Nel corso di una intervista di Fiamma Nirenstein al Prof. Bernard Lewis (1) egli fu informato dall’intervistatrice che una certa corrente politica italiana era notoriamente favorevole all’ammissione dello Stato di Israele nella Unione Europea. Lewis si mostrò scettico, e rispose che se Israele facesse parte dell’Unione Europea, l’Europa avrebbe frontiere con la Siria, con il Libano, l’Egitto ecc. Geograficamente questo è corretto. E’ da verificare se sia corretto anche ideologicamente.
Si può ancora oggi parlare di “ frontiera” nel senso di separazione geofisica tra Stati Nazionali, si può parlare di un “limes “ come confine tra entità politiche, oppure a questa parola deve essere attribuito un significato puramente ideale? La domanda che posi a me stesso, nacque dal reperimento (peraltro del tutto casuale) di un Atlante Geografico che avevo acquistato per i miei figli decenni addietro. Tutti gli Stati segnati nei continenti dei due emisferi erano bellamente colorati, a significare le loro diversità, le frontiere accuratamente tracciate; in una parola, limitandosi all’Europa, e quindi all’Occidente, le giurisdizioni territoriali, le sovranità, gli Stati-nazione erano correttamente individuati. Correttamente, ma in modo incompleto. Mancava, infatti, la “ Cortina di Ferro “, e questa non era tracciata su nessun Atlante, essendo un confine “ ideologico “. Aprendo oggi un Atlante più o meno aggiornato, segni di frontiere sono tracciati sulle carte, separano e delimitano porzioni di spazi geografici caratterizzati da diverse entità politiche, aventi maggiori o minori diversità e/o affinità etniche e sociali, e segnano il perimetro, la porzione di territorio avente determinate caratteristiche, le cui componenti-chiave sono la razza , l’etnia, la cultura (lingua e religione), una sola giurisdizione territoriale e, in breve, una identità nazionale. In altre parole c’è ( o c’era) una vicinanza di Stati nazione, le cui storie si intrecciavano in alterne vicissitudini nel corso dei secoli.
Oggi è possibile spostarsi liberamente nell’ Occidente Europeo senza incontrare barre di confine e spazi doganali, ma soltanto cartelli indicatori che indicano quale territorio politico si calpesta materialmente, in quale Nazione ci troviamo, e sotto quale giurisdizione territoriale siamo soggetti di diritti e di doveri.
Allora è possibile chiedersi quale significato dare alla parola “ frontiera “, e soprattutto se essa esiste ancora come separazione geofisica tra Stati Nazione.
Essa segnava una fine ed un principio,un distacco, un segno di diversità tra entità geopolitiche diverse, diverse per la lingua parlata, anche se appartenente ad un unico ceppo linguistico, per le condizioni socio politiche, per la ricchezza, per la civiltà del presente e delle origini. Con il 1989, dissoltasi la “Frontiera Ideologica “ che per mezzo secolo aveva ostacolato i rapporti fra i due blocchi sociopolitici europei originati dalla fine della seconda guerra mondiale, e con l’avvento della Unità Europea, sono stati teoricamente eliminati quei confini che per secoli avevano segnato una frattura nella continuità geografica del territorio, frattura e diversità che avrebbero potuto alimentare mire espansionistiche e imperialistiche, come storicamente avvenuto, portando conflitti di varia natura ed in conseguenza la fine ed il principio degli Stati o la loro modificazione geostorica. La perdita della primitiva importanza attribuita alle frontiere con la nascita della Unione Europea, ha consentito a genti e popoli di ceppo culturale-occidentale e di etnie diverse, di far parte di una unica entità socio politica. Si tende, in buona sostanza, a dar vita ad entità politiche con caratteristiche multiculturali, con latenti processi di denazionalizzazione per l’incontro/scontro di civiltà notevolmente diversificate.Con indubbi svantaggi e vantaggi. E’ probabile che ne trarranno vantaggio le Nazioni che fino ad ieri erano considerate appartenenti ad identità considerate marginalmente europee. Si potrebbe portare ad esempio la paradossale situazione geopolitica creatasi negli Stati della Penisola Balcanica con il crollo dei sistemi politici ed economici comunisti. Per secoli queste entità nazionali hanno dato luogo alla “ questione balcanica “ in un gioco di realtà instabili sotto le bandiere ideologiche e religiose più diverse, e che quasi improvvisamente sono state catapultate in una realtà politica ed economica sopranazionale totalmente diversa ed assolutamente sconosciuta. Non sarà facile nè rapido formare una nuova entità sopranazionale senza scosse e traumi per il contatto di genti di diversa morale, di diversa religione, appartenenti a etnie diverse quando non ostili. Con questa nuova situazione socio-politica venutasi a creare nell’Europa Occidentale, la conseguenza immediata è stata una diaspora vera e propria, quasi un esodo a volte, da un paese all’altro, in virtù del principio di accoglienza che vige in Occidente, sotto la spinta demografica derivante dal sottosviluppo economico e dal degrado sociale. Ma la creazione di una Entità politica Sopranazionale non è ancora completamente compiuta, lenta a maturare per le evidenti diversità degli Stati Nazione che l’hanno formata anche come antidoto definitivo al crearsi di conflitti armati che per secoli hanno insanguinato l’Occidente, e per le ritenuta indispensabile Unione Economica e Monetaria. Tale entità sopranazionale non ha avuto una gestazione pre-politica, non era mai esistita sotto la forma di soggetto di persona collettiva e come una persona giuridica pubblica che comprendesse, al suo interno, entità politiche di diversa estrazione culturale, etnica, religiosa, se non sotto forma di Imperi o di Unioni politiche multietniche forzate che, nel corso dei Secoli, hanno subito la sorte comune a tutti i grandi raggruppamenti socio-politici con lo sfaldarsi e la fine della aggregazione politica originariamente forzata. In questa Europa politica che semplicemente ancora non esiste, tranne come dominio di una moneta comune e che non ha una politica fiscale altrettanto comune poiché sulle decisioni pesano gli interessi dei singoli paesi, genti delle più diverse etnie si spostano da uno Stato-nazione ad un altro nella ricerca di migliori condizioni di vita, e dal fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, la giurisdizione territoriale dello Stato-nazione accogliente ha un corpo di leggi formato a tutto favore dell’immigrato accolto, che sia stato fatto apposta oppure no.
Le precedenti osservazioni valgono per una situazione che deve tenere in conto gli sviluppi tecnologici nel settore delle telecomunicazioni fra gli Stati, con conseguente flusso di una grande quantità di informazioni, notizie, comunicazioni disponibili a chiunque disponga dei mezzi di accesso. Si può osservare che il fenomeno migratorio trae anche gran parte della sua forza dai “ miraggi “ che offrono le cascate di pubblicità dei prodotti più vari, creando l’illusione di esistenti regni di bengodi a portata di mano. E’ del tutto evidente che ciò produce nel “ soggetto ricevente “ una sorta di stimolo per l’ottenimento e per l’accesso di quei servizi di cui il cyberspazio è pieno. Le informazioni, le c.d. “news” per usare il, termine comunemente usato passano ben sopra le “ frontiere “ tradizionali, anzi può ben dirsi che, nel caso specifico, non esistano frontiere. Con le conseguenze più svariate, nel bene e nel male. Antenne e satelliti fanno parte ormai del panorama ( e del degrado) urbano. Una delle conseguenze immediate della persistente presenza di genti di etnia diversa nel territorio è la debolezza interna della sicurezza dello Stato oggetto dello sconfinamento per la scomparsa della frontiera con tutti i suoi tradizionali controlli, anche di “intelligence”. Il controllo del territorio diventa carente, difficile, anche perché le masse di persone, aventi etnia diversa nella maggior parte dei casi, ricompongono la frattura antropologica creatasi con la diaspora riunendosi, quasi in autodifesa, in gruppi con caratteristiche di cittadinanza diversa da quella in cui dovrebbero integrarsi. Inoltre, l’elevatissimo numero di genti extraeuropee presenti nei vari Stati-nazione formanti l’Unione modifica nel tempo il senso dell’identità nazionale già esistente. Il rischio di perdita di identità e di conflitto tra le civiltà diverse gravitanti nello stesso ambito territoriale si presenta molto elevato, ed ha già offerto motivo di preoccupazione. E’ appena il caso di accennare al fatto che il fenomeno dell’attraversamento delle frontiere senza sottoporsi ai controlli di rito è sempre esistito. Ma in misura irrilevante dal punto di vista consequenziale, così come modesto si era verificato, nel Sec. XX, il fenomeno degli “apolidi “, gente privata per motivi generalmente politici della loro identità nazionale originaria, e costretti a vagare da una Nazione ad un’altra per sopravvivere. E già nel periodo fra le due guerre del XX secolo le “frontiere” cominciarono a diventare permeabili, mostrando le tendenza a perdere il significato di rigida separazione fra gli Stati.
Riprendendo quanto detto più sopra sulla esistenza o meno del concetto di “confine” è da osservare che, al contrario, in seguito al disfacimento politico dell’Unione Sovietica, in diverse identità nazionali a carattere strettamente etnico-religioso, tenute insieme a forza dal cosiddetto “impero centrale “, il concetto di “ frontiera “ è stato immediatamente concretizzato al momento del crollo dell’Impero aggregante, con la conseguenza, peraltro abbastanza prevedibile, della nascita di una serie di Stati nazione, entrati quasi immediatamente in conflitto fra loro, vuoi per motivi di “ confine “ vuoi per motivi etnico- religiosi. Senza peraltro tralasciare ragioni economiche per le ricchezze naturali sfruttate o da sfruttare.. E’ d’altra parte chiaro che esisteva già, allo stato latente, una fedeltà pre-politica tenuta compressa, e che esplose al momento dello svanire dello Stato-impero sopranazionale. Si rivelò, allora, il sentimento di identità nazionale, la sensazione di appartenenza ad una entità sociopolitica diversa da quelle immediatamenti confinanti, con l’apertura di ostilità secolari mai sopite, dormienti sotto il tallone dell’Impero multietnico e sopranazionale pre-esistente.
Credo sia il caso, dopo queste brevi considerazioni, osservare più attentamente
il significato da attribuire alla parola “ frontiera “ da un punto di vista geostorico.
Si è accennato molto brevemente alla linea di separazione ideologica e geografica esistente fra un complesso di Stati sovrani alleati politicamente a struttura liberal-capitalistica, ad Occidente, ed una Confederazione di Stati satelliti, uniti da un sistema di alleanze di stretta osservanza marxista ad Oriente.
La frontiera ideologica, espressione di due diversi sistemi politico-economici-sociali
sopravissuti alla fine della seconda guerra mondiale ha avuto effetti devastanti sugli sviluppi storico-sociali degli Stati Nazione che ne erano soggetti, schiavi di un sistema che privilegiava gli interessi di tutte le altre entità politica che ne facevano parte, producendo privazione della libertà personale, dogmatismo, intolleranza. Si è più sopra accennato all’esplosione di identità nazionali seguito al disfacimento della ideologia assurta a frontiera, ed alla ritrovata preminenza della persona umana nel contesto sociale. E ciò vale in massima parte per i nuovi Stati-nazione nati dal dissolvimento della Unione Sovietica. Il fenomeno da osservare, in questo contesto, è quello di un crescente rinnovato nazionalismo, su basi etniche e religiose. E qui si attribuisce alla frontiera il significato tradizionale di divisione geopolitica e il fenomeno transita nella parte Asiatica dell’ex U.R.S.S. Si è pertanto in presenza di nuovi Stati-Nazione, fortemente motivati dal punto di vista nazionalistico, a forte identità etnica ed altrettanto forte e distinta spiritualità. E’ da osservare se, nel corso del tempo,si verificherà un rigetto della identità nazionale così improvvisamente ottenuta, per un ritorno all’identità tribale, per mancanza del sentimento di fedeltà pre-politica che prende il nome di cittadinanza.
Nello stesso tempo, si è verificata una continua e accentuata “ permeabilizzazione “ delle frontiere, per motivi storico-politici, con la conseguenza che lo Stato-nazione deve fronteggiare in emergenza il fenomeno degli sconfinamenti che non sono casuali, ma da assimilare a vere e proprie invasioni. Il fenomeno è variamente sfaccettato, considerando che le etnie che si presentano con caratteristiche invasive nel territorio giurisdizionale dello Stato-nazione non presentano volontà di integrazione, provocando quindi un ovvio fenomeno di rigetto da parte dello Stato accogliente. Si potrebbe presentare il rischio di alterare una identità nazionale, data la spinta demografica, culturale, religiosa della diaspora, e ciò potrebbe portare a conflittualità più o meno latenti.
Al contrario, negli Stati-nazione plurisecolari dell’Occidente, la frontiera, scomparsa come si è gia detto per l’unificazione teoricamente territoriale ma sostanzialmente economico-monetaria dei 23 Stati che a tuttì’oggi compongono la U.E., e per l’affievolirsi dei nazionalismi tradizionali, cerca di risorgere sotto l’aspetto culturale, quale forza ideale aggregante entità socio-politiche aventi origini storico-politiche simili.
Potrebbe prendere corpo, per conseguenza, una diversa concezione del “ limes “, della “frontiera” oggi così comunemente intesa. Il nuovo “ limes “ potrebbe, anzi dovrà essere quello aggregante di entità socio politiche gravitanti nel medesimo “ spazio culturale “, anche se geograficamente parrebbero esserne escluse, perché non materialmente confinanti. Bisogna però intendersi sul significato di “spazio culturale”. Per le nostre considerazioni, possiamo intendere la cultura come un sistema di elementi in relazione tra loro (lingua, letteratura, arte, scienza, etica religione), elementi sociali come costumi,leggi, istituzioni, elementi operativi come varie specie di tecniche. Non possiamo tralasciare, nel significato di cultura, il senso generale della vita,il concetto fondamentale della famiglia, del lavoro, della morte. Nella sua cultura ogni popolo vi trova la sua vera identità, il suo patrimonio accumulato di generazione in generazione
Ora, è irrilevante la contiguità degli Stati-nazione per la determinazione della c.d. “ frontiera culturale “. Se, infatti, per la parte dello spazio geopolitico occidentale, le radici latine dei popoli che hanno creato l’Europa sono sufficienti per identificarsi come culturalmente affini, e queste radici non hanno perduto forza nel tempo, allora la frontiera culturale comprende anche Stati-nazione che geograficamente non sono certamente europei.
E’ stato detto più sopra che la religione è uno degli elementi interpretativi della cultura in generale. Converrebbe forse porre mente che è l’elemento più profondo e determinato, nel senso che ricapitola e riassume tutti gli altri, dato che la cultura include l’insieme dei valori che contano nella vita dell’uomo, e la religione è un valore fondamentale che anzi caratterizza lo stile di vita di ogni cultura. Gradatamente, quindi, lo spazio “ geografico “ viene sempre più inteso come spazio “ culturale “. Ci si può allora lecitamente chiedere se, nella nuova ed ipotetica “ aggregazione culturale “ di Stati-nazione aventi similitudini diverse, vengano meno, o tendano a rafforzarsi, le loro identità originarie.
Indubbiamente, sarebbe un errore trascurare la rilevanza delle identità nazionali per una prima attribuzione alla frontiera del suo significato. La prima valutazione sulla esistenza o meno di un confine comunemente inteso come linea di separazione fra due Stati farà sempre riferimento alle differenze sostanziali che sono le caratteristiche antropologiche, sociologiche e politiche sviluppatesi nel tempo.
Possono quindi, in teoria, essere trascurate le frontiere di Stato tradizionalmente intese, innescandosi un processo, lento ma continuo, di tendenza al multiculturalismo prodromo di denazionalizzazione. La permanenza di etnie diverse, e di diversa religione, potrebbe, nel tempo, portare alla confusione della identità nazionale, con rischio di disintegrazione interna. E ciò è tanto più possibile quanto maggiore è la forza demografica dell’etnia soggetto della diaspora. Da qui la possibile nascita di una etnocrazia, fenomeno imprevisto nella civiltà democratica attuale, ed impedito nel mondo totalitario. E, per assurdo, questa lenta trasformazione della identità nazionale di uno Stato avviene oggi in una delle regioni europee con accentuato carattere non confessionale. Una delle conseguenze delle eliminazione delle frontiere per il sorgere della nuova entità transnazionale è quella della diminuita funzione della sicurezza nazionale. Poiché è venuta meno la necessità continua della difesa della frontiera, la funzione della sicurezza ha perduto gran parte della sua importanza ed ha ridotto l’autorità degli Stati, facendo venir meno una della ragioni principali che inducono le persone ad identificarsi con il loro paese, promuovendo, per contro, l’identificazione con gruppi subnazionali e transnazionali.
La frontiera assumerà carattere sempre più ideale, con marcate caratteristiche di diversità religiosa e culturale, mentre nel tempo la civiltà occidentale dovrà necessariamente demarcare il limite oltre il quale i fenomeni migratori attualmente in atto dovranno essere necessariamente bloccati, a rischio dei perdita di identità nazionale, civile, religiosa.
L’ondata di vere e proprie invasioni di genti provenienti dal Sud e dall’Est europeo se da un lato ha parzialmente eliminata la necessità di mano d’opera, causa il decremento demografico europeo e/o il rifiuto dei giovani europei ad occupare settori della produzione industriale per cause diverse che qui non è il caso di esaminare, ha prodotto negli Stati-nazione problemi che non è azzardato giudicare marginalmente solubili. A parte la continuità del fenomeno, che continua a protrarsi nel tempo con continui attraversamenti di frontiere nei modi più disparati, il grande numero degli immigrati ( oggi circa 15 milioni) crea preoccupazioni nei governi che si trovano a dover disciplinare, per quanto possibile, la presenza sul territorio giurisdizionale di genti di diversa etnia, di diversa morale, delle più svariate nazionalità, la cui civiltà d’origine dovrebbe lasciarsi assorbire almeno nei suoi aspetti fondamentali, da quelli della civiltà ospite.
Ma la relazione d’appartenenza, che dovrebbe consentire all’immigrato di entrare a far parte della parti del contratto sociale, al momento in cui egli chiede di diventare ingranaggio della ruota economica, questa relazione di appartenenza è difficile a crearsi. Con l’accettazione del c.d. contratto sociale, ogni individuo si accorda con tutti gli altri nell’accettare i principi di governo e, per diretta conseguenza, a rendere esecutive le leggi. La relazione di appartenenza contribuisce a creare il concetto di cittadinanza. Uno dei fenomeni che appesantiscono il problema è quello del multilinguismo, apportato dalle nazionalità delle ondate migratorie che hanno attraversato ed attraversano il continente europeo. L’immigrazione proviene da Oriente e dal Sud, portando con sé linguaggi, costumi, civiltà, senso morale, alfabetizzazione, e soprattutto religioni diverse. L’immigrazione porta con sé una cultura politica variegata, dalla democrazia imperfetta dei Paesi dell’Est europeo alla teocrazia più o meno mascherata dei Paesi a religione musulmana. E comunque tutti hanno sperimentato gli assolutismi politici in tempi recentissimi e tutt’ora in essere.
Questo porta alla incomprensione del processo democratico occidentale di cui gli immigrati godono i frutti, e sfugge loro il concetto di libertà politica e religiosa nella quale vivono.
Se da un lato la Nazione accogliente mette in atto ogni possibile accorgimento per facilitare l’inserimento dello straniero immigrato sul proprio territorio, dall’altro lato chi dovrebbe beneficiare della condizione di privilegio parzialmente lo rifiuta. O lo accetta per quel tanto o quel poco che gli fa comodo, e di cui si appropria. E questo perché egli, non abituato a vivere in una civiltà a carattere liberale, come quella occidentale, scambia la sconosciuta libertà che gli viene offerta e le agevolazioni di cui gode, a cominciare dall’accoglienza, per una dimostrazione di debolezza.L’immigrato porta con sé la sua civiltà, la sua religione, la sua morale, la sua lingua, in una parola la sua cultura. E pertanto è disposto ad accettare quanto, della civiltà che lo ospita, non è in contrasto con la sua identità culturale. Con la sua presenza, prende corpo la multiculturalità, concetto di difficile assimilazione. Infatti, se da un lato si tenta di creare dei percorsi miranti alla integrazione dell’immigrato nella società ospite, dall’altro costui, messo di fronte brutalmente alla scelta di accettare le regole vigenti se in contrasto con quelle della sua identità originaria, si rifiuterà di accettarle, mettendosi in contrasto, anche violento, con la civiltà che lo ospita. I valori originari possono essere, infatti, diversi in modo assoluto. Dal punto di vista della società ospitante, in conseguenza, nasceranno fenomeni di rigetto se non quando di razzismo, mettendo in pericolo una convivenza che, in ultima analisi, dovrebbe convenire ad entrambe le parti del contratto sociale.
Si profila chiaramente una situazione di assenso/rifiuto. Il primo perché legato alla necessità di permanere nel territorio ospite (qualunque sia stato il modo di attraversamento della frontiera), e quindi con l’accettazione delle leggi e dei costumi ed usanze locali compatibili, il secondo perché nel caso di contrasto insanabile con i valori dell’identità originaria, ci si rifiuta di aderire fino al punto di delinquere, o vi si è costretti dalla precarietà delle condizioni sociali nelle quali ci si trova. In questo caso è inevitabile l’allontanamento dei soggetti. Il rifiuto potrebbe anche essere dovuto alla mancata volontà di integrarsi nella società ospitante, che non offre all’immigrato quel riconoscimento dei valori timotici ai quali egli non può rinunciare, uno per tutti quello della religione. Si può comprendere questa causa di conflitto, ma non si può accettare. I valori della civiltà ospitante sono quelli che sono, e parafrasando Nietzsche ogni popolo parla la sua lingua del bene e del male che il vicino non intende. Ma qui il vicino si è introdotto in casa e ne deve rispettare le regole, che gli piacciano o meno, con i suoi valori positivi e negativi, con la sua cultura e la sua lingua, con le sue leggi ed i suoi costumi. La nuova casa gli offre possibilità che erano ben lontane dalla sua mente al momento che ha attraversato la frontiera, ma se vuole farle proprie si costruisca una nuova identità. Altrimenti non avremo nuovi cittadini, ma elementi estranei disposti a sfruttare al massimo i benefici che offre la civiltà ospite senza peraltro appropriarsene anche per le future generazioni, ma tentano di sostituirsi ad essa per colmare il vuoto lasciatosi alle spalle e per realizzare la propria civiltà a diversa latitudine.
Cfr.:F. Nirenstein Islam, la guerra e la speranza (intervista a B.Lewis) Rizzoli, 2003- pag.140