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Good News from Down Under. Il genocidio inventato dell’Australia, gli aborigeni e l’odio contro l’Occidente

di Massimo Introvigne (il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 4, n. 34, 20 agosto 2005)

coverSydney, Australia. Mentre la polizia confermava, in luglio, di avere sventato un nuovo attentato di Al Qaida nel Paese, intellettuali neoconservatori come John Dawson mi hanno spiegato che “la questione centrale qui resta quella degli aborigeni”. A chi, venendo dall’Europa, rimane sorpreso, viene spiegato che la questione è se l’Occidente, la cui storia non è certo solo gloriosa, sia però portatore di valori che vale la pena di difendere.

Per la Sinistra locale la storia dell’Australia riposa su un peccato originale: il “genocidio” di decine, forse centinaia di migliaia di aborigeni da parte dei coloni bianchi, e l’“etnocidio” perpetrato dai missionari cristiani, protestanti e cattolici, che ne hanno in gran parte distrutto la cultura e la religione imponendo conversioni forzate al cristianesimo. Si domanda quindi di continuo al governo di chiedere solennemente scusa agli aborigeni e di concedere loro terre, posti di lavoro pubblici e generosi sussidi.

Questa propaganda riposa su una storiografia che due generazioni di accademici marxisti e postmarxisti – generosamente finanziati dai governi socialisti in carica fino al 1996 – hanno imposto nei libri di testo, nei musei, nella letteratura e nel cinema. È la storia di aborigeni pacifici e gentili sterminati senza pietà dai coloni sotto l’occhio tollerante di missionari del tutto privi di misericordia verso i “pagani”.

A partire dal 2002, le cose sono però cambiate. Un autorevole storico – ed ex-marxista pentito diventato neoconservatore –, Keith Windschuttle, ha pubblicato il primo di tre volumi di un’opera monumentale su La falsificazione della storia aborigena (The Fabrication of Aboriginal History, vol. I, Macleay, Sydney 2002), dedicato alla Tasmania, l’isola dove secondo la storiografia di sinistra sarebbe avvenuto il genocidio peggiore, con migliaia di aborigeni uccisi. Windschuttle ne riduce il numero a 125 e sostiene che in Australia in genere la riduzione dei 350mila aborigeni del 1800 ai 100mila del 1950 è derivata dalle malattie infettive e da violentissimi scontri intratribali ben più che da presunti massacri operati dai coloni, contro i quali non ci furono mai vere “guerre di resistenza”. Anzi, proprio grazie anche all’opera dei missionari il numero degli aborigeni è risalito oggi a oltre 400mila unità e molti di loro, in gran parte cristiani, si vanno integrando nella società australiana.

Quanto ai “beneficiari” delle politiche di sussidi e di “preservazione della cultura aborigena” varate dai governi socialisti, essi vivono per la maggior parte in riserve con altissimi tassi di alcolismo, violenza e uso di droga. Molti leader aborigeni denunciano questo “aborigenismo” ideologico come un totale fallimento.

Windschuttle ha lasciato l’università prima di farsi buttare fuori, ma rimane lo storico australiano più noto al grande pubblico. I tentativi di demonizzarlo da parte dei suoi ex-colleghi sono per buona parte ridicoli. Per esempio, fiumi d’inchiostro sono stati versati da quegli stessi storici che avevano sostenuto per anni che le vittime in Tasmania erano state migliaia per dimostrare che gli aborigeni uccisi da bianchi nell’isola non sono stati 125, come sostiene Winschuttle, ma… 135.

Dall’altra, la campagna contro lo storico è inquietante. Mostra che, in Australia come altrove, la costruzione di un odio verso l’Occidente da parte di una certa Sinistra non solo non si arresta di fronte alla falsificazione sistematica della storia, ma pretende di esercitare tramite la censura e l’intimidazione un vero e proprio monopolio sulla cultura.

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