Le ambiguità del voto a Roma sulla missione in Libano - tutti i partiti pensano che sia un'idea nobile, ma ognuno ha le sue riserve mentali e dà alla nobiltà dell'idea un diverso contenuto - riflettono la ben più grave ambiguità che domina a livello europeo. I tamburi di guerra dell'Unione Europea si sono puntualmente rivelati tamburi di latta come quelli del romanzo del 1959 di Günter Grass riscoperto in questi giorni insieme ai trascorsi nazisti dell'autore pacifista tedesco. La Germania, appunto, che sembrava pronta a dispiegare le sue truppe, fiutato il vento infido, ha escluso l'invio di soldati di terra e si limiterà all'appoggio navale. La Francia, il paese che aveva dato più fiato alle trombe di guerra, «per ora» manderà poche centinaia di soldati, e afferma di impegnarne migliaia con un gioco delle tre carte in cui mette nel conto anche militari francesi che già si trovano in Libano da mesi e in alcuni casi da anni. Con il cerino in mano si è ritrovato così il governo Prodi, su cui è tornata come un boomerang l'accusa di «apprendista stregone» incautamente lanciata a Israele.
Per quanto pasticciata, la risoluzione Onu chiede il disarmo degli hezbollah. Il problema è che gli hezbollah, per quanto indeboliti dall'esercito israeliano, sono ancora armati fino ai denti, e Siria e Iran assicurano che continueranno ad armarli alla faccia dell'Onu. Il loro capo Nasrallah e i loro ministri e deputati, tra una passeggiata e l'altra a braccetto con D'Alema, hanno dichiarato che per disarmare i terroristi bisognerà passare sui loro cadaveri.
Dunque, chi disarmerà gli eezbollah? Secondo Prodi, lo farà l'esercito libanese: ma questo ha già dichiarato che gli hezbollah sono più forti e meglio armati delle truppe regolari di Beirut, che né possono né vogliono procedere al disarmo. Quanto ai caschi blu dell'Onu, non sono mai riusciti a disarmare nessuno, neanche i massacratori del Ruanda, non per carenza di capacità tecnica (che ai militari italiani non manca di certo) ma per veti incrociati al Palazzo di Vetro. E se le truppe italiane sparassero un solo colpo contro gli hezbollah, Diliberto e compagni a Roma farebbero cadere il governo.
L'idea più brillante è venuta a D'Alema: cambiamo divisa agli hezbollah e facciamone una divisione dell'esercito libanese. Dev'essere quanto gli hanno suggerito i suoi compagni di merende e di passeggiate a Beirut. Avremmo così dei ladri che operano impunemente travestiti da guardie, dei terroristi incaricati di proteggere l'area dal terrorismo, con conseguenze facili da immaginare. D'Alema potrebbe proporre al suo amico Putin di trasformare i terroristi ceceni in una divisione dell'esercito russo, o al collega ministro Visco di arruolare, se non nei carabinieri, almeno nella polizia tributaria i picciotti della mafia, che certamente dispongono di metodi altamente persuasivi per far pagare a commercianti e professionisti le nuove gabelle del governo Prodi.
Non è poi nemmeno sicuro che, per quanto amici di D'Alema e gemellati con Diliberto, gli hezbollah non sparino comunque sui soldati italiani. Una cosa sono i capi a Beirut, un'altra le cellule nei villaggi fanatizzate dall'odio contro i «crociati» occidentali in genere. Insomma, un'operazione per ora ambigua che nasce dalla combinazione fra la volontà di protagonismo di un governo debole e il complesso anti-israeliano di una sinistra che pensa che i nostri soldati debbano proteggere i terroristi da Israele e non Israele dai terroristi. La Casa delle libertà farà bene a mantenersi diffidente.