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Chi ha paura di Tariq Ramadan

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 2 dicembre 2005)

Fanno discutere il provvedimento della Giunta Regionale (di centrosinistra) della Valle d’Aosta che ha impedito all’attivista musulmano neofondamentalista Tariq Ramadan di prendere la parola nello scorso week end al congresso di Aosta della sezione Religioni dell’Associazione italiana di sociologia, e la decisione della stessa Sezione di invitarlo comunque a parlare, a Padova. Come socio dell’Associazione, ne condivido le preoccupazioni per la libertà accademica minacciata: oggi tocca a Ramadan, domani potrebbe capitare a Oriana Fallaci o al cardinale Ruini.

Ma perché Tariq Ramadan fa problema? Nipote del padre del moderno fondamentalismo, l’egiziano Hasan al Banna, fondatore nel 1928 dei Fratelli Musulmani, Ramadan è il leader riconosciuto della corrente detta neofondamentalista. Questa riformula le idee classiche del fondamentalismo nei termini della moderna sinistra europea no global, nel contempo attenuando alcune asprezze e congelando con “moratorie” problemi delicati come quelli del trattamento degli apostati e delle donne “peccatrici”, rimandati a un futuro in cui l’islam avrà vinto la sua battaglia. Il neofondamentalismo funziona come un traghetto. Può svolgere (specie nei Paesi arabi) la funzione positiva di traghettare fondamentalisti classici verso posizioni un po’ meno intransigenti. Può anche (specie tra gli emigrati in Occidente) traghettare musulmani non fondamentalisti ma di idee politiche vagamente di sinistra verso tesi tipiche del fondamentalismo. Il neofondamentalismo assomiglia a un traghetto anche nel senso che è a metà del guado: condanna alcune forme di terrorismo e di violazioni dei diritti umani correnti nel mondo islamico, ma non sempre e non tutte. Per esempio non condanna gli attacchi suicidi contro Israele di Hamas, e Ramadan è nell’occhio del ciclone in Francia per una certa “giudeofobia” che attribuisce al mondo ebraico la volontà e la capacità di agire all’unisono in un complotto contro l’islam.

A Ramadan si rimprovera di tenere spesso discorsi diversi a seconda che scriva in arabo o in francese o inglese, e di giocare con le parole. Lo studioso americano di esegesi coranica David Cook vede in Ramadan un perfetto esempio di chi manipola la parola jihad, celando che le fonti che chiamano “grande guerra santa” quella spirituale e “piccola” quella militare sono di dubbia autenticità, emergono solo da due o quattro secoli dopo il Profeta e sono citate molto più spesso in testi a uso e consumo degli occidentali che nel mondo arabo. Anche la tesi secondo cui la guerra permessa all’islam è solo “difensiva” acquista importanza solo nel Diciannovesimo secolo, e comunque interpreta l’aggettivo “difensiva” in modo piuttosto ampio. Sono queste le domande che si sarebbe potuto porre, anche ad Aosta, al “traghettatore” Ramadan. Lasciarlo parlare non significa prendere per oro colato quello che lui e i suoi amici raccontano.