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Scontri: guerra santa o sana laicità

di Massimo Introvigne (Il Nostro Tempo, anno 61, n. 34, 24 settembre 2006)

Una parte non piccola dei musulmani ha scoperto un nuovo nemico: il Papa, la cui magistrale lezione all’Università di Regensburg ha provocato reazioni scomposte nel mondo islamico. Il Pontefice ha commentato un dialogo del 1391 fra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un erudito persiano, citando, senza disapprovarle, le parole del sovrano cristiano: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”.

Il Papa ricorda pure la distinzione fra sure del Corano “meccane” dove alla Mecca (e all’inizio del suo soggiorno a Medina) il Profeta, “ancora senza potere e minacciato”, chiedeva libertà religiosa e “nessuna costrizione nelle cose di fede” e sure “medinesi” dove Muhammad, ormai al potere a Medina, incitava alla violenza e alla guerra santa, espressione di cui Benedetto XVI usa jihad come sinonimo, anche qui seguendo i risultati dell’esegesi accademica più recente secondo cui il senso più antico e comune di jihad si riferisce appunto alla guerra combattuta con le armi, e l’uso della parola nel significato di guerra spirituale contro i propri vizi è insieme più tardivo e più raro. Il dramma dell’islam, conclude il Papa, consiste nell’avere separato la fede dalla ragione, il che ha aperto la strada alla violenza.

Al-Jazeera e la stampa turca, come tanti media occidentali, hanno la pessima abitudine di leggere dei discorsi del Papa solo i riassunti delle agenzie di stampa. Una lettura integrale della lezione di Benedetto XVI mostra che si tratta di un ritorno sul tema centrale del suo primo anno di pontificato. In una dozzina di testi, il Papa ha ricondotto i mali del mondo moderno in genere (e dell’Europa in particolare) a un ricatto intellettuale secondo cui esistono due soli modi di relazione fra religione e cultura, e anche fra religione e politica: il fondamentalismo (la fede senza la ragione) e il laicismo (la ragione senza la fede).

Ma secondo il Papa le posizioni possibili nel rapporto fra religione e cultura non sono due ma tre: il fondamentalismo, il laicismo e la “sana laicità” che coniuga fede e ragione. Per il laicismo, tra fede e cultura ci deve essere totale separazione: una sorta di muraglia cinese che valuta negativamente ogni tentativo del credente di far diventare la sua fede cultura e di giudicare la cultura alla luce della fede. All’estremo opposto, vi è la posizione per cui fede e cultura, e anche fede e politica, coincidono o dovrebbero aspirare a coincidere in una sorta di fusione, per cui ogni cultura o ogni politica che non sia direttamente e senza mediazioni religiosa sarà considerata sospetta, se non demoniaca.

Il Papa ha criticato in una lunga lettera del 14 ottobre 2005 all’allora presidente del Senato Marcello Pera questa posizione fondamentalista, ricordando che una situazione in cui si riconosce che “le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie” di per sé “appare legittima e proficua”. Per la Chiesa cattolica tra fede e cultura vi è distinzione, non separazione. Il magistero ritiene che la cultura, come la politica e tutte le realtà terrene e secolari, abbia una sua sfera di autonomia, ma che possa e debba essere giudicata dai credenti alla luce della fede e della morale.

A Regensburg, come in numerose altre occasioni, Benedetto XVI ha ulteriormente approfondito il tema. Le religioni che procedono da Abramo hanno trovato in sé una via per sfuggire al fondamentalismo e al laicismo (ben prima che questi termini nascessero) grazie all’incontro con la Grecia classica. In Germania il Papa ha parlato di tre ondate che hanno tentato di separare il cristianesimo dall’eredità greca: ne sono nate prima una fede senza ragione (che è alle origini di un certo fondamentalismo protestante), poi una ragione senza fede nella forma dello scientismo, e infine un relativismo per cui tutte le fedi e le culture si equivalgono.

La rottura con l’eredità greca porta alla fine della cultura cristiana, e, ha aggiunto il Papa, comporta la fine della stessa nozione di Europa, che da questa cultura nasce. Il rischio della rottura fra fede e ragione, che porta o al fondamentalismo o al laicismo,  contagia anche il cristianesimo (così come ha contagiato nella sua storia l’ebraismo). Nell’islam, che pure ha avuto un momento in cui ha letto e diffuso i classici della Grecia, il rifiuto della ragione è arrivato prima, e si è annidato nella sua stessa nozione di un Dio che potrebbe agire in modo del tutto arbitrario e dare al mondo un ordine non razionale. Il dialogo che Benedetto XVI propone all’islam lo invita a riannodare i fili del rapporto fra fede e ragione: un’operazione che la storia ha reso difficile, ma che il Papa non crede impossibile, e che del resto i guasti del laicismo rendono necessaria anche in Occidente.

In realtà, tutte e tre le religioni che riconoscono le loro radici in Abramo sono percorse da “guerre civili” in cui si contrappongono fondamentalismo, laicismo e “sana laicità”, anche se nell’islam la posizione intermedia della “sana laicità”, pure non inesistente, è rimasta a lungo marginale e minoritaria precisamente per le ragioni indicate dal Papa a Regensburg. Queste guerre culturali hanno anche una trascrizione politica.

In nessun paese islamico questo è più chiaro che in Turchia, dove coesistono il laicismo ispirato al positivismo di Kemal Atatürk, un fondamentalismo vicino ai Fratelli Musulmani, e un tentativo di creare una nuova sintesi assai vicina alla “sana laicità” di Benedetto XVI, conservatrice in religione ma aperta ai diritti umani e a una cauta distinzione fra fede e politica. Questa sintesi ha radici che risalgono al XIX secolo ottomano ma oggi ispira gli ideologi del partito islamico moderato al potere, l’Akp del primo ministro Erdogan.

Sia l’ala dell’esercito più rigidamente laicista e kemalista, sia i fondamentalisti hanno interesse a far fallire l’esperimento di Erdogan. Ma il modello dell’Akp, che può essere un esempio per altri Paesi musulmani, si fonda su una politica che coniuga una devozione islamica conservatrice e buone relazioni con l’Europa, l’Occidente e la Chiesa cattolica. Non è quindi così paradossale che la stampa laicista legata al kemalismo più intransigente ed esponenti fondamentalisti si trovino uniti nel tentativo di utilizzare il discorso di Regensburg per avvelenare i rapporti fra Santa Sede e Turchia in vista della prossima visita del Papa. Così come, in tutto il mondo islamico, intellettuali e dittature laiciste e movimenti fondamentalisti, per quanto si detestino, si ritrovano oggi uniti nell’attacco al Pontefice: perché temono l’emergere nell’islam di una posizione intermedia che, cercando un nuovo equilibrio fra fede e ragione, minacci l’egemonia politico-culturale che oggi il nazionalismo laicista e il fondamentalismo si spartiscono nei Paesi a maggioranza musulmana.