Uno dei minuti più lunghi nella storia della Chiesa. Per un minuto il Papa è stato in raccoglimento nella Moschea Blu, che trasformata in museo la moschea, che già fu chiesa, di Santa Sofia, dove Benedetto XVI non ha potuto recarsi che da turista rappresenta la memoria storica del califfato turco, simbolo di unità dell’intero mondo musulmano sunnita fino alla sua abolizione da parte del presidente laico Kemal Atatürk nel 1924. Il Papa si è rivolto ai musulmani chiedendo di cercare insieme a lui “i modi e le strade della pace”. Non si tratta di una retorica di circostanza. Tutti i discorsi di Benedetto XVI in Turchia sono legati da un filo rosso: la libertà è la condizione indispensabile per la pace. Senza libertà, l’unica pace che un regime può offrire è la pace dei cimiteri.
Pace significa anzitutto libertà dal terrorismo. Qualche ora prima di visitare la Moschea Blu il Papa ha ricordato che “uccidere degli innocenti in nome di Dio è un'offesa verso di Lui e verso la dignità umana”. Ma pace significa anche riconoscere la libertà religiosa di tutti. Il Papa è pronto ad aprirsi al dialogo con l’islam, ma non con tutto l’islam, e non senza condizioni. Non ci sono diritti per chi non prende apertamente le distanze dalla violenza e dal terrorismo, né questo islam violento potrebbe chiedere comprensione in nome di una presunta libertà di religione. E, mentre chiede rispetto in Occidente, l’islam deve aprirsi alla libertà dei cristiani nelle terre, come la Turchia, dove è maggioritario. La libertà delle minoranze cristiane è il test che misura, per ciascun Paese islamico, se pace e dialogo sono soltanto belle parole che corrispondono a manovre tattiche, o se invece si tratta davvero di modi di essere e di strade che i musulmani sono disposti a percorrere insieme con chi vede il mondo con occhi diversi da quelli del Corano. Legare ogni possibile dialogo con l’islam alla richiesta forte di libertà religiosa è il cuore del messaggio profetico del Papa in Turchia.
Qui il momento di dialogo con l’islam si raccorda con quello dominante nel viaggio apostolico di Benedetto XVI di dialogo con la Chiesa ortodossa del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. La visita della Moschea Blu è caduta nel giorno della festa di sant’Andrea, l’apostolo di cui Bartolomeo I si considera l’erede come il Papa lo è di san Pietro. Benedetto XVI ha insistito sul fatto che l’unità delle Chiese cristiane e la libertà religiosa sono questioni strettamente collegate. Tutti i regimi totalitari da Hitler con la sua Chiesa germanica a Mao con la sua Chiesa patriottica hanno cercato di costruire Chiese nazionali separate da Roma, perché quando manca la protezione di Roma è più facile aggiogare i cristiani al carro del totalitarismo. È quanto è capitato spesso nella storia degli Ortodossi, in balìa di volta in volta degli Ottomani, degli zar, dei comunisti. E oggi il fondamentalismo islamico vede come una minaccia il ritorno a Roma degli ortodossi che vivono nei Paesi a maggioranza musulmana. Il legame con Roma è il modo migliore di resistere a tutele indesiderate e minacce. Inoltre, solo una Chiesa forte può proporre all’islam un dialogo che non si riduca a una tacita resa. Da solo, il Patriarca di Costantinopoli non ha la forza di condurre questo dialogo. Con Roma e con il Papa il cristianesimo può presentarsi a testa alta anche nella Moschea Blu. Ben lungi dal costituire un indebolimento, per le Chiese che accettano la proposta profetica del Papa l’unità con Roma può rivelarsi la più sicura garanzia di libertà.