Tra l'assenza di Erdogan e gli spari di Istanbul
Di motivi perché il prossimo viaggio di Papa Ratzinger in Turchia, previsto tra il 28 novembre e il 1. dicembre prossimi, sarebbe stato colmo di incognite e al limite dell'evento straordinario ne esistevano parecchi già nei mesi scorsi.
Sul piano religioso gli analisti ritenevano che questa sarebbe stata l'occasione d'oro per ritentare un ricongiungimento, almeno parziale, tra cattolicesimo e cristianesimo ortodosso. Sul piano politico c'era molta curiosità per l'arrivo in terra turca del Papa che qualche anno fa, in vesti cardinalizie, affermò che l'ingresso della Turchia in Europa sarebbe un errore, un fatto antistorico. Che cosa si sarebbero detti Ratzinger e il premier europeista Erdogan? Poi c'è stato il discorso di Ratisbona - con l'infelice citazione dell'imperatore Manuele Paleologo II sulla violenza dell'Islam - che ha scatenato le ire dei musulmani (ovviamente anche in Turchia). E di colpo il viaggio papale appariva sotto un'altra ottica: quello di un'ulteriore occasione di chiarimento dei rapporti tra cristiani e musulmani. Mercoledì scorso, come fulmine a ciel sereno è giunto l'annuncio che il primo ministro turco Tayyip Erdogan non incontrerà Benedetto XVI nel periodo nel quale il prelato visiterà la Turchia. E ieri un uomo ha sparato alcuni colpi di pistola davanti al consolato d'Italia a Istanbul pare per protestare contro l'imminente visita di Benedetto XVI (vedi articolo nelle cronache estere). Uno sgarbo e un atto sconsiderato che trasformeranno la trasferta papale in un buco nell'acqua? Ne parliamo con Massimo Introvigne, esperto di religioni - è direttore del Centro Studi Nuove Religioni di Torino - e al contempo esperto di Turchia, Paese al quale ha consacrato un paio di anni fa il saggio «La Turchia e l'Europa. Religione e politica nell'Islam turco», Ed. Sugarco.
Perché il primo ministro di un Paese che intende entrare in Europa decide di non incontrare il Papa che viene a casa sua?
«Credo che ci siano delle ragioni politiche che si accompagnano a ragioni personali. Da diversi mesi Erdogan attraversa un momento di grande delusione»
Delusione da che cosa?
«Delusione perché le reazioni del'Europa nei confronti della Turchia sono sempre più ostili».
È di questi giorni infatti la notizia di un rapporto della commissione europea, che le indiscrezioni preannunciano molto critico, sui progressi compiuti dalla Turchia nel rispetto delle condizioni di adesione all'Unione Europea.
Erdogan è conosciuto per il suo proverbiale ottimismo...
«Sì, ma non dobbiamo dimenticare da dove viene. Erdogan è protagonista della svolta del suo partito, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo AKP, nel 2001 che sino ad allora, con il nome di Refah, era un partito fondamentalista islamico. Refah aveva già vinto le elezioni una volta ma veniva regolarmente sciolto dalla Corte costituzionale e si ricostituiva sotto un altro nome per poi essere risciolto... Nel 2001 c'è stata la rivolta dei "giovani", che poi erano i sindaci, tra cui Erdogan sindaco di Istanbul, nei confronti dei "vecchi", rappresentati dall'ex primo ministro Erbakan. I "giovani" hanno preso i vertici del partito e si sono affidati a ideologi che hanno disegnato un programma non fondamentalista ma conservatore, ispirato ai neocon americani. Hanno insomma costituito un blocco sociale - che gli ha fatto vincere le elezioni politiche del 2002 e stravincere quelle amministrative del 2004 - costituito dal mondo imprenditoriale (le cosiddette "tigri dell'Anatolia", i figli del boom economico che vogliono entrare nell'Unione europea) e dal grosso del movimento fondamentalista che pur con tempi diversi dai vertici del partito ha accettato questa svolta».
Chi l'ha avversata?
«Da una parte i kemalisti che per la prima volta sono stati esclusi tutti dal governo, pur mantenendo il potere in un paese che è semidemocratico perché tutte le leggi devono avere il visto del Consiglio costituzionale che è composto dal presidente della repubblica e dai capi delle varie branche militari. Si tratta di un'anomalia che l'Unione europea da una parte non può tollerare, ma dall'altra sa che se viene rimossa salterebbero tutte le leggi sul velo islamico delle donne e sui simboli religiosi».
E dall'altra?
«Dai fondamentalisti. Non a caso il Papa incontrerà sia il presidente Sezer, un ultralaico custode della fase più antireligiosa di Ataturk, sia il presidente dell'organo di controllo che nomina gli imam Ali Bakayoglu che è un simpatizzante dei fondamentalisti. In realtà i militari utilizzano spesso i fondamentalisti per fare un'azione a tenaglia per mettere in difficoltà il governo Erdogan».
Insomma, deluso dalle reazioni europee sulla Turchia, forse anche dall'infelice frase papale a Ratisbona, Erdogan si sottrae all'incontro con Benedetto XVI anche per evitare di perdere le prossime elezioni?
«Forse vincerà comunque le prossime elezioni perché le alternative sono considerate da gran parte dell'elettorato turco peggiori di lui, ma è chiaro che Erdogan è oggi in difficoltà anche con il suo stesso blocco sociale»
Come mai?
«Perché i militari potrebbero anche accettare l'eliminazione del Consiglio costituzionale se poi questo bastasse per fare entrare la Turchia in Europa, ma poi in realtà ritengono che in Europa troverebbero altre ragioni per escludere il Paese: dalle navi cipriote alla questione armena. Morale: l'elettorato musulmano che vuole l'abolizione dei limiti al velo o al valore giuridico della maturità conseguita dalle scuole private, in gran parte islamiche, non ha avuto quello che voleva. L'elettorato borghese e imprenditoriale che voleva l'ingresso in europa lo vede con sempre maggiore scetticismo».
L'isolamento di Erdogan che effetti può avere?
«Rende meno attraente e meno vitale il modello conservatore turco che non è assolutamente un modello di islam laico. L'Islam laico, del resto, non esiste. È un'invenzione di alcuni pensatori che vivono in Occidente, come Magdi Allam, e che nei paesi a maggioranza musulmana non avrebbero quasi seguito. Esiste invece un modello di Islam conservatore che vuole il velo, che vuole il divieto agli studi storico-critici sul Corano ma che nello stesso tempo è disponibile a qualche apertura sulla libertà religiosa e a molte aperture sulle alleanze internazionali e sui diritti delle donne. Questo è quello che offre il mercato. Ma mi sembra che questa offerta sia stata rimandata al mittente dall'Europa e rischi di sparire».
Non crede che sottrarsi all'incontro papale non giovi comunque alla causa di Erdogan?
«Lo dico da sostenitore di Erdogan: mi pare che il suo sia un errore. Tutto sommato al di là di Ratisbona e dell'adesione turca all'Unione europea, la loro visione della storia e dell'Europa un po' crepuscolare ha molti punti in comune. Abbiamo un pio sufi e un Papa cattolico. Sarebbe stato un incontro che avrebbe potuto segnare una svolta sul piano politico e forse anche sul piano umano per sortire da questa fase depressiva».
Insomma, un'occasione persa.
«Credo di sì, anche se mi pare che forse ci sia stato qualche errore da parte della diplomazia della Santa Sede che ha accettato di incontrare come interlocutori istituzionali, o così sembra a oggi, solo un kemalista massone come è il presidente della Repubblica e un fondamentalista islamico».
E per il Papa che senso ha andare in Turchia in questo momento?
«A dire la verità il Papa ha pensato il viaggio in Turchia ben prima di questi scenari e ben prima di Ratisbona. Il suo non voleva essere un incontro con l'Islam, ma una tappa nel quadro della sua strategia di dialogo ecumenico con gli ortodossi».
Che progetti ha su questo fronte?
«Il Papa pensa che, meno condizionati del patriarcato di Mosca da certi giochi politici di Putin, gli ortodossi con i quali si può arrivare forse addirittura ad un'unione sono quelli che fanno capo al patriarcato detto ecumenico di Costantinopoli: né i russi né i greci, ma tutti gli altri. Quello in Turchia era quindi stato pensato dal Papa come viaggio ecumenico. Se no non si capisce perché vada in Turchia prima di andare nei più grandi Paesi cattolici del mondo come il Brasile o il Messico, o in Paesi politicamente fondamentali come gli Stati Uniti o la Francia. Lui ha enunciato subito come uno degli obiettivi del suo pontificato il passaggio dai grandi abbracci ai risultati concreti nel dialogo almeno con una parte dell'ortodossia».
Com'è suddivisa oggi l'ortodossia?
«In tre grosse parti. Quella che fa capo ai greci che sono diffidenti nei confronti di Roma; quella che fa capo al patriarcato di Mosca dove la base sarebbe anche disponibile, ma il patriarca blocca tutto; e quella diffusa in tutto il resto del mondo che riconosce l'autorità,appunto, del patriarca detto ecumenico di Costantinopoli. Con questa terza branca dell'ortodossia che comunque ha un grande significato simbolico forse riuscirà ad ottenere qualche risultato concreto. Se non l'unione, l'intercomunione, che per il momento non c'è».
Il viaggio, pensato per incontrare il patriarca, potrebbe però richiedere nuovi obiettivi dopo il discorso di Ratisbona che ha fatto infuriare il mondo islamico...
«Sì, ma non è che incontrando il presidente della repubblica turca che è un laico massone possa avanzare il dialogo con l'Islam».
Dopo Ratisbona, tuttavia, un qualche messaggio distensivo all'Islam dovrà pur mandarlo.
«Certo. Ma sono stato in Marocco qualche tempo fa e il maggiore settimanale del Paese aveva un grande titolo: "Et si le Pape avait raison?". Questa è stata una provocazione utile per fare i conti con i fondamentalisti, una provocazione secondo me voluta. Credo in ogni caso che il dialogo con l'Islam non sia al primo posto nell'agenda del Papa».
E cosa c'è al primo posto?
«A me pare che prevalga il problema che sia l'Europa a dovere ritrovare le sue radici. Questo è il Papa dell'Europa, non il Papa della mondializzazione. Pensa che l'uomo malato della cristianità sia l'Europa».
Una visione, detto per inciso, che mette in difficoltà proprio la Turchia.
«Da un certo punto di vista sì: più l'Europa riscopre le sue radici cristiane più nasce un'altra forma di opposizione alla Turchia. Anche se in questo momento l'opposizione alla Turchia non ha niente a che fare con le radici cristiane. A meno di voler ritenere Chirac un fautore delle radici cristiane d'Europa. Ha più a che fare con problemi di immigrazione e con problemi di umori di pancia degli elettorati. In questo momento un politico che si dica a favore dell'integrazione turca in Europa perde voti. Siccome da molte parti si avvicinano le elezioni nessuno o pochi osano dirlo».
Concludendo: mentre le anticipazioni di rapporti europei sono critiche con la Turchia, mentre assistiamo a crisi diplomatiche tra Ankara e Parigi sul genocidio degli armeni, mentre i fondamentalisti turchi manifestano contro il discorso di Ratisbona... che cosa resta da fare la Papa in procinto di recarsi in Turchia?
«Penso che il Papa cercherà di insistere sullo scopo originario del viaggio che era l'aspetto ecumenico con gli ortodossi, anche se poi dirà qualcosa di generico sulla bellezza del dialogo interreligioso. Presenterà il viaggio come un affare intracristiano che si svolge in territorio turco per le causalità della storia».
Con tutti gli scongiuri del caso e senza sopravvalutare gli spari di giovedì all'ambasciata italiana: e se qualcuno cercasse di approfittare del clima di ostilità per colpire il Papa?
«Si colpirebbe non solo il Papa, ma si ucciderebbe definitivamente l'esperimento turco. Probabilmente ci sarebbe un colpo di stato militare con conseguente ritorno al potere dei kemalisti e la fine delle trattative con l'Unione europea che non potrebbe trattare con una dittatura militare. Sarebbe sicuramente la fine del modello turco come possibile terza via tra fondamentalismo e dittatura laica».