Nel primo episodio della quinta stagione del migliore telefilm di vampiri della storia (per molti critici, il migliore telefilm della storia simpliciter) Buffy the Vampire Slayer la protagonista non è colta di sorpresa quando Dracula, di cui resterà questa l’unica apparizione nella fortunata serie televisiva, ritorna mentre si crede sia stato eliminato. “Ho visto tutti i film gli dice Buffy : lo so che torni sempre”. Non ci si dovrebbe dunque stupire se il romanzo più pubblicizzato del decennio prima di essere pubblicato Il discepolo di Elizabeth Kostova (traduzione italiana, uscita però una settimana in anticipo rispetto all’originale americano, Rizzoli, Milano 2005) ripropone il ritorno in grande stile di Dracula. Di Elizabeth Kostova abbiamo saputo non sono certo mancati gli uffici stampa per comunicarcelo che è un puro prodotto del sistema universitario americano dove si può conseguire un dottorato e perfino un master post-universitario (nel suo caso all’Università del Michigan) in Creative Writing, facendosi così certificare come scrittori prima di avere pubblicato anche un solo racconto. Che, volendo scrivere di vampiri, usa accortamente il cognome del marito bulgaro. Che soprattutto dopo averlo riscritto più volte come le chiedevano i suoi professori, ha messo all’asta il manoscritto del suo primo romanzo, e un pool di editori che lo pubblicano ora in simultanea in ventotto lingue se lo è aggiudicato per due milioni e cinquantamila dollari, un record che ha dell’incredibile per un’opera prima, e una cifra di solito riservata a chi è già stato in testa con più di un titolo alle classifiche dei best seller.
Alla domanda su che cosa abbia spinto a investire a scatola chiusa nella Kostova, i guru del mercato editoriale americano rispondono con una sola parola: Dracula. L’argomento vampiri interessa ancora a così tante persone soprattutto nel mondo di lingua inglese (dove una ponderosa opera accademica come l’enciclopedia dei non-morti di J. Gordon Melton h passato le centomila copie) da garantire in anticipo a un romanzo ben scritto e ben promosso l’ingresso nelle classifiche dei libri più venduti. Ma lo stesso avviene nell’enorme mercato russo con il successo delle storie di vampiri di Sergei Lukyanenko, e ora in Germania con Wolfgang Hohlbein. L’Italia per la verità non ha mai avuto una tradizione nazionale di vampiri letterari qualche cosa hanno prodotto il cinema e i fumetti, dove anzi il Dampyr della Bonelli è ora esportato anche in America ma, come Il codice da Vinci dimostra, non fatica ad adeguarsi alle mode internazionali. Hanno dunque ragione coloro che continuano ad attirare l’attenzione sul vampiro come luogo letterario universale che insieme al detective privato continua ad affascinare i lettori di tutto il mondo. Ci sentiamo tutti ben poco vittoriani, ma i due grandi eroi della letteratura vittoriana Dracula e Sherlock Holmes continuano a rimanere dentro di noi.
L’operazione Kostova si presentava a priori come rischiosissima. Creare un enorme interesse per il romanzo di un’autrice assolutamente sconosciuta non è difficile per le macchine pubblicitarie dell’editoria internazionale: ma, se le cose andranno male, la delusione sarà proporzionata all’attesa. Inoltre, una cosa è inserire Dracula come personaggio in dimensioni narrative completamente diverse da quella del capolavoro del 1897 di Bram Stoker lo hanno fatto decine di autori, con medio successo ma anche senza rischiare di scottarsi volando troppo vicino al fuoco di un romanzo che continua dopo oltre un secolo ad ardere di vita propria e a illuminare un intero genere , un’altra è partire con l’ambizione di riscrivere Dracula. La Kostova, in effetti, non si propone niente di meno. Dal classico di Stoker riprende tutte le tecniche narrative, a partire da quell’incastro di diari, lettere e documenti che non a tutti piacque alla fine dell’Ottocento ma che ha assicurato la perennità di un testo fino a oggi considerato inimitabile. Nello stesso tempo, l’autrice americana ha evidentemente letto tutto quanto si è scritto sui rapporti veri, presunti, immaginari, negati fra il Vlad Dracula della storia romena e il Dracula di Bram Stoker. Si riconoscono nel subtesto profonde frequentazioni, per esempio, dei libri di Elizabeth Miller inflessibile castigamatti di chiunque, a cominciare dallo stesso Stoker, abbia inserito nei romanzi di vampiri svarioni storici sulla Valacchia e la Transilvania e delle citate enciclopedie di J. Gordon Melton, ma anche ricognizioni dei luoghi con dettagli che chi è stato per esempio a Poienari o ad Aref riconosce immediatamente come genuini (e non si tratta dei luoghi “ovvi” del turismo draculiano in Romania, come Brasov o Sighisoara, che infatti non sono neppure menzionati).
Infine, la storia non poteva evidentemente per non limitarsi al mero remake che essere diversa da quella di Stoker. L’intreccio di diari coinvolge qui una figlia alla ricerca della madre scomparsa e dei segreti di cacciatore di vampiri del padre, ex-storico americano divenuto diplomatico di carriera, in cui si è imbattuta per caso, e un padre che quasi vent’anni prima si mette alla ricerca del suo mentore accademico misteriosamente scomparso in una saga che lo porta in Turchia, Romania, Bulgaria nel corso di quella che sembra essere una caccia alla vera tomba di Vlad Dracula (che non è come credono i turisti a Snagov), ma si rivela invece insieme un pericoloso confronto con lo stesso Dracula nella sua incarnazione presente di vampiro, una delicata missione oltre la Cortina di Ferro all’indomani immediato della morte di Stalin, e un’educazione sentimentale dove lo storico è iniziato all’amore dalla figlia del professore sparito, nelle cui vene scorre però il sangue stesso della stirpe dei Dracula.
Detto così, sembrerebbe un feuilleton. Ma anzitutto nei feuilleton non c’è nulla di male, e d’altro canto soccorrono qui tutti gli artifici delle università di Creative Writing americane, e anche una ricerca storica e geografica che certamente coniuga luoghi e personaggi reali con altri che esistono solo nella mitologia post-stokeriana del vampiro, ma lo fa con una precisione talmente maniacale che l’autrice dovrebbe fare causa a quei suoi incauti propagandisti che paragonano il romanzo a Il codice da Vinci, che è invece un pasticciaccio pseudo-storico dove non c’è quasi un solo riferimento che sia giusto. Forse la Sony che ha acquistato, anche lei a scatola chiusa, i diritti dalla Kostova per l’inevitabile film, e che sta ultimando anche le riprese de Il codice da Vinci in versione Hollywood non capirà la differenza: ma i lettori avvertiti sì.
Vi è certo il pericolo occasionale del perfezionismo, che toglie qualcosa al fluire spontaneo della storia. E tuttavia la Kostova, con chi ha investito su di lei, vince la sua scommessa. Si può davvero riscrivere Dracula nel 2005, e avere anche l’impudenza di far parlare il personaggio solo a pagina 597 sulle 668 che conta il romanzo. Naturalmente, la frase è “Io sono Dracula”, e subito dopo in puro stile stokeriano il vampiro offre al professore rapito una cena e del vino che non beve. Ma qualunque rischio di caricatura è scongiurato, perché ogni volta che il lettore immagina Bela Lugosi l’autrice lo riporta a dettagli minuti sulla vita di Vlad Tepes, sui monasteri dell’Europa dell’Est, sulla politica ottomana o sulle relazioni diplomatiche fra i paesi satelliti dell’Unione Sovietica. Chapeau, dunque, non solo all’autrice ma alla macchina accademico-editoriale che ha prodotto Il discepolo, i cui scopi commerciali sono evidenti ma che ci regala quanto in molti aspettavamo senza confessarlo: un’opera che si candida a diventare il romanzo di vampiri del secolo, come Dracula lo è stato nell’Ottocento e Intervista col vampiro di Anne Rice nel Novecento, qualche cosa che vada al di là del puro gusto della trama avvincente. Per quest’ultimo, basta e avanza una Laurell K. Hamilton, di cui esce in questi giorni in traduzione italiana il meritorio Polvere alla polvere (Nord). Ma qui parliamo di letteratura.