Capire cosa succede a Mogadiscio è indispensabile per l'Italia, il paese con i maggiori interessi in Somalia e con la più importante comunità di immigrati somali. Sembra anche molto complicato, ma lo è meno se si usano due chiavi di lettura. La prima è la distinzione nel mondo islamico fra tradizionalisti e fondamentalisti. Entrambi vogliono un'applicazione letterale della legge islamica, la sharia, ma i tradizionalisti si limitano a pensare in termini morali. Il loro problema immediato è impedire alle donne di vestirsi in modo non tradizionale o agli uomini di violare qualcuno dei mille precetti della giurisprudenza islamica. I fondamentalisti pensano invece la sharia in termini non solo morali ma politici, mettendo al centro la questione del potere nazionale e internazionale. I Tribunali islamici di Mogadiscio sono tradizionalisti che ricordano anche nel nome i primi talebani (letteralmente «studenti di diritto») dell'Afghanistan.
La seconda chiave di lettura per l'attuale situazione somala è appunto il paragone con l'Afghanistan di dieci anni fa. I Tribunali islamici controllano solo Mogadiscio - il resto della Somalia è nelle mani di cento poteri tribali e locali - come i talebani controllavano solo Kabul e Kandahar. I tradizionalisti somali godono di un certo appoggio della popolazione, come capitava nel 1996 ai talebani, perché almeno tengono a bada la fortissima criminalità organizzata. Così come i talebani avevano cominciato a vietare le antenne paraboliche e gli aquiloni, i Tribunali islamici di Mogadiscio hanno messo in agenda la repressione di quel poco di libertà di cui godono le donne della capitale somala, la chiusura dei cinema e il divieto di guardare la televisione, che in Somalia - paese ampiamente di lingua e di cultura italiana - consiste in versioni ritrasmesse in modo pirata del Grande Fratello o del Processo di Biscardi. Se il problema fosse solo questo, non sarebbe gravissimo e - almeno quanto al calcio - in via di soluzione: basterebbe sostituire il Processo di Biscardi con i nuovi processi al calcio italiano di Borrelli, personaggio per cui i talebani somali potrebbero perfino sentire una certa affinità. Ma la questione è un'altra. Esattamente come capitò ai talebani a Kabul, i tradizionalisti - concentrati come sono sulla morale - soffrono di una costituzionale debolezza politica, e per governare un paese hanno bisogno di chiamare in soccorso gli ultra-fondamentalisti: locali, se ci sono, diversamente stranieri. Nel 1996 il mullah Omar chiamò a Kabul Osama Bin Laden. Nel 2006 i Tribunali islamici stanno facendo affluire a Mogadiscio milizie di Al Qaida guidate da uno dei più diretti collaboratori di Bin Laden, Muhammad Fazul.
Come in Afghanistan, Al Qaida una volta invitata rischia di non andarsene più e di impadronirsi di tutto il potere.
In tutto questo ci sono delle colpe precise dell'Italia che fino ai primi di maggio - utilizzando la sua complessa rete di relazioni, interessi e intelligence in Somalia - era riuscita a mantenere in equilibrio la situazione a Mogadiscio impedendo che la fazione tradizionalista islamica prevalesse sulle altre.
In altre faccende affaccendato, il nuovo ministero degli Esteri targato D'Alema si è disinteressato della Somalia per qualche settimana.
Né i Tribunali islamici né Al Qaida aspettano i tempi della politica italiana, anzi hanno approfittato delle nostre incertezze per sferrare l'attacco decisivo e impadronirsi di Mogadiscio. La rimonta ora è molto difficile.