Si è aperta sulla stampa italiana una strana stagione di caccia al credente. Intervistato dalla Stampa il solito Dan Brown, appena assolto a Londra dall'accusa di aver plagiato per il suo Codice da Vinci opere storiche - peraltro di serie B - solo perché, come afferma la sentenza, «non ha né credenziali né capacità come storico», sentenzia che «avere la religione vieta l'uso dell'intelletto». San Tommaso d'Aquino, Newton e Alessandro Manzoni - e molti altri intellettuali credenti - aspettano Dan Brown nell'Aldilà per una verifica.
Le librerie sono invase da una letteratura già vecchia, predisposta da autori che pensavano che il cattolico adulto Prodi - con l'aiuto degli adulti non cattolici Luxuria e Capezzone - riducesse ai minimi termini la Casa delle libertà e si trovasse di fronte come unici oppositori i vescovi. Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente. Con disappunto di Melissa P., la ragazzina siciliana passata dalla pornografia alla teologia che scrive al cardinale Ruini una lettera In nome dell'amore e si lamenta perché il porporato non risponde. Forse il cardinale ha altro da fare che commentare un libro dove l'autrice si vanta non solo di averne fatte di tutti i colori sia con gli uomini ma con le donne, ma di tenersi perfino in casa una gatta lesbica. Tuttavia, Melissa P. non demorde, e rimette insieme tutti i luoghi comuni sulla Chiesa nemica delle donne - stesso tema di Dan Brown, appunto - prima di farci scoprire, alla fine del libro, che la sua lettera, più che in nome dell'amore, è scritta in nome del sesso, che può dare belle soddisfazioni anche dove l'amore non c'è.
Viene in mente il commento di un'editorialista americana, laica e femminista, all'enciclica di Benedetto XVI sull'amore: se il confronto è tra chi considera l'amore una forma di football americano dove ci si abbarbica gli uni agli altri per sport o per denaro e chi, come il pontefice, presenta l'amore come un anticipo di eternità, allora il Papa ha già vinto in partenza.
Meno scusabile di Melissa P. - che almeno può invocare le attenuanti generiche della giovane età e di quel tipo di vita spericolata che normalmente non giova, per dirla con Dan Brown, al buon «uso dell'intelletto» - è il professor Carlo Augusto Viano, noto filosofo che - dopo essere andato in pensione - ha deciso di togliersi tutti i sassolini dalle scarpe. Nel suo Laici in ginocchio, Viano bacchetta perfino i noti clericali Eugenio Scalfari ed Emma Bonino perché (talora) parlano con rispetto della religione. Niente affatto, sostiene il filosofo: le religioni - tutte - sono «catene dell'intelligenza» e costituiscono «le principali minacce per la vita degli uomini». Viano si chiede come si possa continuare a credere a «cose strampalate» come «miracoli e promesse di risurrezione dopo la morte», e si risponde che gli «spettacoli religiosi» funzionano perché «le mascherate hanno presa: non hanno un successo paragonabile i cantanti?». Quanto alla morale, «di un brigante un minimo ti puoi fidare, di un uomo di fede no». Addirittura.
Anche se i mezzi a disposizione di questi piccoli Zapatero all'italiana sono considerevoli - sarebbe dunque sbagliato sottovalutarli - essi non rappresentano l'annuncio di un mondo nuovo, ma l'ultima raffica di un passato sconfitto. Le statistiche li incalzano implacabili: in Italia scende ogni anno il numero di atei e di agnostici, cresce soprattutto fra i giovani quello dei credenti, e le udienze di Benedetto XVI superano per partecipanti le cifre già da record di Giovanni Paolo II. Tutti deboli di mente?