europa è il castigo di Allah per l'affievolirsi della semplice fede delle origini, ma per altri la Turchia ha pagato lo scotto di una mancata modernizzazione in termini di progresso scientifico e di organizzazione dello Stato: è questa la lettura data delle massime elite ottomane; per esse l'Occidente comincia a divenire oggetto di segreta emulazione. Il Gran Visir Ibrahim Pasha si circonda di pittori e giardinieri europei, e per questo non sfugge al linciaggio della folla. Nel fatidico 1793 il sultano Selim III ha la bella idea di inviare ambascerie in Francia e di guardare con simpatia alla rivoluzione giacobina: l'improvvido sultano farà la fine di Luigi XVI, ma per ragioni opposte...
Nel XIX secolo l'occidentalizzazione della Turchia diventa il programma politico di organizzazioni diffuse nell'esercito. I "Giovani Turchi" che si ispirano al positivismo di August Comte nel 1909 prendono il sopravvento sul Sultano e lo spingono nel 1914 a fare la guerra a fianco della Germania. A guerra persa, nel momento in cui la dissoluzione del vecchio impero toccava il suo apice, un altro dei "giovani turchi", Mustafa Kemal prende il potere. Introvigne dipinge la personalità del generale con tratti titanici, quasi romantici nel suo sforzo prometeico. Ataturk forgia il nuovo nazionalismo turco dai tratti europeizzanti.
L'auspicio della Turchia ad "entrare in Europa" non è cosa dei nostri giorni, ma risale al progetto di Kemal di trasformare usi, costumi, leggi del suo popolo . Questo progetto di radicale mutazione antropologica è un auspicio spontaneo all'interno della casta dei militari, ma nel resto della popolazione è avvertito come una imposizione autoritaria.
Ataturk era un dichiarato ammiratore del fascismo italiano. L'esito finale dei due regimi, apparentemente diverso, fu in effetti simile. Oggi nella Turchia di Erdogan il partito kemalista è un gruppo di opposizione con percentuali irrilevanti.
Sotto i ben rasati capelli biondi, il generale Ataturk aveva grandi occhi azzurri.
Immaginava forse sé stesso come l'eroe di una epopea indoeuropea: nei libri di testo fece scrivere che i Turchi non erano originari della Mongolia, bensì discendenti degli Hittiti! Giunto al potere, Ataturk abolisce il sultanato ed anche il califfato; sequestra i beni delle congregazioni e abolisce i tribunali religiosi, fa chiudere i santuari con l'esercito. Agli uomini vieta il fez, ma quando vorrebbe vietare anche il velo alle donne la popolazione insorge, Contro di lui fioccano le accuse più dure: di essere un massone, di essere un dunmeh ovvero un ebreo in segreto. Vero è che Ataturk pensa e si muove nella completa estraneità ai canoni dell'islam: solo un perfetto laico europeizzante avrebbe potuto riformare il matrimonio sostituendo alla sharia il diritto di famiglia svizzero. Il dittatore infrange i tabù più radicati con ostentazione: si mostra in costume da bagno e invita le donne turche a fare altrettanto; gioca d'azzardo; seduce, beve a crepapelle, fino a morire di cirrosi epatica.
E il kemalismo, l'idea di europeizzare la Turchia manu militari, muore insieme a lui. Una volta finita la dittatura carismatica di Ataturk tre colpi di stato militari ci sono voluti per impedire che la Turchia rifluisse verso la Umma e verso la Sharia. Per quattro volte la forte vocazione islamica della popolazione è riemersa: prima col "partito democratico" che cercò di giocare l'improbabile carta di un "islam progressista", poi con Ekbatan (amico dei Fratelli Mussulmani) divenuto primo ministro negli anni Novanta; ora con Erdogan capo di un partito apertamente islamico, alleato degli Usa e di Israele, ma esplicito nell'affermare che la Sharia rappresenta l'orizzonte ideale. Erdogan da un lato tenta di entrare in Europa, dove già vivono milioni di suoi connazionali, dall'altra rievoca le radici profonde della Turchia.
Nel luglio 2005 il primo ministro va in Mongolia e inneggia alla Grande Turchia, la comunità di stirpi affini che si estende dalla Mongolia fino allo stretto dei Dardanelli. L'ingresso della Turchia in Europa è uno dei nodi più spinosi del presente. Introvigne valuta i pro e i contro, vantaggi economici e irriducibili diversità culturali. La questione del "confine orientale" dell'Unione Europea inevitabilmente si lega alle domande: che cosa deve essere l'Europa in sé? Cosa vogliamo fare noi dell'Europa?
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La Turchia e l'Europa. Religione e politica nell'islam turco Sugarco, Milano 2006 |