In Italia siamo più smaliziati della Cnn, e non scambiamo la battuta di un cardinale ai margini di un convegno con “l’opinione ufficiale del Vaticano”. Il cardinale Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio giustizia e pace, si è detto favorevole all’insegnamento dell’islam nelle scuole. Non è una definizione dogmatica, e i cattolici hanno pieno diritto di dissentire. Ma personalmente non sono scandalizzato dall’ipotesi. Da un certo punto di vista, si tratta di un’ovvietà. Il nostro sistema costituzionale prevede, oltre al Concordato, le Intese con le minoranze religiose, e attraverso queste l’insegnamento scolastico, ove necessario, delle religioni di queste minoranze. Nessuno si è mai scandalizzato per l’insegnamento della religione valdese a Torre Pellice.
Il problema è un altro, ed è di ordine pratico: un ordine che, evidentemente, cade fuori dei principi generali enunciati dal cardinale. Lo Stato tramite il Concordato e le Intese affida l’insegnamento delle diverse religioni a enti ben identificati che selezionano gli insegnanti e ne sono responsabili. Se si tratta di religioni a gerarchia verticale non ci sono problemi: si sa chi guida
Da noi in teoria si potrebbe pensare al Marocco, un Paese sufficientemente stabile e moderato e da cui proviene la maggioranza degli immigrati musulmani: ma ormai l’immigrazione si differenzia sempre di più, e un alunno pakistano vive un islam completamente diverso da quello marocchino. Esclusa la scelta delle famiglie, facilmente manipolate da facinorosi (Via Quaranta a Milano insegna), resta l’accordo con un organo rappresentativo, che non può essere