Quando uscirà di prigione, la sinistra italiana la ha già invitata da noi. Al momento di incontrare Cindy Sheehan, la madre del soldato Casey, caduto in Irak, che è diventata una celebrità mondiale come guida di manifestazioni pacifiste, speriamo che i nostri giornalisti le pongano qualche domanda su un numero: 4352001432577. È il numero della polizza di assicurazione sulla vita di Casey che l'accorta mammina aveva stipulato, e che copre anche la morte in guerra. Cindy si sta battendo con le unghie e con i denti per non dividerne i frutti con il marito Patrick, che il 5 agosto ha depositato istanza di divorzio presso il Tribunale della Contea di Solano, in California. Il giudice californiano Alberta Chew deciderà su questa brutta storia, che fa calare l'ombra dell'interesse economico su un personaggio costruito a tavolino dai mezzi di comunicazione liberal.
I conservatori americani che criticano Cindy Sheehan sono naturalmente accusati di attaccare una povera donna che ha perso il figlio in guerra. Tuttavia sono state appunto qualche centinaio di mamme di caduti in Irak - alcune delle quali portavano cartelli «Noi non eravamo assicurate» - a dimostrare contro la mamma anti-Bush prima in Texas e poi a Washington. Quello che colpisce non è il dolore della Sheehan - che, in quanto sentimento privato, sarà certamente sincero - ma la costruzione sociale di questo dolore come evento politico da parte dei media e dei pacifisti. Per costoro le vicende private della Sheehan non interessano - e non devono interessare - a nessuno, perché la persona reale della mamma californiana è stata sostituita da un'icona intoccabile e indiscutibile.
Il presupposto dell'operazione si riassume in una frase della commentatrice di sinistra Maureen Dowd sul New York Times: «L'autorità di un genitore che ha seppellito un figlio caduto in Irak è assoluta». Per il pubblico, che il circo mediatico fa passare di emozione in emozione, creando e distruggendo personaggi quasi ogni ventiquattro ore, può essere difficile capire che questa affermazione è assurda. Anzitutto, se l'autorità della Sheehan è «assoluta», lo è anche quella di altre madri di caduti che protestano contro di lei ed esprimono solidarietà a Bush, e assoluta - o assolutista - è solo la scelta di certa stampa di privilegiare una posizione rispetto alle altre. Soprattutto - per quanto questo possa risultare ostico a molti telespettatori - l'esperienza e il dolore personale non creano automaticamente capacità di analisi politica, e dunque autorità. La Sheehan ha smentito di avere detto che il figlio «si era arruolato per proteggere l'America, non Israele», ma la rete televisiva Abc ha una dichiarazione scritta della mamma anti-Bush che riporta esattamente queste parole.
Nella stessa dichiarazione la Sheehan afferma che Bush ha mentito affermando che «i terroristi dell'11 settembre odiano la libertà e la democrazia. No, odiano la nostra politica in Medio Oriente». Basterebbero queste frasi a mostrare che la madre californiana, proiettata dal cinismo mediatico su un palcoscenico più grande di lei, non ha capito nulla del terrorismo di Al Qaida, che prima dell'11 settembre non si era mai occupato del conflitto in Palestina.
Torna a casa, Cindy. Potrai occuparti in pace del tuo divorzio e della tua assicurazione.
E anche avere la solidarietà che, se si deve a qualunque madre in lutto, non si estende a qualunque sciocchezza le sia fatta dire da chi ne sfrutta senza vergogna il dolore.