Le perplessità della Casa delle libertà su una missione in Libano le cui regole d’ingaggio non siano chiaramente definite da un passaggio in Parlamento appaiono sempre più giustificate dall’atteggiamento di Massimo D'Alema, che a Beirut si reca subito a farsi fotografare davanti a qualche casa distrutta nei quartieri sciiti declamando ancora una volta sulla reazione israeliana «sproporzionata» e sulle guerre «fabbrica di terroristi». Non risultano fotografie di D’Alema di fronte a case sventrate dai missili hezbollah in Galilea, né commenti sul fatto che questa guerra la hanno provocata i terroristi attaccando Israele.
Soprattutto - considerando che il termine nasce da intellettuali liberal cui D’Alema dovrebbe sentirsi politicamente vicino - manca un qualunque riferimento al dibattito in corso sul termine usato dal presidente Bush: «islamo-fascismo». Si comprende l’uso tattico di Bush di un’espressione coniata dai suoi avversari: ma sarebbe più esatto parlare di «islamo-nazismo». Soprattutto da quando se ne è impadronito Ahmadinejad, il regime iraniano è diventato quanto di più simile al nazional-socialismo il mondo abbia visto nella sua storia. Certo, le radici culturali della Germania di Hitler e dell’Iran degli ayatollah sono diverse. Ma i sociologi hanno messo in luce come il millenarismo, l’attesa di eventi apocalittici e di una imminente trasformazione radicale del mondo, sia una categoria universale che, per quanto la si declini con linguaggi diversi, tende a produrre gli stessi risultati di morte. Hitler pensava a un Reich millenario dominato dalla razza ariana, una «Germania dei mille anni» le cui armate avrebbero soggiogato il mondo intero. Ahmadinejad, che riprende gli spunti più millenaristi del complesso pensiero di Khomeini, crede fermamente nel mito sciita dell’imam nascosto che riemergerà dal suo plurisecolare occultamento per guidare la Shia a conquistare tutto il mondo. Pensa davvero che l’imam nascosto emergerà da un pozzo di una remota regione iraniana, intorno al quale ha già fatto costruire un suntuoso palazzo per accoglierlo e alberghi a sette stelle. Bin Laden, dal canto suo, utilizza una letteratura sunnita, soprattutto egiziana, tutta imperniata sullo scontro finale fra il Dajjal, l’Anticristo, e il Messia islamico, il Mahdi. Né valgono le obiezioni del sociologo consigliere di Chirac, Gilles Kepel, secondo cui non si può parlare di fascismo o nazismo, perché Mussolini e Hitler avevano un seguito di massa che Bin Laden o Nasrallah non hanno: certo, i terroristi attivi sono (relativamente) pochi, ma i fondamentalisti sono milioni.
La follia millenarista ha sempre bisogno di un capro espiatorio da distruggere perché il piano del messia millenario di turno trionfi. Per Hitler e per Ahmadinejad il capro espiatorio è lo stesso: gli ebrei. Ogni giorno il presidente iraniano predica più chiaramente lo sterminio non solo di Israele ma degli ebrei in genere, esattamente come Hitler negli anni Trenta. Nasrallah gli fa eco. E, come allora, c’è una classe politica del mondo libero che si tura le orecchie per non sentire. Andiamo in Libano a combattere l’islamo-nazismo o a proteggerlo da Israele? Se la risposta sarà ambigua - o chiaramente anti-israeliana, come l’ha formulata in esplicito il solito Diliberto -, risuoneranno echi sinistri della conferenza di Monaco del 1938, dove l’Europa di fronte al nazismo - come disse Churchill - «scelse la vergogna per non avere la guerra, e finì per avere sia la vergogna sia la guerra».