Di fronte a D'Alema che si proclama «equivicino» a Israele e al governo palestinese, e che condanna «nello stesso modo» i rapimenti di israeliani e la reazione del governo Olmert, di fronte a Comunisti italiani e Rifondazione che brigano per invitare in Italia esponenti di organizzazioni terroristiche, è venuto il momento di parlare chiaro sulla Palestina. L'opposizione di centrodestra ha una splendida opportunità per denunciare le figuracce internazionali del governo Prodi e la presenza nella compagine che lo sostiene di autentici amici dei terroristi.
Da anni Israele è sottoposto a uno stillicidio quotidiano di attacchi terroristici che hanno fatto migliaia di morti, donne e bambini compresi. È come se sulle principali città italiane piovessero razzi e si tentassero attentati tutti i giorni. Il terrorismo è organizzato - contro la vulgata corrente - da entrambe le principali correnti politiche palestinesi: i laici di Fatah e i fondamentalisti di Hamas. Nel sistema politico palestinese i laici esprimono il presidente, Abu Mazen, uscito da elezioni democratiche ma non rappresentative, boicottate da Hamas, che alle elezioni politiche cui invece ha partecipato ha dimostrato di essere il primo partito ed esprime il governo guidato dal primo ministro Haniye. Abu Mazen e Haniye sono meno estremisti dei leader che stanno in esilio a Damasco e prendono ordini dal governo siriano e da quello iraniano. Ma siccome il denaro per i palestinesi viene da Teheran, e le armi da Damasco, le possibilità che prevalgano i meno estremisti sono quasi inesistenti.
La linea Sharon contava sulla stanchezza dei palestinesi dopo anni di guerre e sulla lenta prevalenza all'interno dei Territori di un fronte «trattativista» disposto a una tregua imperniata sulla nascita di uno Stato palestinese nei confini del 1967, che nessun palestinese considera ideali ma che i fondamentalisti maggioritari avrebbero accettato barattandoli con il carattere islamico dello Stato. Questa linea era in realtà ancora possibile dopo la vittoria elettorale di Hamas, a patto che Hamas si spaccasse in due e che la fazione realista nei Territori rompesse con quella oltranzista in esilio a Damasco. Non è possibile oggi, perché a Damasco il regime regge, e ad Assad si è aggiunto Ahmadinejad come sponsor danaroso e non troppo occulto di tutte le fazioni estremiste palestinesi. Non bisogna illudersi: a lungo termine una trattativa che si muova verso la pace è realistica solo se cambiano il regime di Assad in Siria e quello degli ayatollah in Iran. A breve, il dialogo è una chimera ma è possibile per Israele tenere i terroristi sotto controllo con la pressione militare e ritorsioni durissime contro ogni atto di aggressione, rapimenti compresi, dimostrando a qualunque governo palestinese che o controlla i terroristi o Israele gli impedisce di governare. Ogni «buonismo» in questo momento fa solo aumentare gli attentati, e lo stesso vale per la retorica pacifista e dell'«equivicinanza» fra vittime e assassini di Prodi, Chirac e D'Alema. Sostenere Israele nelle sue azioni di oggi, continuando nella discrezione un dialogo, è un dovere di tutto l'Occidente. Qui, più che sul numero di soldati in Afghanistan, passa la linea di demarcazione fra occidentali autentici e chi tollera o sostiene il terrorismo.