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La missione Onu penalizzerebbe soltanto Israele

di Massimo Introvigne (il Giornale, 19 luglio 2006)

Massimo D’Alema è così entusiasta dell’invio di una forza di pace, con soldati italiani, in Libano, che ne vuole mandare una anche a Gaza. L’entusiasmo è prematuro, contraddittorio rispetto al programma dell’Unione, e sospetto. L’Unione ha attirato un buon numero di elettori contrari alle missioni italiane in Irak e in Afghanistan e al rischio che soldati italiani fossero coinvolti in azioni di guerra. Una minoranza di questi elettori fa il tifo per i terroristi della cosiddetta «resistenza» irakena e per i talebani in nome dell’odio anti-americano. La maggioranza è rimasta impressionata dalla vecchia retorica secondo cui non si capisce perché dei poveri figli di mamme italiane debbano morire per Bagdad, Kabul o qualunque altro posto più o meno difficile da localizzare sulla carta geografica. A questo elettore dell’Unione è ora proposto di mandare soldati italiani in Libano e a Gaza dove le probabilità di tornare a casa in una bara sono molto più alte che in Irak o in Afghanistan. Il passato remoto libanese e quello prossimo irakeno dimostrano che il cappello dell’Onu contro i terroristi è una protezione di cartapesta.

Ci dirà D’Alema che, oltre a Chirac, la cui avversione per Israele è ormai quasi patologica, l’idea della forza internazionale è sostenuta da Tony Blair: il quale, peraltro, da qualche mese sembra preoccuparsi parecchio dei buoni rapporti con l’ampia comunità islamica presente in Gran Bretagna e appare comunque assai più cauto.

Le azioni di interposizione dell’Onu non funzionano quasi mai. Hanno qualche possibilità di successo quando sono gradite alle due parti in causa. In questo caso Israele ha dichiarato che per il momento il dispiegamento di forze internazionali non è di alcuna utilità. Israele in questa vicenda è il Paese aggredito, non quello aggressore. Non solo suoi soldati sono stati rapiti, ma ci sono razzi puntati sulle sue principali città, che il suo esercito si è mosso per trovare e distruggere. Qualunque Paese farebbe lo stesso e neppure D’Alema tollererebbe che - poniamo - l’Albania dispiegasse missili in grado di colpire Bari, Ancona e Venezia. Se le truppe Onu vanno a fermare l’esercito israeliano prima che abbia completato l’identificazione e l’eliminazione dei razzi, non vanno a «interporsi» ma ad aiutare gli Hezbollah. Israele è anche intenzionata a eliminare fisicamente i principali capi delle fazioni più direttamente legate a Teheran degli Hezbollah e di Hamas. Le anime belle che deplorano queste esecuzioni meditino sul fatto che l’eliminazione dei leader di Hamas Yassin e Rantisi ha a suo tempo garantito parecchi mesi senza attentati suicidi da parte dell’organizzazione palestinese. Se le truppe dell’Onu bloccano l’esercito israeliano prima che completi quest’opera, di nuovo non sono neutrali, ma di fatto proteggono i terroristi. I soldati dell’Onu potrebbero essere utili: ma dopo, non prima che Israele abbia completato l’opera di smantellamento delle postazioni terroristiche più pericolose.

Se il progetto è quello di Chirac - usare l’Onu per «impedire a Israele di sconfiggere gli Hezbollah» - non si tratta di una missione di pace ma di un’operazione anti-israeliana. In questo caso si espongono a rischi altissimi soldati italiani non in nome della pace ma dell’avversione a Israele che è nel Dna della sinistra e del desiderio di proteggere quegli Hezbollah, che pochi mesi fa il leader di un partito di governo, Diliberto, andava a omaggiare e sostenere a Beirut. D’Alema lo spieghi chiaramente agli italiani.