All’improvviso, sembra che sulla questione musulmana i moderati e i conservatori occidentali quelli che hanno condiviso molte delle scelte di George W. Bush, Jr. e di Silvio Berlusconi non abbiano più una strategia condivisa. Un giornalista intelligente, Magdi Allam, dopo avere compiuto un lungo tratto di strada insieme a chi, come chi qui scrive, ha sostenuto prima il progetto di Bush del Grande Medio Oriente e oggi quello di Condi Rice del Global Muslim Outreach, la “Mano tesa globale ai musulmani”, oggi se ne separa. Nel libro Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano? (Mondadori, Milano 2006) rivela di avere sostenuto l’astensione alle elezioni politiche del 9 aprile, e attacca, oltre al governo Berlusconi e in particolare al ministro Giuseppe Pisanu, anche quello degli Stati Uniti. Allam non crede più che promuovere la democrazia nei paesi a maggioranza islamica il progetto Grande Medio Oriente sia la strategia giusta, perché dove si sono tenute le elezioni non le hanno vinte laici ma fondamentalisti (curiosamente, gli stessi concetti sono stati espressi recentemente da Massimo D’Alema). Quanto a estendere il dialogo a quella parte dei fondamentalisti, e in particolare dei Fratelli Musulmani (la maggiore organizzazione fondamentalista mondiale), che ripudia il terrorismo il progetto Global Muslim Outreach, e la strategia di Pisanu in Italia e di Nicholas Sarkozy in Francia per Allam è un errore ancora più grande: tutti i fondamentalisti danno in realtà qualche appoggio ai terroristi, e le loro prese di distanza sono menzognere. Né si tratta solo di Allam: una minoranza di neo-conservatori americani la pensa come lui, abbandona Bush e annuncia a propria volta l’astensione alle prossime elezioni politiche americane di novembre.
Su molti punti chi scrive è d’accordo con Magdi Allam. Esiste una guerra scatenata dall’ultra-fondamentalismo islamico contro l’identità occidentale, che contro i multiculturalisti e i relativisti merita di essere amata e difesa. Anche l’Italia è esposta a rischi, che derivano principalmente da due fonti: una parte politicizzata della magistratura, che vanifica il lavoro delle forze dell’ordine mandando assolti esponenti di organizzazioni terroristiche, e una Sinistra che non comprende come allargare le maglie del controllo sull’immigrazione significa creare quartieri che diventeranno fabbriche di terroristi, anche perché esiste un nesso causale fra la predicazione di odio in certe moschee e il reclutamento dei kamikaze. Su questi punti Allam ha il merito di avere suonato spesso la sveglia a un ceto politico colpevolmente addormentato.
È anche vero che i fondamentalisti hanno generato storicamente il terrorismo: ma oggi non sono tutti terroristi. La complessa galassia fondamentalista, e gli stessi Fratelli Musulmani, non sono realtà unitarie guidate da “cupole” uniche: al loro interno c’è chi pratica il terrorismo, chi finge di condannarlo, e chi lo condanna davvero, accettando la democrazia e magari vincendo le elezioni. Certo, occorre procedere con i piedi di piombo distinguendo la retorica dai fatti.
Ma rifiutare qualunque rapporto con questi “neo-fondamentalisti”, tornare ad appoggiare i dispotismi militari, restringere il dialogo con l’immigrazione all’ultra-minoritario islam laicista di qualche intellettuale significa disfare come Penelope una tela che la diplomazia americana (e italiana) ha tessuto pazientemente dopo l’Undici Settembre e avviarsi all’unico esito possibile di uno scontro finale e apocalittico con l’islam.
Così come predicare l’astensione nelle elezioni italiane (o americane) significa non capire che sulle questioni del terrorismo e dell’immigrazione la Sinistra è parte del problema, mentre il centro-destra (anche se non è infallibile e commette, come chiunque, i suoi errori) lavora per la soluzione. È troppo facile attaccare Magdi Allam come molti hanno fatto accusandolo di trasformare questioni personali in questioni politiche.
Il fatto che Allam racconti esplicitamente di avere rinunciato a una candidatura in Forza Italia e anche al sostegno al Centrodestra perché aveva chiesto, senza ottenerla, la garanzia di una nomina a ministro in caso di vittoria della Casa delle Libertà il 9 aprile dimostra che, nonostante la lunga permanenza in Italia, al giornalista rimane un’ingenuità che ha poco d’italico: gl’italiani di antico pelo queste cose le fanno, ma non le dicono.
È piuttosto il contrario: è una questione politica che si è trasformata in questione personale, il che è oggettivamente più preoccupante perché rischia di creare confusione e divisioni all’interno di quella maggioranza d’italiani che è preoccupata dal fondamentalismo islamico e sostiene le ragioni di una lotta intransigente al terrorismo.