L’attentato suicida di Kathimiya è uno dei più letali in Iraq dopo la caduta di Saddam. Questa volta i terroristi se la sono presa con gli operai, povera gente che cercava un lavoro nello stesso quartiere dove il panico diffuso su un ponte aveva fatto mille morti alla fine del mese scorso. Ma la strage di Kathimiya è anche un segnale del fatto che il terrorismo sta perdendo la sua partita.
Anzitutto, l’offensiva dei cosiddetti “guerriglieri” è passata da obiettivi politici di rilievo ad altri pressoché casuali. I primi attentati colpivano dirigenti politici, tra cui l’ayatollah al-Hakim, capo del partito SCIRI, ucciso con altre ottanta persone a Najaf il 29 agosto 2003. Nel Kurdistan, agli albori della campagna terroristica, si riuscì a distruggere le sedi dei partiti filo-occidentali; a Baghdad il 19 agosto 2003 furono colpite le Nazioni Unite e assassinato il loro rappresentante Vieira de Mello. Il terrorismo iracheno minaccia da parecchi mesi di uccidere i dirigenti del governo e la principale autorità religiosa che lo legittima, il grande ayatollah sciita Sistani. Si è però ridotto ad assassinare semplici passanti, tra cui molte donne e bambini. Spesso sono sciiti, qualche volta anche sunniti.
Il terrorismo in Iraq ha ormai gravi difficoltà ad assassinare i massimi dirigenti politici e religiosi del Paese e gli alti gradi delle truppe della coalizione. Può solo dedicarsi alla bassa macelleria delle stragi di civili scelti a caso, sparare nel mucchio come fanno tutte le forme di terrorismo in crisi. Ma sono stragi che diminuiscono la popolarità dei terroristi anche fra i loro potenziali sostenitori. Gli abitanti di Baghdad, come dicono certi sondaggi, saranno pure stufi della presenza delle truppe americane, ma molti di loro hanno anche un parente, un amico, un conoscente ucciso senza ragione e senza pietà dai terroristi solo perché si trovava a passare per la strada sbagliata. Su un piano più generale e strategico, i terroristi non sono riusciti a raggiungere nessuno dei loro scopi. Si sono proposti di sfiancare la coalizione ma sono riusciti a spaventare solo i filippini (gli spagnoli hanno lasciato l’Iraq per l’attentato di Madrid, non per quelli che avevano subito in terra irachena). Britannici e italiani resistono (in Italia, finché resiste questo governo), per non parlare degli americani: la stessa minoranza democratica non propone più di andarsene dall’Iraq. Si sono proposti di impedire la transizione a un governo iracheno sovrano: non ci sono riusciti. Si sono proposti di mostrare questo governo come impotente e incapace di gestire il Paese, in modo che non fosse riconosciuto internazionalmente almeno dagli altri Paesi musulmani: obiettivo fallito anche questo. Si sono proposti di impedire le elezioni, che si sono tenute regolarmente. Si sono proposti di provocare una saldatura fra sciiti e sunniti contro il governo: l’unica saldatura che stanno provocando è contro di loro, contro i terroristi, subito maledetti da una grande folla non solo sciita che si è radunata sul luogo della strage a Kathimiya. Si propongono di impedire il varo della Costituzione: a giudicare dal carattere disperato di stragi come quella di Kathimiya, non ci riusciranno. Anzi, la furia cieca dei terroristi può semmai consolidare il crescente consenso degli iracheni verso le loro istituzioni democratiche, pure giovani e deboli.