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Prodi, Dossetti e la Chiesa debole

di Massimo Introvigne (il Giornale, 14 dicembre 2006)

Dopo i fischi dell’Italia reale al Motor Show, Prodi è tornato nella sua vera casa culturale celebrando il fondatore di quella «scuola di Bologna» di cui è l’ultimo erede in politica, don Giuseppe Dossetti, ricordato in un convegno a dieci anni dalla morte. Le relazioni del convegno riconoscono che il cattolicesimo debole di Dossetti è lontanissimo da quello forte di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Cercano tuttavia di rivalutarlo da tre punti di vista: ma hanno torto su tutti e tre. Anzitutto, Dossetti avrebbe previsto il declino della presenza cattolica in Italia, le «Chiese vuote» cui non pongono rimedio le «piazze piene» degli ultimi Papi. Senonché le Chiese sono vuote soprattutto dove si predica il cattolicesimo debole dossettiano. Mentre per quanto riguarda il quadro generale italiano un cattolico democratico che è insieme un eccellente sociologo come Franco Garelli, nel suo recentissimo L’Italia cattolica nell’epoca del pluralismo, ha giustamente criticato il luogo comune «piazze piene, chiese vuote» rilevando come a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II le statistiche non fasulle mostrino una sostanziale tenuta della Chiesa italiana e perfino una crescita della sua influenza.

In secondo luogo, quello di Dossetti sarebbe un messaggio profetico quando invita la Chiesa a sciogliere il suo plurisecolare matrimonio con la filosofia greca per accettare una «povertà» che la renda aperta a tutte le culture e capace di incontrare in modo pacifico le altre religioni, islam compreso. Non solo siamo qui agli antipodi del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, ma si tratta di una strategia mandata in frantumi dall’11 settembre. Come ha ribadito nel viaggio in Turchia Papa Ratzinger di fronte all’identità fortissima dell’islam nel XXI secolo è possibile resistere prima ed eventualmente dialogare poi solo a partire da una consapevolezza a sua volta forte dell’identità occidentale, radicata precisamente nell’eredità greca e in quel rapporto armonico fra fede e ragione che manca all’islam.

Infine, il convegno di Bologna vuole strappare a Dossetti l’etichetta consueta di «cattocomunista», ricordando che nel 1948 il padre spirituale di Prodi votò per De Gasperi e non per Togliatti e che neppure negli ultimi anni accettò veramente il marxismo. È vero: la posizione di Dossetti, come quella di Prodi, è piuttosto terzaforzista. Nella Guerra fredda Dossetti capisce di non potersi schierare con l’Unione Sovietica per una serie di ragioni geopolitiche e religiose, ma nello stesso tempo non ama gli Stati Uniti e cerca di posizionarsi a metà strada. È questa l’eredità di Dossetti più cara a Prodi. Neppure Prodi, certo, è comunista. Ma in politica interna cerca affannosamente la terza via fra liberismo e socialismo, in una pasticciata combinazione fra liberalizzazioni più o meno fasulle e corsa a tasse sempre più alte. E in politica estera adatta il terzaforzismo di Dossetti, che era stato pensato per la Guerra fredda e non aveva funzionato neppure per quella, alla nuova guerra mondiale fra Occidente e ultra-fondamentalismo islamico, cercando di non stare né con Israele né con gli Hezbollah (secondo la formula dell’«equivicinanza» di D’Alema), né con Bush né con i terroristi iracheni. Oggi sappiamo che, salva l’eventuale buona fede di Dossetti, il terzaforzismo si rivelò un oggettivo aiuto all’Unione Sovietica. E oggi il terzaforzismo e il cattolicesimo «debole» non aiutano ma intralciano l’Occidente nella sua risposta alla sfida del fondamentalismo musulmano.