Partito il Tir della sua campagna elettorale, Romano Prodi va ripetendo da qualche giorno che la guerra al terrorismo promossa dopo l’11 settembre dalla coalizione dei tre B Bush, Blair e Berlusconi è fallita. Il terrorismo non è diminuito ma è aumentato.
Ma purtroppo per Prodi sono ora disponibili raffinati strumenti statistici costruiti, con dovizia di mezzi, dal National memorial institute for the prevention of terrorism (Mipt), un’istituzione americana che risponde al Congresso, non all’esecutivo, e i cui membri tutti specialisti di chiara fama sono nominati di comune accordo dalla maggioranza e dall’opposizione.
I suoi dati lasciano poco spazio ai dubbi. Le vittime del terrorismo nel mondo sono state 4643 nel 2001, 2709 nel 2002, 1946 nel 2003. Per quanto riguarda il 2004 e i primi sette mesi del 2005, tutto dipende da come si considerano le vittime della cosiddetta “insorgenza” in Iraq. Se le si conta come vittime del terrorismo, queste nel 2004 sono risalite al livello del 2001. Se però (come preferiscono definirli Prodi e i suoi alleati) i cosiddetti “resistenti” iracheni non sono terroristi ma “insorti”, e i caduti in Iraq vanno nel conto dei morti nelle guerre e rivoluzioni e non in quello degli attentati terroristici, allora le vittime del terrorismo nel 2004 sono 2587 (un po’ più del 2003, a causa di Madrid e Beslan, ma meno che nel 2001 e nel 2002) e nei primi sette mesi del 2005 “solo” 932. Prodi e compagnia si trovano di fronte a un curioso dilemma. Se vogliono sostenere che i terroristi sono aumentati, devono chiamare i “resistenti” iracheni terroristi. Se invece, come continuano a fare, chiamano coloro che combattono la coalizione in Iraq “insorti” o “resistenti”, le cifre li obbligano a concludere che i terroristi nel mondo sono diminuiti.
Negli Stati Uniti il numero delle vittime è sceso da 3061 del 2001 (comprese quelle dell’11 settembre) a 3 nel 2002 (morte nell’attacco al banco delle linee aeree israeliane all’aeroporto di Los Angeles del 4 luglio), e nessuno nel 2003, 2004 e 2005. In Italia dal 2001 al 2005 ci sono state due sole vittime del terrorismo, uccise peraltro dalle Brigate Rosse bin Laden non c’entra. In Israele il numero di morti per terrorismo è sceso da 297 nel 2002 a 176 nel 2003, 63 nel 2004 e 6 nei primi sette mesi del 2005, con buona pace di chi pensa che la linea Sharon non funzioni.
Anche se non è certo il caso di abbassare la guardia, la distruzione dei campi di addestramento di al Qaeda in Afghanistan e della sua filiale Ansar al Islam ospitata e finanziata da Saddam Hussein in Iraq ha ridotto a zero le vittime del terrorismo negli Stati Uniti. Le misure di Sharon hanno fatto diminuire del 90 per cento i morti di terrorismo in Israele nei primi sette mesi del 2005 rispetto all’analogo periodo nel 2002.
Naturalmente, le cifre del terrorismo mondiale rimangono preoccupanti. Se Bush, Berlusconi e Sharon hanno mantenuto le promesse di rendere più sicuri i rispettivi Paesi, molto resta da fare in alcune zone dell’Asia sud-orientale, dell’Africa, dell’area caucasica della Federazione Russa. Ma ormai molti terroristi internazionali sono reclutati nelle moschee dell’Europa continentale (Francia, Germania, Spagna, Italia), approfittando del lassismo dei giudici e dello scarso controllo delle istituzioni europee su organizzazioni arabe cosiddette religiose o caritative. Su questo forse, anziché giocare con i numeri, o fidarsi troppo dei film di Michael Moore, dovrebbe riflettere Romano Prodi.