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L’uso strumentale delle parole di Papa Ratzinger

di Massimo Introvigne (il Giornale, 26 luglio 2006)

Il partito anti-israeliano – che con varie sfumature, da D’Alema “equivicino” a Diliberto amico degli Hezbollah, domina la coalizione di Prodi – è impegnato in un’operazione propagandistica che si indirizza anzitutto ai cattolici dell’Unione. Noi, dicono in sostanza i prodiani, chiediamo un cessate il fuoco immediato che fermi l’offensiva di Israele: ma siamo in buona compagnia perché la stessa cosa la chiede il Papa.

L’Unione confonde ad arte due cose assai diverse tra loro. Il Papa ha rivolto “un appello alle parti in conflitto perché cessino subito il fuoco”, sulla base di tre principi: “il diritto dei Libanesi all'integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana”. È evidente che il Papa chiede un cessate il fuoco bilaterale: si appella “alle parti”, non solo a Israele. Purtroppo – non per colpa del Papa, ma neppure di Israele – un cessate il fuoco bilaterale, concordato tra Israele e gli Hezbollah, non è all’ordine del giorno. Ancora ieri, sul giornale degli Hezbollah, il loro capo Nasrallah ha dichiarato che è disponibile a che il governo libanese concordi uno scambio fra i due soldati israeliani rapiti il 12 luglio e un numero imprecisato di musulmani detenuti per terrorismo nelle carceri israeliane, ma ha scritto a chiare lettere che non intende neppure prendere in considerazione lo smantellamento delle postazioni missilistiche e la cessazione del “bombardamento degli insediamenti sionisti”. Cessare il fuoco significa precisamente smettere di bombardare il nemico: dunque gli Hezbollah non sono disponibili a un cessate il fuoco.

Quello di cui si discute a Roma, a Gerusalemme, a Washington e altrove non è il cessate il fuoco bilaterale di cui parla Benedetto XVI, ma un cessate il fuoco unilaterale da parte di Israele, che accetta la richiesta che gli viene da un certo numero di paesi più o meno amici e alleati di arrestare l’avanzata delle sue truppe che stanno neutralizzando le postazioni degli Hezbollah. I veri alleati di Israele – a partire dagli Stati Uniti – chiedono un cessate il fuoco, secondo le parole di Condi Rice, “quando se ne realizzino le condizioni”, cioè quando le truppe israeliane abbiano distrutto la maggioranza delle rampe da cui Hezbollah lancia missili sul suo territorio, e abbiano così indebolito la capacità militare delle milizie di Nasrallah da permettere all’esercito libanese di disarmarle, restaurando così quella sovranità del Libano su tutto il suo territorio di cui parla il Papa. I falsi alleati di Israele – che abbondano in Europa e nell’Unione – vogliono fermare l’esercito israeliano prima che questo abbia messo Hezbollah in condizione di non nuocere. I missili continuerebbero a colpire Israele, e il “diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato” richiamato con chiarezza dal Papa rimarrebbe un’utopia. Quanto al “diritto dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana”, gli israeliani lo offrono da anni, a condizione che il nuovo Stato palestinese lasci “vivere in pace” Israele, cioè ne riconosca l’esistenza e rinunci ad attaccarlo con attentati terroristici: è quanto Hamas finora rifiuta, anche se – spaventato dalla guerra – sta aprendo qualche spiraglio. Ascrivere al campo anti-israeliano un Papa che ha parlato più volte con forza e coraggio del diritto di Israele alla sua sicurezza può forse servire a una propaganda da bassa cucina politica, ma ne travisa le parole in modo intollerabile.