Partendo dalla citazione di un imperatore bizantino da lui stesso definita a Regensburg «sorprendentemente brusca» e «pesante» - così che la precisazione secondo cui citando queste antiche parole il Papa non intendeva farle sue esplicita l’ovvio, e non configura affatto una richiesta di scuse ai musulmani - Benedetto XVI ha rotto un tacito patto fra gli uomini politici dell’Occidente e l’islam, scattato dopo l’11 settembre. Si poteva e si doveva condannare il terrorismo. Ci si poteva spingere fino a parlare male del fondamentalismo. Ma si doveva rimanere sul terreno dell’ordine pubblico, senza mai parlare delle radici teologiche profonde del nesso fra islam e violenza. Questo nesso non sta in una deviazione dal Corano ma in alcune sure del Corano stesso; non in un fraintendimento del Profeta Muhammad ma in insegnamenti precisi della seconda fase del suo magistero; non in un’idea di Dio inventata da Bin Laden ma nella nozione stessa della Divinità che è storicamente prevalsa nel percorso della teologia islamica. Questo il Papa ha detto a Regensburg, e non ha certo rinnegato in seguito.
Senza escludere - e anzi auspicando - che la pianticella, per ora piccola e gracile, di un islam diverso e davvero moderato possa svilupparsi, e quindi continuando a cercare il dialogo con chi lo rappresenta, il Papa ha rotto il patto per cui si doveva parlare sempre di polizia e mai di teologia. Gli stessi Bush e Blair avevano proclamato l’islam una «religione di pace», coltivando la finzione - che fa prevalere la ragion politica sulla ragione storica - per cui la fragile minoranza moderata sarebbe l’unica titolata a rappresentare il «vero» islam. A cinque anni dall’11 settembre, dopo le folli dichiarazioni di Ahmadinejad, il rinnovato terrorismo di Hamas e degli Hezbollah, il continuo reclutamento anche in Occidente di terroristi suicidi di Al Qaida, il Papa ha deciso che non è più tempo di reticenza ma di chiarezza.
Calmata la prima tempesta, nel mondo islamico si sono levate voci di buon senso disponibili ad ammettere che molto di quanto il Papa ha detto merita almeno una seria riflessione. Molto, molto peggio è andata in Occidente. Abbiamo visto tre tipi di critici non solo non difendere il Papa, ma attaccarlo. I primi sono gli ignoranti, che sanno poco di islam, nulla di storia delle religioni e semplicemente non hanno le categorie per capire un discorso difficile come quello di Regensburg. Un Di Pietro che, tra uno sforzo e l’altro di azzeccare i congiuntivi, cerca di dare lezioni di teologia al Papa fa semplicemente ridere, e perde l’ennesima occasione di stare zitto. I secondi - si vedano l’editoriale del New York Times, ma anche i giri di parole di D’Alema e Prodi - sono i sostenitori del patto tacito secondo cui alcune autorità islamiche condannano il terrorismo e l’Occidente in cambio rinuncia a indagare sulle sue radici teologiche. Anziché stracciarsi le vesti per le semplici verità che Benedetto XVI ha detto sull’islam, farebbero meglio ad ammettere che il patto non ha funzionato, visto che il terrorismo continua, e che dove ha fallito la polizia è giusto che torni alla ribalta la teologia. I terzi sono i laicisti, che avversano il Papa in quanto Papa, e per cui ogni occasione per attaccare Benedetto XVI è buona. In ogni caso, nell’attuale scontro di civiltà, il Papa è stato l’unico che ha avuto il coraggio di rinunciare al politicamente corretto e schierasi senza reticenze per l’Occidente e per i suoi valori: per tutto ringraziamento, l’Occidente lo ha in sostanza lasciato solo.