Una buona notizia: le truppe dell’unico governo somalo riconosciuto dalle Nazioni Unite e quelle dell’Etiopia sono entrate a Mogadiscio, infliggendo una dura sconfitta ai terroristi delle Corti Islamiche e alle brigate internazionali di Al Qaida accorse a soccorrerli. E una cattiva: per la prima volta nella tormentata storia della Somalia una crisi è risolta senza, anzi contro l’Italia.
In Somalia si fronteggiano dal 2004 le truppe di un «governo federale di transizione» costituito da un’alleanza fra signori della guerra, clan tribali ed esponenti di tutti i vecchi partiti somali e gli ultra-fondamentalisti islamici delle Corti Islamiche. Il governo di transizione non è composto da chierichetti: la politica somala non è mai stata democratica e alcuni capi-partito sono nello stesso tempo capi della malavita organizzata. Persone per bene si sono messe insieme ad altre più discusse per due obiettivi: garantire un minimo di pace e stabilità a un Paese che non le ha mai conosciute, ed evitare che la Somalia diventi la nuova Tortuga di Al Qaida.
La costituzione del governo di transizione è avvenuta grazie al decisivo impulso del governo Berlusconi. L’Italia infatti è il Paese occidentale che intrattiene maggiori relazioni con la Somalia, e ogni avvenimento somalo ha immediate ripercussioni nel nostro Paese, dove vive una cospicua comunità di somali immigrati. Nel corso del 2006 è peraltro apparso evidente che il sostegno straniero - in particolare dell’Iran - e di Al Qaida stavano volgendo le sorti belliche a favore degli ultra-fondamentalisti. Se n’è accorta l’Unione africana, che ha autorizzato la vicina Etiopia - interessata più direttamente a contenere il fondamentalismo islamico nella regione - a un intervento armato.
In Italia, invece, è avvenuta nel 2006 la maggiore sciagura per i poveri somali: la nascita del governo Prodi. Questo non solo si è allineato alle posizioni di Paesi come Francia e Spagna i quali, pensando di fare affari con i vincitori, hanno contrastato l’intervento dell’Etiopia e invitato al «dialogo» con le Corti Islamiche, ma ha imbarcato le forze dell’ultrasinistra che conducono da anni campagne di stampa per rendere presentabili gli ultra-fondamentalisti e negare i loro rapporti con Al Qaida. Si tratta di tesi del tutto insensate: che le Corti Islamiche siano alleate di Al Qaida e che abbiano dato ricetto in Somalia ad alcuni dei terroristi più ricercati del mondo è noto da anni ai servizi di intelligence di tutto il mondo, e non sarà qualche articolo del Manifesto a cambiare la realtà.
L’intervento dell’Etiopia non è illegale: le truppe di Addis Abeba agiscono su preciso mandato dell’Unione africana, cui aderisce anche la Somalia. L’unico «governo» illegale era quello delle Corti Islamiche, che aveva instaurato nelle zone che controllava la legge islamica nella sua forma più dura, vietando alle donne di uscire di casa non accompagnate e senza velo e agli uomini perfino di guardare alla televisione i mondiali di calcio. Fuori tempo massimo, mentre le truppe etiopi stavano già vincendo la guerra, il governo Prodi continuava a chiedere con le Corti Islamiche uno di quei tavoli di dialogo per cui D’Alema ha una vera passione e cui va invitando chiunque, dagli Hezbollah ai talebani in Afghanistan. Per fortuna, l’Etiopia non gli ha dato retta. Ma il prezzo che paghiamo alla politica estera dell’Unione è la riduzione ai minimi termini dell’influenza italiana in tutta una regione con cui avevamo da sempre rapporti privilegiati.