Arriva dall'Afghanistan la seconda cartolina insanguinata a Prodi. L'attacco agli Alpini del II Reggimento Cuneo si pone in continuità con la strage di Nassirya e conferma che il terrorismo internazionale è attentissimo alle vicende di casa nostra. Dopo avere raccontato alla sua base, certo forzando la realtà, che sta vincendo la guerra contro l'Italia - che, scrivono i siti vicini ad Al Qaida, andrà via dall'Irak appena insediato il nuovo governo Prodi - il terrorismo vuole stravincere facendoci scappare anche dall'Afghanistan. Si tratterebbe di una vittoria assai più significativa, perché la missione in Afghanistan ebbe a godere a suo tempo di un consenso assai più ampio di quella in Irak. Tranne pochi estremisti all'interno dei Comunisti italiani e di Rifondazione - purtroppo rappresentati nella coalizione di governo - nessuno dubita che Bin Laden addestrasse i suoi operatori di morte in Afghanistan e che fosse necessario e sacrosanto smantellare manu militari le sue basi in quel Paese, liberando nel contempo gli afghani dalla cappa di piombo del sanguinario regime talebano. C'è di più. Mentre in Irak cacciare gli italiani ha soprattutto un significato simbolico - peraltro notevolissimo - in Afghanistan gli italiani sono temuti per la loro particolare professionalità ed esperienza nel dare la caccia ai trafficanti di droga. E la droga afghana è il carburante finanziario per gran parte del terrorismo internazionale. Il presidente afghano Karzai ha dichiarato guerra alla produzione di oppio nel suo Paese, che fornisce l'87% della materia prima al traffico mondiale di eroina.
I talebani, che vorrebbero creare una «resistenza» di tipo irakeno in Afghanistan, si finanziano principalmente attraverso la coltivazione del papavero da oppio. In parte i proventi passano ad Al Qaida, e questa ha stipulato una salda alleanza con il terrorismo comunista colombiano per la gestione internazionale del traffico di droga.
I terroristi ultra-fondamentalisti sono musulmani puritani per cui non solo la droga, ma perfino un bicchiere di vino o di birra costituiscono un peccato che porta dritti all'inferno. Ma le fatwa delle loro autorità religiose hanno da tempo stabilito che, se il consumo di droga è assolutamente vietato ai musulmani, il traffico e lo spaccio sono lodevoli se le droghe sono destinate all'Occidente, perché si tratta di un mezzo per fiaccare il nemico e rendere ancora più imbelle una gioventù già descritta come fatta di ragazzi che amano la (bella) vita quanto i giovani «martiri» musulmani - secondo la retorica di Bin Laden - amano la morte.
La droga così diventa una vera e propria arma di distruzione di massa, un'arma chimica non meno letale di altre utilizzate dal terrorismo islamico nella guerra che ha dichiarato all'Occidente. Tanto meglio se poi entra anche qualche miliardo nelle casse dei talebani o di Bin Laden. L'uso spregiudicato del traffico di droga come mezzo di finanziamento dovrebbe aprire gli occhi a chi ancora considera romanticamente i terroristi islamici come «resistenti» o difensori degli oppressi, mentre si tratta semplicemente di criminali. Le capacità operative delle forze italiane in Afghanistan nel combattere il traffico di droga dei terroristi hanno loro guadagnato la simpatia e la gratitudine del popolo afghano e delle organizzazioni internazionali che lottano contro la piaga della droga. Ma nell'Unione c'è chi già parla di privare gli afghani di questa professionalità, tagliando la corda anche da Kabul.