Non passa settimana senza che dalla Turchia arrivino notizie di attentati (per ora piccoli) organizzati da movimenti separatisti curdi. Per i turchi riemerge un incubo che ha una storia sanguinosa: i comunisti del Pkk, il Partito dei lavoratori curdi, hanno fatto almeno quarantamila morti fra la fondazione nel 1978 e la cattura a Nairobi nel 1999 del suo sanguinario leader Abdullah Ocalan, che nel 1998 aveva soggiornato anche in Italia, invitato da Rifondazione comunista in un bizzarro episodio che aveva segnato il punto più basso dei rapporti fra Italia e Turchia.
Tutte le volte che l’Europa si preoccupa delle condizioni nelle carceri turche c’è sempre qualcuno che indaga anzitutto su come si trova, all’ergastolo, Ocalan. Grazie a questa protezione internazionale, Ocalan in prigione si trova relativamente bene: non è in isolamento, fa e disfa partiti e alleanze, detta linee politiche e probabilmente organizza anche la ripresa del terrorismo. Dal carcere, Ocalan afferma di avere cambiato molte delle sue idee. Caduta l’Unione sovietica, propone una sintesi fra islam e marxismo e chiama all’alleanza le formazioni terroristiche islamiche e comuniste, secondo la “dottrina Carlos” elaborata in Francia da un altro ergastolano, il superterrorista venezuelano Carlos, che si è convertito all’islam in carcere. I proclami di Ocalan suscitano interesse nel Dhkp/c, il Partito della sinistra rivoluzionaria, la principale formazione terrorista comunista non curda, che trova a sua volta aiuti e sostegni nell’estrema sinistra italiana. Soprattutto, l’incubo dei turchi è una collaborazione fra le due forze principali del separatismo curdo, che finora si sono piuttosto combattute tra loro: il Pkk di Ocalan (sotto qualunque nuovo nome), oggi “islamo-marxista” e che mantiene vecchi legami con i servizi di quella Russia che da due secoli cerca di esercitare un’egemonia sulla Turchia, e gli Hizbollah curdi, terroristi ultra-fondamentalisti islamici per ora capaci di fare “solo” qualche centinaio di morti ma pericolosi perché sostenuti e armati dagli ayatollah di Teheran.
L’Unione europea si comporta in modo sempre più maldestro sulla questione curda, chiedendo l’autonomia del Kurdistan turco, un’amnistia estesa anche a Ocalan, e l’abolizione della quota di sbarramento del dieci per cento nelle elezioni turche, creata contro i partitini fondamentalisti e di estrema destra e sinistra ma soprattutto per impedire a movimenti separatisti curdi di entrare in Parlamento. La stragrande maggioranza dei turchi è contraria a queste richieste, e l’esercito non le accetterebbe mai. Sono domande non realistiche, di cui si potrebbe forse discutere anni dopo la fine di un’emergenza terroristica, che è invece pienamente in corso. La Turchia, che ha fatto fronte da sola al più forte terrorismo europeo per decenni, non ha bisogno di lezioni buoniste da Bruxelles su come affrontare questa emergenza.