Il Papa è arrivato in Turchia. In attesa dell'incontro ecumenico con i cristiani ortodossi, il Pontefice ha per ora trovato ad attenderlo la Turchia musulmana. O meglio, due Turchie diverse, da un secolo l'un contro l'altra armate. La Turchia non è solo un Paese dove la fede musulmana resta ampiamente maggioritaria e che oggi è governato da un partito islamico. È anche una delle capitali del laicismo militante. Il Partito kemalista, la cui ragion d'essere è la vigilanza contro l'influenza della religione nella politica, ha sì perso le elezioni, ma conserva i voti di un quarto dei turchi. Mentre quelli del francese Combes o del messicano Calles sono nomi più o meno dimenticati, la Turchia moderna è inconcepibile senza il suo fondatore, Kemal Atatürk, e all'imponente mausoleo funebre di questo campione del laicismo lo stesso Benedetto XVI ha reso omaggio ad Ankara all'inizio della sua visita, dopo avere incontrato il primo ministro Erdogan. Un incontro raccomandato al premier dai suoi consiglieri neo-conservatori (a partire dalla testa pensante del suo partito, Yalcin Akdogan), secondo i quali Erdogan può rinunciare a qualche voto fondamentalista pur di mantenere l'immagine internazionale di musulmano centrista e moderato.
Ma di che tipo è il laicismo di Atatürk? In che senso un Papa può rendergli (cautamente) omaggio? Il «padre dei turchi» si è espresso sulla religione in modo non privo di contraddizioni. Alla giornalista inglese Grace Ellison dichiarava nel 1927: «Io non ho religione e qualche volta vorrei vedere tutte le religioni affondare in fondo al mare». Ma leggeva spesso il Corano e nel 1923, visitando la moschea di Balikesir, in Anatolia, aveva lodato l'islam come «la più naturale e ragionevole delle religioni», concludendo con un riferimento a se stesso che in realtà «ognuno ha una religione, anche la persona che nega di averla». Come il famoso anarchico spagnolo che assicurava di «essere così ateo da non credere neppure nel Dio cattolico, che è il vero Dio», un ateo turco non è veramente uguale a un ateo francese.
Il laiklik turco, parola coniata dallo stesso Atatürk per tradurre «laicismo», non equivale alla laïcité francese. Kemal non vuole sradicare l'islam - impresa del resto impossibile in Turchia - ma modernizzarlo radicalmente e ricondurlo sotto il controllo dello Stato. Su nessuno dei due punti Atatürk ha avuto pieno successo, ma questo permette a politologi raffinati come Akdogan di distinguere fra un «kemalismo» ideologico che considera il laicismo un fine, necessariamente legato a una polemica anti-religiosa, e un «atatürkismo» per cui il laiklik è un semplice mezzo per fare entrare la Turchia tra le nazioni moderne. Il partito di Erdogan propone così una riconciliazione fra le due Turchie che passa anche per un apprezzamento, forse non solo tattico, del contributo di Atatürk alla storia turca, interpretato però in chiave «atatürkista» piuttosto che «kemalista». Sia tra i militari kemalisti sia tra i parlamentari di Erdogan ci sono estremisti che non vedono con favore questa riconciliazione. Essa è però indispensabile per fare della Turchia una democrazia compiuta e per isolare l'ultra-fondamentalismo estremista. A questa riconciliazione ha dato paradossalmente un contributo importante Benedetto XVI, sia incontrando prima Erdogan e poi il vero capo del kemalismo, il presidente della Repubblica Sezer, sia inserendo tra i due incontri la visita, di straordinaria portata simbolica, di un Papa di Roma alla tomba del laicissimo Atatürk.