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E l'Islam moderato guarda alla Turchia

di Massimo Introvigne (il Giornale, 22 ottobre 2005)

Damasco: alla facoltà di Sharia dell’università ho incontrato il nucleo di un prossimo partito islamico moderato che vuole per la Siria un futuro ispirato all’attuale Turchia di Erdogan. Al forum “Il ruolo della Siria in un mondo che cambia”, organizzato dal ministero dell’Informazione e presieduto dallo stesso presidente Bashar al-Assad, va in scena invece l’autodifesa del regime, in precisa e non casuale concomitanza con la pubblicazione del rapporto che coinvolge il governo siriano nell’assassinio del leader libanese Hariri.

Invitata d’onore è una delegazione della Bielorussia, l’unico Paese non democratico d’Europa, con cui Bashar ha appena firmato un trattato di cooperazione e di resistenza comune ai piani della Casa Bianca che mirano a esportare la democrazia. Il discorso di Bashar nega tutte le accuse alla Siria e rigetta su Stati Uniti e e Israele la responsabilità per ogni instabilità in Medio Oriente. I terroristi iracheni sconfinano in Siria? Forse, risponde il presidente, ma se i potenti Stati Uniti non sono in grado di controllare il confine con il Messico – da cui continuano a entrare immigranti illegali – come può la piccola Siria vigilare sulla sua frontiera con l’Irak? Retorica: quando da quello e da altri confini cercavano di entrare in Siria oppositori del regime la vigilanza era ferrea, e funzionava.

Quella che più preoccupa, però – e che sembra indicare che nulla è cambiato dai tempi dal trentennale regime del padre di Bashar, Hafez – è la sfilata, inquietante e monotona, di oratori che attribuiscono a oscure organizzazioni internazionali “controllate dai sionisti” tutti i mali del mondo, dalla pornografia alla droga, dalla prostituzione all’Aids e perfino alla peste aviaria. Sono citate dubbie statistiche secondo cui Israele detiene diversi record in materia di prostituzione, una piaga “giudeo-cristiana” che sarebbe sconosciuta al mondo islamico. Le organizzazioni internazionali non la pensano così: l’Iran e l’Irak (anche quello di Saddam, da cui molte prostitute si sono ora trasferite proprio in Siria) dimostrano che la prostituzione non è purtroppo assente neppure in terre musulmane. Ma il mito del complotto ebraico – che da Hollywood, “controllata dai sionisti”, estende i suoi tentacoli e diffonde uno stile di vita immorale per aggredire il mondo arabo – domina la letteratura del regime fin dai tempi di Assad padre.

La Siria cambierà, per ragioni anzitutto economiche. Le sue riserve di petrolio sono destinate a esaurirsi in medio di dieci anni. Una dinamica classe imprenditoriale ha costruito una fiorente industria del tessile, che fa concorrenza alla Cina e comincia a dare fastidio anche all’Italia. Perché, in questo e altri settori, la Siria diventi – come può – una piccola Cina del Medio oriente c’è bisogno di stabilità politica e buoni rapporti con le organizzazioni del commercio internazionale. Morto Hafez al-Assad nel 2000, si era sperato che Bashar – un medico educato in Inghilterra – potesse promuovere egli stesso una transizione soft alla democrazia. Prigioniero dell’ala più dogmatica del partito Baath, non ne sembra capace. Ma la transizione ci sarà. Dipende dai giochi interni al partito al potere se si tratterà di una rivoluzione o – come molti sperano – di un colpo di Stato che, pur liberandosi (forse) del presidente, garantisca immunità ai gerarchi del partito e prometta una transizione ordinata alla democrazia, dove forze islamiche moderate dovrebbero poter vincere le elezioni.