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Da La Stampa del 25 aprile 2006: intervista a Dan Brown e articolo di commento di Massimo Introvigne

«Nel nome del Padre, del Figlio e del sacro femminino perduto»

Intervista a Dan Brown a cura di Paolo Mastrolilli

PORTSMOUTH (New Hampshire)
«Se qualcuno avesse intenzione di farmi causa, distribuiamo i moduli appositi all'uscita dalla sala». Ha voglia di scherzare, Dan Brown. E dopo 43 milioni di copie del Codice da Vinci vendute in tutto il mondo si capisce, anche perché le cause per plagio finora le ha vinte tutte lui. Poi si sfotte da solo: «Il mio agente sostiene che ormai l'unica maniera di farmi apparire in pubblico è portarmi in tribunale».

Invece no. Domenica sera Brown è apparso con l'abituale maglia nera alla Music Hall di Portsmouth, nell'amato New Hampshire da cui non vuole proprio separarsi. Ha tenuto un discorso, si è lasciato intervistare da Laura Knoy della Public Radio locale, e ha risposto anche alle domande del pubblico. Occasione: l'uscita il 19 maggio del film sul Codice da Vinci, che in Italia verrà doppiata a giugno dalla pubblicazione da Mondadori di Digital Fortress (il titolo italiano non è ancora stato definito).

«Il film - ha garantito lo scrittore - è sorprendente. Ron Howard non ha ammorbidito i temi più controversi». Proprio la controversia è l'elemento che interessa di più a Brown. Non quella legale, ormai alle spalle, ma quella teologica: «Alcune suore cattoliche mi hanno detto che vorrebbero picchiarmi le dita col righello, ma molte altre hanno avuto la reazione opposta. Per loro l'idea del sacro femminino perduto, l'emarginazione delle donne nella religione, ha davvero toccato un nervo scoperto. Diverse suore mi hanno confessato che la lettura del romanzo ha dato loro la forza di parlare di un soggetto vietato. Sono persone che hanno consacrato la vita alla Chiesa, hanno figurativamente sposato Gesù, dedicato tutte le loro energie alla fede, eppure la Chiesa le dichiara non adatte a essere preti soltanto perché donne. Come può essere? Non c'è una risposta giusta. Non puoi replicare semplicemente che la Chiesa funzionava così all'inizio. Seguendo questa logica, dovremmo ancora bruciare le streghe e sostenere che il sole gira intorno alla Terra. La religione è un lavoro in corso. Impariamo dai suoi errori. Noi ci evolviamo e maturiamo, e questo è ciò che conserva la religione eccitante e rilevante».

È il punto che preme a Brown. La storia di Maria Maddalena sposa di Gesù e madre dei suoi figli rimette in discussione la versione accettata nei secoli. Quindi scuote le fondamenta del cristianesimo organizzato, così come la recente pubblicazione del Vangelo di Giuda: «Non so cosa decideranno alla fine gli storici e i teologi sul valore di questo testo, se cambierà la nostra percezione dell'apostolo traditore, ma penso che scartarlo a priori sia un errore. È un atteggiamento comprensibile, però non avremmo almeno l'obbligo di esaminarlo e concedergli il beneficio del dubbio?».

Per Brown, insomma, il dibattito è essenziale: «Noi adoriamo ancora il Dio dei nostri padri. Se fossimo nati in un'altra cultura, saremmo buddisti». Davanti a un cielo stellato, però, tutti abbiamo l'impressione di sperimentare il divino: «Poi ci sono modi diversi di descriverlo, ma questo va bene». La fede «risponde ancora alle domande a cui la scienza non arriva: perché siamo qui? Dove andiamo dopo la morte? Cosa significa tutto questo?». Perciò sarebbe ora che scienza e religione smettessero di considerarsi avversari e cominciassero a trattarsi da partner: «Sono due linguaggi diversi che cercano di raccontare la stessa storia. Entrambe sono manifestazioni della ricerca dell'uomo per comprendere il divino».

Brown forse non capisce che le sue parole sono l'essenza del relativismo, anatema per chiunque pensi di possedere la verità rivelata. Quindi continua: «Come può la religione rimanere rilevante nel mondo moderno, se averla vieta l'uso dell'intelletto? Se chiede il credo assoluto senza permettere la ricerca? Se proclama le risposte ma dichiara fuorilegge le domande?».

Il pubblico allora chiede: cosa pensa dei suoi critici come il Vaticano e la stessa Opus Dei, che giudicano sbagliati gli argomenti del Codice da Vinci?

«Io non ho la risposta. Lascio che gli studiosi della Bibbia e gli storici combattano per trovarla. Il dibattito, però, è benvenuto: considerate che è domenica sera e siamo qui a discutere di religione, invece di guardare in tv le Casalinghe disperate».

Brown ha pure qualche confessione personale da fare: sogna di tornare a insegnare, è cresciuto in una casa dove non c'era il televisore e così ha sviluppato la sua immaginazione, ma quando ha problemi creativi da risolvere si appende a testa in giù come un pipistrello usando i gravity boots. Da bambino cantava nel coro di una chiesa episcopale, ma ora considera la sua religiosità «in cammino». Prima di consegnare il Codice da Vinci aveva passato notti insonni nella casa dei genitori davanti a un lago, «ritrovandomi alle due del mattino in mezzo all'acqua completamente vestito. Non potevo prevedere questo successo, ma ero orgoglioso del manoscritto. La mia vita non è cambiata, a parte la perdita della privacy: la mattina mi ritrovo sempre davanti alla pagina bianca, perché ai miei personaggi non frega niente di quante copie ho venduto».

Il seguito del Codice da Vinci, provvisoriamente intitolato The Solomon Key, parlerà di massoni e dovrebbe uscire nel 2007, anche se Brown vuole prendersi «tutto il tempo necessario a renderlo altrettanto interessante». Quanto alle preoccupazioni dei credenti, lui ci tiene a tranquillizzarli: «Di recente un prete inglese molto saggio ha detto una cosa che condivido: "La teologia cristiana è sopravvissuta agli scritti di Galileo e di Darwin. Di sicuro sopravviverà a quelli di un romanziere del New Hampshire"».

Profeta o mercante del tempio?

di Massimo Introvigne

Dan Brown ci ricasca, nonostante la lezione che gli è stata impartita, il 7 aprile, dal giudice Peter Smith che lo ha assolto a Londra dall'accusa di avere plagiato Il Santo Graal, un saggio uscito nel 1982 che - la sentenza lo riconosce - conteneva «l'essenziale» del Codice da Vinci. Nel corso del processo Brown ha confermato di credere tuttora che le tesi del suo romanzo siano condivise almeno da «alcuni storici»: mentre non esiste un singolo storico accademico al mondo che creda alle fole sui discendenti della Maddalena e sul Priorato di Sion, una brillante invenzione di un gruppo di truffatori francesi che hanno creato nel 1967 un insieme di documenti falsi.

Brown, secondo la sentenza, «non ha né credenziali né capacità come storico», e del resto ha dichiarato a Londra che le parti «storiche» del Codice da Vinci vanno piuttosto attribuite alla moglie Blythe. Proprio per aver ritenuto che Il Codice non abbia alcun valore storico, il giudice ha riconosciuto allo scrittore il diritto di avvalersi di un saggio (sia pure di pessima qualità), cui in diritto inglese un romanziere ha diritto di ispirarsi.

Personalmente credo di conoscere molte suore, e non ne ho mai incontrate di favorevoli al Codice da Vinci. Basta una conoscenza elementare dei primi secoli cristiani per sapere che la divinità di Cristo era riconosciuta dai cristiani fin dai tempi apostolici, che il cristianesimo delle origini ha dato alle donne una dignità nuova e sconosciuta nel mondo precristiano, e che è semmai presso gli gnostici riabilitati da Dan Brown che si trova un sistematico disprezzo per la donna e la sessualità.

Lo scrittore cita un brano dello gnostico Vangelo di Tommaso, dove Gesù ammette la Maddalena tra gli apostoli contro le obiezioni di Pietro. Ma dimentica di citarne la parte finale, dove della Maddalena Gesù afferma: «La guiderò in modo da farne un maschio, affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Perché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei cieli».

Tuttavia, è inutile discutere di storia della Chiesa con chi afferma di trarre le sue informazioni da una letteratura esoterica di serie B. Si può ammirare Dan Brown come romanziere, e invidiarlo come mercante nel tempio di successo. Quando invade il campo degli storici e si presenta come profeta occorre però invitarlo fermamente a scherzare con i fanti e lasciare stare i santi.