Ventiquattr'ore dopo avere giurato via Internet di non dare tregua ai «crociati» occidentali, il superterrorista al-Zarqawi - che controlla, in ormai aperta collaborazione con i nostalgici di Saddam, il terrorismo sunnita nella zona di Nassirya - manda un messaggio, scritto come è sua barbara abitudine col sangue, alla politica italiana e a Romano Prodi. La tesi dell'attentato «inutile» - perché l'Italia ha già concordato con il governo irakeno il rientro dei nostri soldati entro quest'anno - fa comodo al centrosinistra ma interpreta in modo del tutto sbagliato la realtà irakena. Il terrorismo ha bisogno di presentare alla sua base ogni movimento di soldati occidentali non come il risultato di una normale pianificazione strategica, ma come una disfatta di fronte alle invincibili armate di Allah. La differenza fra un ripiegamento concordato e una fuga alla Zapatero può sembrare minima a politici italiani, abituati a ragionare in termini pragmatici. Ma è invece enorme per gli ultra-fondamentalisti islamici, i quali pensano la storia secondo categorie apocalittiche che hanno purtroppo ampia presa su una parte non insignificante dell'opinione pubblica araba. Dopo la fuga degli spagnoli, Al Qaida e al-Zarqawi giocano un'importante battaglia propagandistica per presentare anche il ritiro degli italiani come una nostra disfatta e una loro vittoria. E la propaganda è lo scopo stesso del terrorismo.
Il brutale attacco di Nassirya non è un fatto isolato. Segue tre giorni scanditi dal messaggio audio di Bin Laden, dall'attentato di Dahab nel Sinai, e appunto dal video di al-Zarqawi. E tutto questo mentre il presidente iraniano Ahmadinejad alza i toni sull'olocausto nucleare che attende Israele.
Al di là della solidarietà - certamente sincera (ci mancherebbe) - con le famiglie dei nostri soldati caduti a Nassirya, che non fanno politica ma offrono all'Italia un eroismo quotidiano e silenzioso, il centrosinistra mostra subito quello che si temeva: una clamorosa inadeguatezza di fronte alla guerra mondiale dichiarata dal terrorismo ultra-fondamentalista musulmano all'Occidente. Prodi ha imbarcato nella sua variopinta coalizione i disobbedienti alla Caruso e partiti che - dietro all'apparente moderazione istituzionale di leader abituati ai salotti buoni della televisione come Bertinotti - hanno decine di dirigenti che sono anche membri delle vergognose associazioni di sostegno alla sempre più sedicente resistenza irakena, cioè agli assassini di donne e bambini nei mercati di Bagdad e di militari italiani a Nassirya. Questi partiti possono anche condannare gli attentati. Ma finché non cacciano i dirigenti e gli iscritti che si schierano con al-Zarqawi o con Hamas - e non hanno nessuna intenzione di farlo - le loro chiacchiere continuano, come si dice, a stare a zero. Con la sua risicata maggioranza, Prodi non può perdere neppure uno di questi estremisti. Di qui la condanna tardiva dei mascalzoni che bruciano bandiere israeliane e inneggiano al terrorismo palestinese. E soprattutto una linea politica imbelle e buonista, secondo cui non c'è nessuna guerra mondiale ma - dal Sinai a Nassirya - si tratta sempre e solo di episodi isolati. La stoltezza è quasi peggiore della tolleranza verso i mascalzoni. Chi si rifiuta di vedere che c'è una guerra è già certo di perderla.
Continuando così, il grido folle dei teppisti in corteo a Roma - «Dieci, cento, mille Nassirya» - sta diventando una profezia che si auto-avvera: oggi in Irak, domani in Italia.