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Quanto sangue in nome del califfato

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 14 ottobre 2005)

Il bagno di sangue in Kabardino-Balkaria – la repubblica autonoma della Federazione Russa abitata in prevalenza da musulmani di due diverse etnie circasse – conferma che il sogno di un califfato del Caucaso è vivo e vegeto.

A differenza della Cecenia, dove i leader locali mantengono una fiera indipendenza da Osama bin Laden, in Kabardino-Balkaria la guerriglia è infatti strettamente legata ad al Qaeda, e il programma di al Qaeda si basa da sempre sulla restaurazione del califfato, la guida unica del mondo musulmano venuta meno in Turchia nel 1924.

Dopo la perdita dell’Afghanistan, al Qaeda è priva di un luogo geografico che possa essere presentato come il nucleo mitico di un futuro califfato mondiale. Certamente questo ruolo non può essere assunto da qualche remota vallata al confine fra Pakistan e Afghanistan, buona al più per nascondere qualche dirigente del movimento.

La cupola di al Qaeda sta esplorando varie opzioni ed è certamente divisa al suo interno. Ayman al-Zawahiri, il numero di due di al Qaeda, nella sua lettera di questo mese ad Abu Musab al Zarqawi, ha messo in guardia contro qualunque idea di califfato “periferico” e ribadito che il nuovo califfo sognato dai fondamentalisti non potrà venire che dal Medio Oriente, in particolare dall’Egitto o dalla Siria. Ma parla di una sua “opinione personale”, perché sa bene che altri nel movimento la pensano del tutto diversamente e continuano a guardare alla “periferia” come unica sede realistica di un nucleo di territorio controllato da al Qaeda e da presentare al mondo come califfato.

Alcune possibilità sono venute meno sul piano militare. La collaborazione fra le truppe americane e l’esercito filippino ha spinto i separatisti di Mindanao – dove Osama bin Laden sperava di creare uno Stato musulmano indipendente – a isolare il gruppo Abu Sayyaf, il più legato ad al Qaeda, e a sedersi al tavolo della pace con il governo di Manila.

In Algeria il terrorismo salafita legato a Osama bin Laden non controlla più alcuna parte significativa del territorio. Restano tre opzioni.

La prima appartiene al futuro: è la ricerca nell’Africa subsahariana di una “zona franca” per il terrorismo sfruttando i conflitti regionali in Congo, Uganda e Nigeria, dove al Qaeda ha da poco  cominciato a inserirsi.

La seconda – l’idea di un califfato del Sud-Est asiatico che dovrebbe comprendere il Sud della Tailandia, la Malaysia, l’Indonesia – esercita una forte attrazione emotiva su molti musulmani, ma si scontra con il successo nelle elezioni malesi e indonesiane del 2004 di forze islamiche moderate insieme ostili al terrorismo e capaci di convincere l’opinione pubblica.

La terza opzione: un califfato del Caucaso che dovrebbe comprendere Cecenia, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Daghestan (l’altra repubblica russa dove pure ci sono stati attacchi quest’anno).

Sul piano militare, l’avventura sembra disperata: le truppe russe sembrano più forti di quanto al Qaeda può mettere in campo nell’area, sia ora sia in futuro.

Ma, come bandiera da agitare, il sogno del califfato del Caucaso ha una storia centenaria, di cui al Qaeda cerca ora di appropriarsi. È in vista altro sangue.