Le trattative di Ehud Olmert (il successore di Ariel Sharon alla guida del partito Kadima, creato da Sharon stesso per cercare di accelerare la realizzazione del processo di pace e stabilizzazione in Medio Oriente) per formare un nuovo governo in Israele tengono sempre più conto di un dato sfuggito alla maggioranza dei commentatori stranieri: il successo elettorale dei partiti religiosi e la sparizione delle forze di tipo esplicitamente laicista e antireligioso come lo Shinui, precipitato dai 15 seggi che lo avevano portato a entrare nel governo Sharon dopo le elezioni del 2003 a un risultato sotto il quorum che stavolta lo ha tenuto fuori del Parlamento.
I partiti religiosi ultraortodossi dal 2003 al 2006 sono passati da 16 a 19 seggi, solo uno meno dei laburisti.
A rigore, non è corretto sommare agli ultraortodossi dello Shas sefardita (13 seggi) e Yahadut-HaTorah ashkenazita (6 seggi) il Partito Nazional-Religioso (9 seggi) arrivando a 28 seggi, gli stessi del partito vittorioso Kadima. Fin dalle loro origini ultraortodossi e nazional-religiosi sono espressione di modi diversi di intendere il rapporto fra ebraismo e Stato di Israele.
Gli ultraortodossi sono gli eredi di quel mondo ebraico che aveva inizialmente rifiutato Israele come impresa laica e avviata da sionisti in gran parte non credenti, adattandosi poi a convivere con lo Stato ed entrando nel gioco elettorale. Questo mondo usa la sua disponibilità a sostenere le politiche estere dei partiti di maggioranza come moneta di scambio per ottenere quanto i suoi elettori chiedono sul terreno morale, delle leggi sul rispetto del sabato e soprattutto del sostegno dello Stato alle scuole rabbiniche, attraverso gli aiuti economici e l’esenzione per gli studenti dal servizio militare.
I nazional-religiosi nascono dalle idee di Rabbi Abraham Isaac Kook (1865-1935), rabbino capo ashkenazita della Palestina britannica, il quale riteneva che lo Stato di Israele, pure fondato da uomini non religiosi, corrispondesse a un disegno di Dio che ben poteva servirsi anche di laicisti per realizzare i suoi progetti. I nazional-religiosi non chiedono l’esenzione dal servizio militare, anzi militano con entusiasmo nell’esercito israeliano, ma sono meno pragmatici in politica estera e rimangono nostalgici del sogno del Grande Israele.
Per questo i nazional-religiosi restano fuori dai colloqui per una coalizione con Kadima, cui partecipano invece gli ultraortodossi, i cui numeri sono decisivi.
In ogni caso, i risultati elettorali israeliani da questo punto di vista assomigliano paradossalmente a quelli palestinesi, e a una tendenza che si ritrova in tutto il mondo: anche in America gli ebrei sono tradizionalmente democratici, ma quelli ortodossi e praticanti nel 2004 hanno votato prevalentemente per Bush.
In molte parti del mondo i partiti di ispirazione religiosa avanzano, spinti da reti di efficienti servizi sociali e dalla demografia: le mamme religiose fanno più figli, e alla fine questo si traduce anche in voti alle elezioni. Un dato che può piacere o no, ma con cui Ehud Olmert sta già facendo i conti e che si riprodurrà presto in molti altri Paesi.