La distinzione fra spiritualità e religione costituisce uno dei campi più promettenti della ricerca sociologica in un' epoca segnata dal divario fra believing e belonging[1]. Se la religione, per usare un' espressione di Danièle Hervieu-Léger[2], si «disistituzionalizza», il risultato della sottrazione degli aspetti istituzionali (del belonging) alla credenza (al believing) che pure rimane, e che non resta un puro atteggiamento intellettuale ma cerca in qualche modo di manifestarsi, è precisamente la spiritualità: un insieme di riti e comportamenti religiosi che non passano per le istituzioni. Questi sociologi europei e americani hanno in mente un consumatore religioso che non vuole avvalersi delle istituzioni. Chi ha studiato la religiosità nella Turchia di di Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938) e dei suoi primi successori ha dovuto invece prendere in considerazione un consumatore religioso diverso: passerebbe per le istituzioni se potesse, anzi ne ha persino nostalgia, ma non può utilizzare le istituzioni perché queste sono state messe al bando da un regime laicista.
Il 1° novembre 1922 Mustafa Kemal abolisce il sultanato e nel 1923 proclama la Repubblica. L' ultimo erede della dinastia ottomana, Abdülmecid II (1868-1944), è proclamato califfo, ma non sultano. Quando però inizia a manifestarsi in diverse regioni una reazione religiosa, che rischia di trasformarsi in una Vandea turca, Kemal ne approfitta nel 1924 per abolire il Califfato. Abdülmecid II va in esilio a Parigi, mentre dall' Egitto all' India la nostalgia del Califfato diventa un mito di fondazione del moderno fondamentalismo.
La nuova repubblica di Kemal si occupa prioritariamente - come i suoi predecessori Giovani Turchi non erano pienamente riusciti a fare - della questione religiosa. Il 1° marzo 1924, rivolgendosi al parlamento, Kemal promette di «ripulire ed elevare la fede islamica, liberandola dal ruolo di strumento politico cui è stata asservita per secoli»[3]. Nei mesi seguenti, chiarisce con i fatti in che cosa consista l' opera di «pulizia» dell' islam: tra il 1924 e il 1925 sequestra definitivamente i beni delle fondazioni pie - già affidati dai sultani del XIX secolo alla gestione dello Stato -; abolisce tutti i tribunali religiosi, creando un nuovo diritto di famiglia che si ispira a quello svizzero; porta le scuole coraniche sotto il controllo del Ministero dell' Educazione, preludio alla loro imminente chiusura. Kemal non si limita a colpire l' islam «ufficiale» dei dotti, gli ‘ulama' . Attacca anche l' islam popolare e delle campagne, facendo chiudere manu militari i luoghi di pellegrinaggio alle tombe dei santi, e le potentissime confraternite sufi, che nel 1925 sono tutte sciolte, con i beni confiscati e trasferiti all' Erario. Seguiranno nel 1928 la gigantesca riforma dell' alfabeto - che sostituisce i caratteri latini (anche se con qualche variante specificamente turca) a quelli arabi, sacri perché legati al Corano e dotati secondo il sufismo di significati e poteri mistici -; e nel 1932 la sostituzione della lingua turca a quella araba nella chiamata alla preghiera. Nel 1937, infine, sarà soppresso l' articolo della prima Costituzione repubblicana del 1923 che proclamava l' islam religione dello Stato.
Una riforma apparentemente minore, ma dalla grande portata simbolica, scatena le maggiori resistenze: nel 1925 Kemal vieta il fez e impone i cappelli all' europea. Paradossalmente - perché il fez è a sua volta il risultato di una riforma ottocentesca a suo tempo denunciata dagli ‘ulama' come modernista - molti vi vedono il segno di una rottura definitiva con l' islam, e scoppiano le prime rivolte armate.
La repressione di queste rivolte è sanguinosa, ma induce Kemal a rinunciare almeno a una delle riforme, che aveva annunciato in un discorso dell' agosto 1925: il divieto del velo per le donne, che avrebbe dovuto seguire quello del fez per gli uomini. I rapporti che gli giungono dalle province è che su questo punto la resistenza popolare sarebbe implacabile e rischierebbe di travolgere il regime. Solo dopo la morte dell' Atatürk il velo sarà vietato negli uffici pubblici e nelle università, non senza resistenze ed eccezioni e creando un contenzioso che occupa ancora oggi un ruolo centrale nella politica turca.
Questo non impedisce al presidente di incitare le donne turche ad abbandonare il velo e a mostrarsi persino in costume da bagno. Alev Çinar ha notato la straordinaria importanza simbolica attribuita dal regime kemalista ai concorsi di bellezza, e perfino le campagne per cui mobilita le ambasciate e i mezzi non sempre trasparenti con cui il governo cerca di far vincere alle concorrenti turche titoli di miss internazionali[4]. Sembrano vicende al limite del pettegolezzo, ma mostrano l' importanza simbolica del corpo come strumento di eversione della tradizione islamica e di laicismo.
Al corpo delle reginette di bellezza turche mostrato in patria e all' estero senza velo e senza veli fa da contrappunto il corpo stesso dell' Atatürk, che non nasconde affatto le sue caratteristiche di beniamino delle donne, astuto giocatore di poker[5] e robusto bevitore (che pagherà con la cirrosi epatica[6]), e che diventa oggetto di culto in innumerevoli ritratti e monumenti prima di essere sepolto - dopo la morte avvenuta il 10 settembre 1938 - ad Ankara, dapprima all' interno del Museo Etnografico e poi nel 1953 in un apposito grande mausoleo.
Ma che cosa sia esattamente il laicismo turco, il laiklik come è chiamato con una parola importata dalla Francia, non è del tutto evidente ed è oggetto di controversie ancora oggi. Kemal Atatürk afferma ripetutamente che la sua personale «religione» è il positivismo di Auguste Comte (1798-1857). Ma la sua irreligiosità privata coesiste con il continuo richiamo pubblico a un islam «purificato», i cui contorni rimangono deliberatamente vaghi. Ci sono pochi dubbi che Kemal sia privatamente irreligioso. Alla giornalista e femminista inglese Grace Ellison (1877-1935) - che era diventata famosa per avere vissuto per qualche tempo in un harem - il presidente turco dichiara nel 1927: «Io non ho religione e qualche volta vorrei vedere tutte le religioni affondare in fondo al mare. Solo un governante debole ha bisogno della religione per sostenere il suo governo: è come se catturasse il suo popolo con una trappola. Il mio popolo dovrà apprendere i principi della democrazia, i dettami della verità e gli insegnamenti della scienza. La superstizione dovrà sparire»[7]. Peraltro, osserva il principale biografo (e ammiratore) del presidente turco, «come molti razionalisti Mustafa Kemal era egli stesso superstizioso e scrutava i sogni alla ricerca dei presagi»[8]; sembra che non disdegnasse neppure la lettura propiziatoria di versetti del Corano agli ufficiali che si preparavano alla battaglia[9]. Ma si tratta di curiosità, che non inficiano il ritratto di un uomo personalmente «senza religione», che tuttavia non può essere paragonato senza riserve, come pure è stato fatto spesso, a laicisti radicali occidentali come Émile Combes (1835-1921) in Francia o il suo contemporaneo Plutarco Elías Calles (1877-1945) in Messico, in quanto resta convinto della necessità pubblica dell' islam - e di un islam pubblico - in Turchia. Kemal non vuole sradicare la religione, ma portarla sotto il controllo rigoroso e quotidiano del governo laicista.
La differenza fondamentale fra il laiklik turco e la laïcité francese sta nel fatto che la seconda afferma di voler confinare la religione nella sfera privata. Ma lasciare la religione alla sfera privata è precisamente quello che l' Atatürk cerca con tutte le forze di evitare. Sa bene - e dopo la sua morte la storia turca si incaricherà di dargli ragione - che un islam sottratto al controllo dello Stato manterrà la sua presa sulla società civile e presto o tardi vorrà tornare a farsi sentire in politica. L' unico vero laicismo possibile in Turchia non consiste nel separare la religione dallo Stato lasciando che si organizzi e funzioni autonomamente, ma nel ricondurla al più rigoroso controllo statale attraverso un Dipartimento, chiamato poi Ministero, degli Affari Religiosi (Diyanet) che nomina gli imām, ne sorveglia l' istruzione e interferisce nei più minuti dettagli della vita religiosa, con lo scopo malcelato di fare sì che non si espanda troppo. Ammiratore di Comte e della Francia, l' Atatürk è abbastanza realista da rendersi conto che la trascrizione letterale della laïcité francese in un paese islamico è impossibile. Il kemalismo, mentre abolisce le istituzioni tradizionali dell' islam ottomano, crea un islam di Stato e un complesso meccanismo di gestione e di controlli del campo religioso.
Ecco allora che la spiritualità, che è diffidenza per le istituzioni nell' Occidente cristiano a partire dagli anni 1950[10], diventa invece nostalgia delle istituzioni e resistenza passiva a chi le ha abolite, nell' attesa e nella speranza di ristabilirle, nella Turchia degli anni che vanno dal 1920 al 1950. L' islam turco compie quella che è stata chiamata una «migrazione interiore»[11], andando ad occupare spazi diversi da quello pubblico vietato alla religione. Le confraternite sufi - o almeno quelle le cui caratteristiche permettono di fare a meno di sedi e riti pubblici - si ritirano nella sfera personale e familiare. Il movimento Nur occupa il campo della cultura - nel senso più ampio del termine, che investe le persone semplici che leggono o si fanno leggere testi di spiritualità in piccole cerchie domestiche - attraverso i «circoli di lettura» del Risale-i Nur, il best seller del fondatore.
Non che questa migrazione si compia senza intoppi. Incidenti in cui qualcuno è arrestato per avere organizzato in casa propria un circolo di preghiera o di lettura clandestino punteggiano tutto il periodo che va dal 1924 al 1950, e si ripresentano occasionalmente anche più tardi, specie dopo la stretta anti-religiosa successiva al colpo di Stato, detto in Turchia «postmoderno» perché avviene in modo incruento, del 1997. Ma, a differenza di gesti pubblici macro- o anche micro-istituzionali come costruire moschee o portare il velo, la spiritualità ha una sua natura fluida, carsica, sfuggente che non può essere veramente arrestata.
Così, in un contesto di secolarismo attivo e talora persecutorio, sostituire la spiritualità alla religione resta una scelta: ma è una scelta di resistenza. In Turchia, il successo sarà così notevole che dopo anni di percorso sotterraneo l' islam sostenuto dalla spiritualità riemergerà come religione e riconquisterà una buona fetta di potere politico. Senza il trait d' union costituito dalla spiritualità non si spiegherebbe come la religione, cacciata dalla vita pubblica, possa rientrarvi trionfalmente dopo così tanti anni. Dopo tutto, gli elettori che hanno determinato le fortune prima del fondamentalismo dell' ex-primo ministro Erbakan, poi - in misura assai più massiccia - dell' islam politico conservatore dell' attuale premier Erdoğan, non sono tutti vecchi centenari che hanno studiato nelle scuole elementari ottomane. Se alcuni si sono formati nelle scuole private religiose İmam Hatip, la maggioranza esce da una scuola realizzata dal regime kemalista ma preparata dalle idee pedagogiche dei Giovani Turchi, che - avvalendosi perfino della consulenza della massoneria italiana[12] - avrebbe dovuto formare cittadini entusiasti del laicismo. Ma, quando hanno potuto esprimersi liberamente, questi figli della scuola dell' Atatürk hanno invece votato in massa per partiti di ispirazione religiosa.
Il primo vettore di questa lunga marcia della spiritualità islamica attraverso il secolarismo è costituito dalle confraternite sufi: ma non da tutte. Quando nel novembre 1925 la Repubblica scioglie tutti gli ordini sufi, quelli che hanno bisogno per sopravvivere di luoghi di culto (tekke) visibili, cerimonie più o meno vistose basate sulla danza estatica o sul canto, musica e preghiere ad alta voce che vicini eventualmente sospettosi non possono fare a meno di sentire e riferire alla polizia sono rapidamente liquidate, almeno nelle grandi città, anche se una più ampia rete di solidarietà di villaggio e di omertà le protegge in ambiente rurale. La branca della Naqshbandiya dominante in Turchia si rifà al magistero nell' India del XVI e XVII secolo di Ahmad Shirindi¯ (1563-1625), come trasmesso e reinterpetato nel XVIII e XIX da Mavlana Khalid al-Baghdadi¯ (1776-1827), da cui prende il nome di Naqshbandiya Khalidiya. Questa branca sottolinea lo zikr (invocazione di Dio) silenzioso, il legame discreto con lo shaykh e le buone opere. Non ha bisogno di una loggia o tekke: i fedeli possono semplicemente recarsi nella loro moschea e lì meditare e pregare. La confraternita sfugge quindi, semplicemente facendosi più discreta, alle periodiche ondate di repressione anti-sufi dei sultani «illuminati». In epoca kemalista l' avversario è più agguerrito, e dà subito un segnale dei tempi mutati con l' eliminazione fisica del più noto shaykh naks¸ibendi dell' epoca, Mehmet Esad (1847-1931).
Tuttavia la Naqshbandiya Khalidiya non interpreta queste vicende come un segno che le sue attività in Turchia sono destinate a cessare, ma solo che devono farsi più discrete e privilegiare l' ambito privato e le famiglie. Un network resiste, e da questo emergono intellettuali di portata nazionale come Abdülaziz Bekkine (1895-1952), fondatore di una delle cinque principali branche di Istanbul della Naqshbandiya Khalidiya, quella Gümüşanevi. La Gümüşanevi non è la branca più numerosa della Naqshbandiya in Turchia: questo ruolo spetta probabilmente alla Erenköy Cemaati che prende il nome da un quartiere di Istanbul e che, dopo durissimi scontri con il regime kemalista, ha diretto le sue energie verso la costruzione di una grande rete caritativa e missionaria. Ma la Gümüşanevi è stata negli anni 1950, con il suo shaykk Mehmed Zahid Kotku (1897-1980), il «seminario» dove si sono formati i principali dirigenti dell' islam politico turco, compresi tre futuri primi ministri, e ha svolto un ruolo che - con tutte le differenze del caso, e utilizzando una semplice analogia - può essere paragonato a quello dell' Azione Cattolica nell' Italia della prima egemonia democristiana.
Naturalmente, la Naqshbandiya «cittadina» di Istanbul non esaurisce il sufismo turco, né quello dell' antica capitale (dove sono presenti, per esempio, la Jerratiya-Halvetiya nel quartiere di Fatih o la Kadiriya in quello di Tofane), e neppure - ancora - le infinite varianti naks¸ibendi che si trovano nei villaggi e restano legate a dinastie di shaykh locali. Se alcune si sono mostrate sensibili alle sirene del fondamentalismo, altre hanno percorso la via del progressimo e dell' accomodamento con il regime. Ma sono le grandi branche naks¸ibendi di Istanbul a porsi alle origini di un accostamento conservatore ma non fondamentalista né, in linea di principio, anti-occidentale all' islam, che ha avuto nel XX e XXI secolo importanti derivazioni politiche.
Non tutta la «matrice» del conservatorismo centrista oggi maggioritario nell' islam turco è sufi. Ve n' è una parte che può essere definita post-sufi, «mistica ma non sufi», o anche (ma in questo caso contro l' auto-comprensione dei suoi fondatori e membri) sufi ma non organizzata secondo il modello delle confraternite. All' origine di una buona parte di questa galassia di movimenti c' è Bediuzzaman Said Nursi, un mistico di origini curde morto nel 1960 mentre quanto alla data di nascita i documenti ufficiali riportano senza indicazione del mese e del giorno l'anno 1293 del Calendario di Rumi, allora in uso nell' Impero Ottomano, che corrisponde a una parte degli anni 1876 e 1877, ancorché una tradizione di famiglia sostenga invece che sarebbe nato nel 1873 e registrato all' anagrafe ottomana solo tre o quattro anni più tardi.
Nursi stesso distingue nella sua biografia il periodo del «vecchio Said» (fino al 1920-21) e quello del «nuovo Said» (1921-1950); altri vi aggiungono un «terzo Said» (1951-1960) con riferimento all' ultimo decennio della sua vita[13]. Benché il «nuovo Said» abbia svolto un' esplicita autocritica di alcune scelte del «vecchio Said», le differenze non sono dovute solo a una maturazione del pensiero del mistico turco, ma anche alle mutate circostanze.
Said Nursi nasce nel villaggio curdo di Nur, ed è un prodotto del sistema educativo degli ‘ulama' , della cui classe è per certi versi un membro tipico. Le sue caratteristiche di studente prodigio nel sistema delle medrese (scuole coraniche) dell' Anatolia, capace in particolare di mandare a memoria numerosi trattati, gli valgono prima della maggiore età l' appellativo di Bediuzzaman («Meraviglia dell' epoca»), conferitogli dai suoi insegnanti, ma non gli impediscono di diventare ben presto un critico della struttura scolastica di cui fa parte. Egli ritiene le medrese non in grado di difendere l' islam dall' assalto del sapere profano impregnato di materialismo e di positivismo, e fondate su un metodo di insegnamento superato. Si dedica pertanto allo studio delle scienze moderne - storia, filosofia, scienze sociali, ma anche scienze naturali occidentali - ed elabora un progetto di creazione di una moderna università islamica «dell' Oriente», che spezzi il monopolio di Istanbul nell' educazione superiore a vantaggio dell' Anatolia e che sogna di istituire a Van. Nel 1907 si reca a Istanbul per presentare il suo progetto al sultano Abdülhamid II (1842-1918): scambiato per un agitatore è arrestato, e trascorre un breve periodo in prigione.
Convinto che la riforma dell' educazione cui pensa non possa venire dall' autocrazia di Abdülhamid, il «vecchio Said» si avvicina a un riformismo liberale sulla linea che era stata nel XIX secolo dei Giovani Ottomani; tiene perfino qualche conferenza sotto l' egida del laicista Comitato Unione e Progresso. Da allora, il suo pensiero mantiene un fermo orientamento «costituzionalista» e democratico, che lo separa dal fondamentalismo. Distingue però fra un costituzionalismo liberale aperto alla religione, e uno di stampo positivista e anti-religioso, di cui riconosce la pericolosa presenza nella maggioranza del Comitato Unione e Progresso. Questa lo accusa così nel 1909 di essere coinvolto nella rivolta reazionaria di un gruppo di ‘ulama' di Istanbul - la stessa che serve da pretesto per deporre il sultano Abdülhamid II - e lo fa arrestare una seconda volta. I tempi sono pericolosi, e il rischio di una condanna alla pena capitale tutt' altro che teorico: Nursi presenta però un' abile difesa (che sarà più tardi pubblicata) e il 24 maggio 1909 è assolto.
La vicenda non modifica le convinzioni costituzionaliste di Nursi, che corrispondono del resto a un vasto movimento che coinvolge tutto l' Impero Ottomano, dove molti pensano a un rinnovamento saldamente radicato nel Corano ma aperto a un dialogo con la scienza e con il pensiero politico liberale. Non è casuale che Nursi pronunci uno dei suoi più importanti sermoni nel 1911 a Damasco, la città simbolo e culla del moderno risveglio islamico. E non è neppure sorprendente che nella Prima guerra mondiale organizzi un battaglione di volontari per sostenere la causa nazionale turca (nel 1916 questo gli costa due anni nel campo russo di Kosturna come prigioniero di guerra), condanni l' occupazione straniera e si schieri con il governo nazionalista. Nel 1922, dopo ripetuti inviti, accetta l' invito dell' Atatürk di recarsi ad Ankara, ma - anche in conseguenza di una serie di colloqui piuttosto burrascosi con il «padre dei Turchi» - si rende conto che la corrente positivista cui si era sempre opposto è destinata a dominare la futura politica nazionale. Il 17 aprile 1923 lascia Ankara per Van e per un lungo periodo di studio, meditazione e isolamento.
Nel frattempo, meditando sulla fine dell' Impero Ottomano, ma anche - dopo aver visto tanti amici e compagni cadere nella Prima guerra mondiale - sulla morte, era emerso il «nuovo Said», che tra il 1920 e il 1921 critica radicalmente ogni progetto fondato su mezzi puramente umani e sugli «idoli» dell' Io e della natura per affidarsi interamente a Dio e al Corano. Si ha qui propriamente il passaggio di Nursi dalla politica alla spiritualità, anche se la parola «spirituale» (ruhanî) è raramente usata dal mistico turco, che la riferisce principalmente al sufismo, una strada per cui ha parole di stima, dai cui maestri (principalmente naks¸ibendi) è certamente influenzato, ma che non ritiene né conforme alle necessità dell' epoca né indispensabile all' islam in genere. Non si tratta solo, come alcuni penseranno, di aggirare la messa al bando delle confraternite sufi da parte del regime kemalista. Per Nursi la strada che insegna «è hakikat (realtà) piuttosto che tarikat (la via delle confraternite)».
Per passare dalla vita apparente dell' Io non sottomesso a Dio alla vita reale ci sono, insegna Nursi, due strade: la prima attraversa i complessi gradi del sufismo con un lungo viaggio, la seconda va direttamente dall' apparenza alla realtà. Questa seconda via appare oggi sia opportuna - nelle difficili circostanze determinate dal dominio del secolarismo e del materialismo - sia possibile, attraverso un percorso che metta al servizio dello studio del Corano insieme il cuore e la mente: la compassione e la riflessione, terzo e quarto pilastro dell' insegnamento di Nursi. Il punto di partenza è la franca ammissione dell' impotenza e della povertà umane, primo e secondo pilastro della stessa architettura spirituale, che si riassumono a loro volta nel riconoscere che l' uomo da solo e senza l' aiuto di Dio non può fare nulla di buono. Le differenze con il sufismo sono dunque dottrinali e spirituali, e trascendono i problemi storici - pure assai dibattuti fra gli interpreti - dell' eventuale affiliazione in giovane età di Nursi a una confraternita[14], che oggi gli storici tendono peraltro a negare, e dell' esattezza della sua interpretazione critica di Ibn ‘Arabi¯ (1165-1240), nella cui dottrina dell' «unità dell' esistenza» Nursi, come altri, pensava di scorgere rischi di panteismo e di negazione della stessa esistenza dell' universo creato.
L' esilio di Nursi in Anatolia è solo inizialmente volontario. Dopo la rivolta anti-kemalista del 1925 - cui Nursi non solo non partecipa, ma che considera fin dall' inizio votata all' insuccesso - la vita del mistico trascorre tra anni di confino in località sempre più piccole e remote (Burdur, Barla, Isparta, Kastamonu, Emirdag) e periodi di carcerazione: a Eskisehir nel 1935, a Denizli nel 1943 e - in condizioni particolarmente dure - ad Afyon per venti mesi fra il 1948 e il 1949. Contrariamente alle aspettative del governo, il confino e anche la carcerazione sono occasione per Nursi per continuare la sua monumentale opera di commento al Corano, le Epistole della Luce (Risale-i-Nur), che prima di essere stampate circolano clandestinamente nel fenomenale numero di seicentomila copie trascritte a mano dai discepoli, tanto più straordinario in quanto si tratta di oltre seimila pagine. Gli attacchi del governo, inoltre, accrescono semmai la fama del mistico e il numero di circoli (più tardi chiamati dershane) che si riuniscono in case private per leggere il Risale-i-Nur e che l' attività repressiva non ha praticamente modo di fermare.
La repressione, se non cessa del tutto (Nursi subisce ancora un processo nel 1952, ma è assolto), si attenua con il processo democratico che inizia nel 1950. Nursi sostiene il Partito democratico, ma scrive anche ai nuovi leader che la sfida contro il comunismo, nel contesto della Guerra Fredda, può essere vinta solo dalla religione. È il decennio del «terzo Said», in cui si alternano speranze e delusioni, e si accentuano i toni anticomunisti. Contro la minaccia dell' ateismo marxista Nursi prospetta una collaborazione fra cristiani e musulmani, aprendo la strada all' impegno di diverse branche del suo movimento nel dialogo inter-religioso, che fiorirà in iniziative di notevole importanza e respiro dopo la sua morte ma i cui germi già si trovano nel suo pensiero[15].
Prima di morire nel 1960, Nursi può vedere nel 1956 la prima pubblicazione autorizzata del Risale-i-Nur nel nuovo alfabeto turco, mentre in precedenza erano circolate solo copie manoscritte o fotocopie in caratteri arabi. Benché questa pubblicazione sia autorizzata da Nursi, e anzi causa per lui di grande gioia, un gruppo di «tradizionalisti» sotto la guida di Hüsrev Altınbas¸ak (1899-1977) costituisce una branca separata detta Yazıcılar che rifiuta la pubblicazione nel nuovo alfabeto. Si tratta - vivente ancora il fondatore - di un primo «scisma» nel mondo nurcu (così sono chiamati i seguaci di Nursi) che intende abbandonare la posizione centrista e conservatrice del mistico di Nur per trincerarsi in un atteggiamento risolutamente tradizionalista[16].
Più in là, su questa linea, va la Aczmendiya fondata nel 1987 da Müslüm Gündüz (1941-) con l' intento esplicito di riportare il pensiero di Nursi nell' ambito della struttura di una tipica confraternita sufi, i cui discepoli manifestano il loro tradizionalismo anche nell' abbigliamento addirittura pre-ottocentesco. La Aczmendiya non è riconosciuta come una componente legittima del movimento Nur da molte altre branche. Tuttavia lo spettacolare arresto di Gündüz il 28 dicembre 1996 mentre si trova a letto con una sua «moglie spirituale» e le successive peregrinazioni di questa donna, Fadime S¸ahin (1973-), soprannominata «la Marilyn velata» dalla stampa scandalistica, attraverso i talk show delle televisioni turche danno agio ai media secolaristi di utilizzare non solo contro la Aczmendiya ma contro le confraternite e il misticismo in genere tutta la retorica del «lavaggio del cervello» e dei «guru manipolatori», ampiamente messa in campo in Occidente contro le cosiddette «sètte» ma per dire il meno controversa negli ambienti accademici[17]. Mentre Gündüz è condannato per violazione delle leggi sul secolarismo - con una sentenza peraltro giudicata in violazione della Convenzione Europea sui Diritti dell' Uomo dalla Corte di Strasburgo il 4 dicembre 2003 - la «Marilyn velata», pure critica nei confronti del maestro aczmendi, continua peraltro a rifiutarsi di togliere il velo[18].
Ma forse parlare di «scismi» nel movimento Nur è solo parzialmente corretto. Nursi non voleva fondare una confraternita, e più che di discepoli parlava di «lettori del Risale-i-Nur», così che è da un certo punto di vista normale che, tanto più dopo la sua morte, network diversi di circoli di lettura si accostino al testo in modo diverso[19]. Alcune branche sono però più organizzate di altre. È il caso di Yeni Asya («Nuova Asia»), la più antica organizzazione nurcu fondata da Zübeyir Gündüzalp (1920-1971), da cui si separa nel 1993 (in parte per divergenze di tipo politico) il gruppo Nesil («Generazione»), cui è vicina la Istanbul İlim ve Kültür Vakfı («Fondazione di Istanbul per la scienza e la cultura»), particolarmente attiva nella disseminazione delle idee di Said Nursi in ambiente accademico anche internazionale e nel dialogo interreligioso.
Se le branche nurcu con una presenza nazionale o anche internazionale sono una buona trentina, nessuna ha ricevuto più pubblicità - positiva o negativa, a seconda dell' orientamento dei diversi media - sui mezzi di comunicazione turchi del movimento di Fetüllah Gülen (1941-). A proposito di quello che molti (ma non i suoi membri, che tengono al nome «Movimento Nur») chiamano «Movimento Fethullah Gülen», alcuni osservatori accademici parlano di uno stile di pensiero «neo-Nur»[20], che unisce alle idee di Said Nursi un chiaro nazionalismo turco o grande-turco (del resto presente da decenni tra i nurcu), il che ne spiega il successo nelle popolazioni che si considerano etnicamente affini ai Turchi nell' Asia Centrale post-sovietica e fino alla Mongolia. Attraverso le oltre trecento scuole istituite in Europa e Asia, il «Movimento Nur» di Fethullah Gülen si è affermato come una delle principali presenze mondiali di un islam centrista. Anche il movimento di Fethullah Gülen dedica particolare attenzione al dialogo inter-religioso, e in questo senso vanno segnalati un incontro fra lo stesso Gülen e Giovanni Paolo II (1920-2005) nel 1998, nonché un congresso organizzato a Roma nel maggio 2003.
L' attenzione alle scuole, alle università e ai media - il quotidiano Zaman, con le sue cinquecentomila copie, è uno dei più letti della Turchia; la catena televisiva Saman Yolu ha ormai una dimensione internazionale - ha conferito al gruppo di Gülen una notevole influenza politica, che il suo leader non si è astenuto dal giocare nella turbolenta vita partitica turca. Dopo un iniziale sostegno a Erbakan, Gülen - che tiene a marcare le sue distanze dal fondamentalismo - appoggia il primo ministro insieme sufi e tecnocrate Turgut Özal (1927-1993) e diventa uno dei principali critici della corrente fondamentalista sia turca sia internazionale. Nel 1997 è tra i leader religiosi che rifiutano il famoso invito di Erbakan, allora primo ministro, a un pasto che il capo dell' esecutivo condivide con esponenti islamici per celebrare la fine del ramadān. Gülen sostiene piuttosto gli eredi del Partito democratico, una formazione che vuole limitare il potere dei militari ma resta legata al laicismo: quando le correnti più rigide dell' Esercito lo attaccano, il leader storico dei democratici Bulent Ecevit lo difende e il primo ministro signora Tansu Çiller, che appartiene alla stessa famiglia ideologica, lo riceve ufficialmente. Con gli incontri di Abant - seminari cui partecipano esponenti dell' élite del Paese, kemalisti «moderati» compresi - Gülen lancia un progetto di riconciliazione nazionale, scoprendo persino aspetti positivi dal punto di vista islamico nella vita e nel pensiero dell' Atatürk.
Il fatto che Gülen sia per molti turchi la voce più visibile dell' islam ne fa un ovvio obiettivo della repressione anti-religiosa dopo il colpo di Stato «postmoderno» del 1997, che pure il leader neo-Nur, che detesta la principale vittima di tale colpo di Stato, Erbakan, e lo considera un effettivo pericolo per la democrazia, inizialmente approva[21]. Incriminato nel 2000, si rifugia negli Stati Uniti, da cui fino a oggi non ha ritenuto prudente tornare. Da una parte, ritiene i militari ultra-kemalisti ancora troppo potenti; dall' altra i violenti scontri del passato con i partiti erbakaniani non rendono immediatamente ovvio un riavvicinamento all' AKP di Erdog˘an, la cui storia e il cui passato sono legati a questi scontri, ancorché Erdog˘an abbia rotto con Erbakan fin dal 2001, e sia l' AKP sia Gülen si rivolgano allo stesso segmento centrista e conservatore del mercato religioso intra-islamico turco. In ogni caso, c' è una differenza fra Gülen e gli altri discepoli di Said Nursi (con cui le relazioni, tese negli anni intorno al colpo di Stato del 1997, si sono fatte più cordiali). Per Nursi, diffidente nei confronti della politica partitica, la società si conquista partendo dai cuori. Gülen dà spesso l' impressione di voler conquistare i cuori partendo dall' attivismo sociale.
Le statistiche precise sui nurcu in genere rimangono incerte - proprio perché si tratta di uno, anzi di diversi, network più che di un movimento - ma i seguaci sono certamente nell' ordine dei milioni, probabilmente da quattro a sei. Fenomeno per certi versi unico nel mondo islamico, il movimento che origina da Said Nursi - sia nella sua branca più culturale e spirituale, sia in quella più «sociale» e neo-Nur di Gülen - insieme occupa la nicchia centrista e conservatrice del mercato religioso turco, e conferisce a questa nicchia una forza e una capacità di espansione internazionale i cui effetti - se hanno qualche difficoltà maggiore a penetrare nel mondo arabo, a causa del carattere quintessenzialmente turco e per certi versi «ottomano» del movimento - si avvertono in una vasta area asiatica che fa riferimento all' islam, dall' Asia Centrale ex-sovietica alle Filippine. Dopo la lunga marcia attraverso gli anni della repressione laicista, la rinascita turca - e mondiale - dell' islam permette a quella che era una spiritualità di generare nuovamente istituzioni.
[1] Cfr. Paul Heelas - Linda Woodhead - Benjamin Seel - Bronislaw Szerszynski - Karin Tusting, The Spiritual Revolution. Why Religion Is Giving Way To Spirituality, Blackwell, Oxford 2005; e già Robert Wuthnow, After Heaven. Spirituality in America since the 1950s, University of California Press, Berkeley - Los Angeles - Londra 1998.
[2] Danièle Hervieu-Léger, La Religion pour mémoire, Cerf, Parigi 1993.
[3] Cit. in Bernard Lewis, The Emergence of Modern Turkey, Oxford University Press, New York 20023, p. 264.
[4] Cfr. Alev Çinar, Modernity, Islam, and Secularism in Turkey. Bodies, Places, and Time, University of Minnesota Press, Minneapolis - Londra 2005.
[5] Andrew Mango, Atatürk, The Overlook Press, Woodstock (Illinois) - New York 2000, pp. 503-504.
[6] Ibid., p. 507.
[7] Grace Ellison, Turkey Today, Hutchinson, Londra 1928, p. 24.
[8] A. Mango, op. cit., p. 454.
[9] Ibid.
[10] Cfr. sul punto R. Wuthnow, op. cit.
[11] Così M. Hakan Yavuz, Islamic Political Identity in Turkey, Oxford University Press, Oxford - New York 2003, p. 56. Cfr. pure l' importante studio di Thierry Zarcone, La Turquie moderne et l' islam, Flammarion, Parigi 2004.
[12] Cfr. Angelo Iacovella, Il triangolo e la mezzaluna. I giovani turchi e la massoneria italiana, Istituto Italiano di Cultura di Istanbul, Istanbul 1997.
[13] Cfr. i fondamentali lavori biografici di una convertita inglese all' islam di Said Nursi: Sükran Vahide, The Author of the Risale-i Nur: Bediuzzaman Said Nursi, Sözler, Istanbul. 2000; Eadem, Islam In Modern Turkey. An Intellectual Biography of Bediuzzaman Said Nursi, State University of New York Press, Albany (New York) 2005
[14] Sulla complessa questione cfr. - senza che tutti gli studiosi di Nursi siano d' accordo con le conclusioni ivi esposte - Serif Mardin, Religion and Social Change in Modern Turkey. The Case of Bediuzzaman Said Nursi, State University of New York Press, Albany (New York) 1989.
[15] Cfr. Thomas Michel, S.J., Reflections on Said Nursi' s Views on Muslim - Christian Understanding, Söz Basim Yayin, Istanbul 2003; Idem, Said Nursi' s Views on Muslim-Christian Understanding, Söz Basim Yayin, Istanbul 2005.
[16] Per una proposta di distinzione fra tradizionalismo, fondamentalismo e conservatorismo in ambito islamico cfr. il mio Fondamentalismi. I diversi volti dell' estremismo religioso, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2004.
[17] Cfr. il mio Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici, Leumann (Torino) 2002.
[18] Cfr. A. Çinar, op. cit., p. 98
[19] Sul punto: Ibrahim M. Abu-Rabi‘ (a cura di), Islam at the Crossroads. On the Life and Thought of Bediuzzaman Said Nursi, State University of New York Press, Albany (New York) 2003; Ian Markham - Ibrahim Ozdemir (a cura di), Globalization, Ethics and Islam. The Case of Bediuzzaman Said Nursi, Ashgate, Aldershot (Gran Bretagna) - Burlington (Vermont) 2005.
[20] Cfr. M. H. Yavuz - John L. Esposito (a cura di), Turkish Islam and the Secular State. The Gülen Movement, Syracuse University Press, Syracuse (New York) 2003.
[21] Così M. H. Yavuz, Islamic Political Identity in Turkey, cit., p. 202.