Giorno dopo giorno, quella dei rapporti con i Fratelli Musulmani emerge come una delle più importanti questioni nella politica dei governi occidentali nei confronti dell'Islam. Fondati in Egitto nel 1928, i Fratelli sono la più grande organizzazione mondiale del fondamentalismo islamico. Sono difficili da contare, perché in molti paesi non raccolgono adesioni formali, ma della loro famiglia spirituale fanno parte milioni di fedeli musulmani. Esponenti dei Fratelli hanno fatto o fanno parte dei governi in Giordania, Qatar, Oman. Potrebbero entrare nel prossimo governo irakeno. In Marocco - a differenza del partito islamico di opposizione extraparlamentare Giustizia e Beneficenza - il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, più vicino ai Fratelli, partecipa alle elezioni e dialoga con la monarchia. In Malaysia il partito vicino ai Fratelli controlla diverse amministrazioni locali. In Egitto ai Fratelli è proibito partecipare alle elezioni ma, presentandosi come indipendenti, hanno ottenuto nell'ultima tornata elettorale un clamoroso successo e potrebbero vincere le elezioni libere di un inevitabile dopo-Mubarak. In Europa della famiglia ideologica dei Fratelli fanno parte le associazioni che controllano il maggior numero di moschee in Italia (Ucoii) e in Francia (Uoif), e la presenza è forte anche in Inghilterra. Nella comunicazione, Al Jazeera in testa, la presenza dei Fratelli è decisiva. Infine, la branca palestinese dei Fratelli - Hamas - ha appena vinto le elezioni.
In Occidente le posizioni sono due. Per alcuni con i Fratelli non si può e non si deve trattare: anche se condannano (duramente) Al Qaida, sono tutti con Hamas e non è difficile trovare nelle loro pubblicazioni toni estremisti e antisemiti. I Fratelli sono dunque il nemico, e se c'è il rischio che vincano altre elezioni, meglio non farle svolgere e tenersi i dittatori. Per altri i Fratelli sono una realtà così grossa da non poter essere ignorata ed escluderli dalle elezioni significa molto semplicemente rinunciare alla democrazia nel mondo arabo. Su questa linea pragmatica troviamo Condi Rice e i ministri Pisanu in Italia e Sarkozy in Francia. Questo dibattito è però condizionato da un equivoco. Qualunque cosa ne pensi qualche giornalista, da almeno dieci anni i Fratelli non sono una realtà monolitica. Le diverse organizzazioni nazionali hanno ampia autonomia. Non solo c'è uno scontro generazionale, con giovani che scalpitano anche in Egitto per sostituire gli attuali dirigenti ottantenni, ma nella famiglia spirituale dei Fratelli ci sono ormai una destra, un centro e una sinistra. In Francia per esempio se la sinistra di Tariq Ramadan punta su un'alleanza con i no global in funzione anti-americana, la dirigenza dell'Uoif - che ha emarginato Ramadan - si dichiara «naturalmente vicina alla destra, considerate le posizioni di quest'ultima sulla morale e la famiglia». In Egitto nella seconda generazione dei Fratelli ci sono antiamericani alla Ramadan e filoamericani che elogiano il capitalismo e perfino certi aspetti della New Age. Si sbaglia, dunque, a trattare i Fratelli come un'unica organizzazione gerarchica capace di muoversi all'unisono. Il problema non è se dialogare con i Fratelli (di fatto questo avviene da anni), ma quale ala dei Fratelli privilegiare nel dialogo. Anche perché - se il problema Hamas ha una soluzione - forse è proprio all'interno dei Fratelli, delle cui opinioni internazionali Hamas tiene gran conto, che questa può essere trovata.