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In Mauritania sfida al terrorismo con libere elezioni

di Massimo Introvigne (il Giornale, 11 agosto 2005)

Dopo avere condannato il colpo di Stato militare contro il ventennale regime del presidente Taya in Mauritania, gli Stati Uniti hanno ora riconosciuto il nuovo governo. Si tratta di un'ulteriore tappa di quella correzione di rotta alla politica estera americana che Condoleezza Rice persegue con energia e cui si oppone in Europa soprattutto la Francia.

Lo scenario della Mauritania ricorda quello di molti altri Paesi. Taya, un brutale dittatore accusato dalle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani di ricorrere sistematicamente alla tortura e all'assassinio degli oppositori, godeva tuttavia del sostegno della Francia, e fino a qualche tempo fa anche degli Stati Uniti. Il dittatore ripeteva la solita canzone: forse il mio regime lascia a desiderare in tema di diritti umani, ma almeno combatte il terrorismo. Se invece chiedete elezioni, le vinceranno i fondamentalisti islamici. A questo ritornello usato da una pletora di generali in tutto il continente africano - e a suo tempo perfino da Saddam Hussein - Taya aggiungeva un tocco originale. Per accreditarsi come il leader più filo-occidentale del Nordafrica islamico aveva stabilito relazioni diplomatiche con Israele.

In teoria, una mossa doverosa; in pratica, una fuga in avanti che ha alimentato le campagne dei fondamentalisti.
Taya ha reagito incarcerando e torturando diverse centinaia di oppositori, tutti indiscriminatamente definiti «terroristi», che si trattasse di seguaci di Bin Laden (e in Mauritania ce n' è davvero qualcuno) o di semplici musulmani conservatori che chiedevano elezioni.

Mentre Colin Powell, pure impegnato a esportare democrazia in Medio Oriente, in Africa aveva spesso manifestato un debole per generali maneschi ma capaci di tenere a bada il terrorismo, con Condi Rice il vento è cambiato. Il nuovo dipartimento di Stato americano pensa che la ricetta secondo cui la democrazia è il migliore antidoto al terrorismo non tolleri eccezioni, e che si debbano favorire ovunque elezioni libere, confidando nel fatto che già in molti Paesi islamici partiti e leader a chiaro orientamento religioso, ma contrari al terrorismo e non ostili all'Occidente, sono riusciti a battere gli estremisti. Da questa nuova politica americana si sono sentiti incoraggiati i vertici delle Forze armate mauritane, che hanno destituito Taya promettendo elezioni entro due anni.

Se le elezioni ci saranno davvero - e gli Usa premono in questo senso - le vinceranno i «fondamentalisti»? Come altrove, il termine designa forze diverse. I pochi estremisti legati ad Al Qaida godono di scarsissimo sostegno popolare. Il Partito della Convergenza democratica - a suo tempo dichiarato illegale da Taya e favorito in caso di elezioni - riunisce sostenitori dell'islam politico e dei diritti delle minoranze etniche, ma appare diviso in tre correnti: una fondamentalista «pura» guidata dal giovane e carismatico Mokhtar Dedew, una «neo-fondamentalista» e più aperta all'Occidente ispirata dal popolare politico Mohammed Mansour, e una intermedia il cui leader, Mokhtar Moussa, era passato dalla diplomazia alla costruzione di un network di scuole islamiche prima di essere arrestato nell'aprile 2005.
I tre leader considerano tutti almeno premature le relazioni diplomatiche con Israele, ma Moussa e Mansour si dichiarano aperti al dialogo con gli Stati Uniti.

Anche in Mauritania non è impossibile che a vincere le elezioni, se ci saranno, sia un islam conservatore non del tutto ostile all'Occidente.