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"Harry Potter e il Principe Mezzosangue", o com'è difficile crescere per gli eroi della Rowling

di Massimo Introvigne

Non è facile recensire Harry Potter and the Half-Blood Prince (Bloomsbury, Londra 2005), il sesto e penultimo volume della saga creata da Joanne Kathleen Rowling, senza rivelare qualcosa della trama e rovinare la sorpresa ai lettori della futura traduzione italiana. Chi tiene alle sorprese è dunque pregato di non leggere oltre, anche se su Internet sono già disponibili riassunti capitolo per capitolo della versione inglese.

Non vi è dubbio che molti troveranno lo schema della Rowling ripetitivo, particolarmente con riferimento al quinto volume – Harry Potter e l’Ordine della Fenice –, rispetto al quale tutto sembra cambiato ma molto è rimasto in realtà come prima. Gli appassionati della saga ricorderanno che per tutto il quinto tomo Harry Potter insiste che l’oscuro signore, Lord Voldemort, è tornato. Alla scuola di magia di Hogwarts nessuno gli crede, gli stessi suoi amici dubitano, e il Ministero della Magia è guidato da incompetenti che non si rendono conto della situazione e con le loro trame da politicanti favoriscono (involontariamente) le trame di Voldemort. La storia si chiude con una battaglia in un luogo poco familiare ai lettori, nei recessi più segreti del Ministero della Magia, dove quella che era stata la figura paterna per l’orfano Harry Potter – il padrino Sirius Black – muore, mentre tutto il mondo dei maghi è costretto ad ammettere che Voldemort è tornato. Con una battaglia in un luogo diverso da quelli noti ai lettori e con un morto (lo studente Cedric Diggory) si era chiuso anche il quarto volume.

In Harry Potter e il Principe Mezzosangue l’incompetente Ministro della Magia precedente è stato sostituito, ma il nuovo non è migliore e cerca di manipolare Harry per la propaganda del Ministero. Il giudizio negativo sulla politica rimane immutato, e i protagonisti del fiasco dell’anno scolastico precedente non solo non sono puniti ma continuano a rimanere al Ministero. Il sesto volume decolla lentamente, con il mondo dei maghi spaventato dal terrorismo quotidiano dei seguaci di Voldemort (un’atmosfera che riuscirà familiare a qualsiasi bambino occidentale, tanto più dopo gli attentati di Londra, peraltro successivi alla stampa – anche se non all’uscita in libreria – del libro), e con la famiglia dei migliori amici di Harry, i Weasley, impegnata nei preparativi del matrimonio fra il fratello maggiore Billy e la bellissima Fleur Delacour, che i lettori conoscono dal quarto volume ma che – prima di riscattarsi nel finale – diventa un personaggio caricaturale e un emblema della presunzione e del senso di superiorità culturale che gli inglesi attribuiscono (non sempre a torto) ai francesi.

La novità a Hogwarts è costituita dalle lezioni private che Dumbledore (il preside, il cui nome inglese fa riferimento a chi borbotta spesso da solo ma è stato tradotto incongruamente in italiano come “Silente”) propone a Harry. Non si tratta di lezioni pratiche di magia ma di un viaggio a ritroso nella vita e nei crimini di Tom Riddle che, come i lettori dei volumi precedenti già sanno da tempo, è il vero nome di Lord Voldemort. La seconda novità è l’arrivo di un nuovo professore di Pozioni, Horace Slughorn, presuntuoso e sensibile alle adulazioni ma innocuo, nella cui materia inaspettatamente Harry eccelle grazie a un vecchio libro di testo che ha trovato per caso – che porta il nome del proprietario, un “Principe Mezzosangue” la cui identità sarà svelata solo alla fine del volume – e che gli suggerisce le soluzioni a tutti i problemi, oltre a proporre un paio di incantesimi offensivi piuttosto pericolosi.

Dove lo schema è davvero simile al tomo precedente è nella trama di fondo: fin dai primi capitoli Harry Potter, che ha spiato il suo arci-nemico Draco Malfoy (il cui padre è in carcere come seguace di Voldemort), è convinto che questi sia diventato un seguace dell’oscuro signore, anche se sarebbe la prima volta che le forze del male reclutano un sedicenne, e che si prepari a compiere a Hogwarts un qualche orribile misfatto, forse con la complicità dell’odioso professor Snape (Piton nelle edizioni italiane). Come nel quinto volume, non gli credono né Silente (che continua a giurare sull’innocenza di Piton) né i funzionari del Ministero, e neppure i suoi migliori amici Ron Weasley ed Hermione Granger, che lo considerano impropriamente ossessionato da Malfoy. Silente, anzi, gli consiglia di lasciar perdere Malfoy e di impiegare le sue energie a recuperare una parte perduta della memoria del nuovo professore, Slughorn, necessaria a completare la biografia di Lord Voldemort che il preside considera essenziale per sconfiggere l’oscuro signore.

Beninteso – ma qui ci fermiamo per non svelare come la storia va precisamente a finire – alla fine verrà fuori che Harry Potter aveva ragione, e il tutto si concluderà (come, appunto, nei due volumi precedenti) con un viaggio in un luogo non familiare legato alla biografia di Voldemort e con una battaglia (dopo un faticoso ritorno a Hogwarts) in cui una figura importante per Harry perderà la vita. Anche se vari indizi lasciano intendere che le cose non sono proprio come appaiono a una prima lettura, e che nel settimo volume probabilmente si scoprirà che quella che qui sembra una semplice sconfitta è stata in realtà “programmata” da chi guida i buoni e contiene in sé, proprio grazie al sacrificio volontario del personaggio che muore, i germi della distruzione di Voldemort e della vittoria finale.

Il contorno a questa trama un po’ ripetitiva rispetto al tomo precedente – ma presso i lettori più giovani la ripetizione è garanzia di successo – è un’attenzione assai maggiore ai flirt e ai triangoli amorosi tra i protagonisti della storia. Gli appassionati della saga sanno da anni che c’è qualcosa fra Ron ed Hermione e che Ginny, la sorella più piccola dei Weasley, ama Harry Potter fin da quando era una bambinetta. La novità è che Ginny è diventata la più bella ragazza di Hogwarts, e che ora Harry si è accorto di lei ma al solito non osa dirglielo, salvo ingelosirsi quando scopre che ha un altro ragazzo. Anche Ron ha una ragazza – piuttosto vacua e appiccicosa – ed Hermione sfoga la sua rabbia prendendolo in giro, ma senza confessargli i suoi sentimenti. Naturalmente i triangoli andranno al loro posto a fine romanzo, con il lieto fine – favorito da circostanze drammatiche – tra Ron ed Hermione e anche fra Harry e Ginny, che però è destinato a non durare. Il protagonista dirà a Ginny che non può avere una ragazza perché è the Chosen One, il prescelto per sconfiggere Voldemort, il quale lo sa e ha la pessima abitudine di uccidere chiunque sia oggetto dell’affetto di Harry.

Dove abbiamo già visto tutto questo? Risposta difficile per i più piccoli, ma banale per gli adolescenti o per chi era adolescente quattro o cinque anni fa: nella serie televisiva di Joss Whedon Buffy the Vampire Stayer. Anche Buffy è chiamata the Chosen One, la prescelta, e si rende faticosamente conto che non può avere una vita normale e un fidanzato. E anche i migliori amici di Buffy sono coinvolti in triangoli, non sempre a lieto fine. In questo anno scolastico la scuola di magia di Hogwarts assomiglia molto al liceo di Sunnydale frequentato da Buffy nelle tre prime stagioni delle sette della serie televisiva. L’apparizione, pure ridotta a poche righe, di un vampiro chiamato Sanguini potrebbe rafforzare il paragone, ma il personaggio rimane irrilevante per la trama.

Nel paragone, il sedicenne Harry e i diciassettenni Ron e Hermione appaiono tuttavia stranamente immaturi. Certamente la Rowling fa bene a tenere conto che molti dei suoi lettori sono bambini, e a ridurre l’aspetto sessuale di queste vicende (ben più complesso nella Sunnydale di Buffy) a qualche bacio. Ma – più che da diciassettenni – quelli di Ron, Hermione e Harry Potter sembrano amori da scuola media inferiore. La Rowling appare qui un po’ fuori del suo elemento, e il paragone con Buffy – una serie popolarissima in Inghilterra e da cui importa evidentemente più di un elemento, a partire dalla solitudine forzata di the Chosen One – non va a suo vantaggio. Altri autori sono sicuramente più specializzati nel descrivere la psiche dei teenager quando si tratta della scoperta dell’amore.

D’altro canto, la forza della Rowling non sta nell’offrire una rappresentazione credibile e realistica di adolescenti dei giorni nostri (pur circondati da vampiri e demoni, i teenager di Buffy sono straordinariamente credibili), ma nel creare un mondo fiabesco adatto ai bambini e ai ragazzi del ventunesimo secolo. Con qualche cenno di stanchezza, la magia continua. Prepariamoci, nel prossimo ultimo volume, al gran finale.

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