“Basta con il gioco sporco della Francia”. La denuncia viene dal Togo, e a parlare non è uno dei leader dell’opposizione che denunciano i brogli elettorali attraverso i quali Faure Gnassingbé, figlio del defunto despota Gnassingbé Eyadéma (al potere per quasi quarant’anni) si è fatto confermare presidente della repubblica.
L’attacco alla politica francese è di monsignor Philippe Fanoko Kpodzro, arcivescovo di Lomé e guida della Chiesa cattolica del paese, la quale conta un milione di fedeli sui cinque milioni di abitanti.
Anni fa, a Kpodzro stato chiesto di presiedere una effimera commissione che aveva il compito di preparare la transizione alla democrazia. Ora egli ripete, in un’intervista diffusa dall’ufficio stampa dell’Arcidiocesi, che “il broglio elettorale è manifesto” e che l’atteggiamento della Francia, la quale ha proclamato l’avvenuta elezione di Gnassingbé legittima, è “una vergogna”.
Perché la Francia si comporta così? Sicuramente i suoi interessi economici hanno prosperato all’ombra della famiglia Gnassingbé, con un patto non scritto secondo cui la Francia ignorava le violazioni dei diritti umani in Togo in cambio di una sistematica politica di favori alle aziende francesi. Come vadano a finire questi accordi in un’epoca in cui le televisioni portano la voglia di democrazia anche nei paesi più remoti dovrebbe però essere chiaro ai francesi, e questo soprattutto dopo la tragedia della vicina Costa d’Avorio. Tuttavia, a sentire l’arcivescovo, c’è anche dell’altro. Il prelato denuncia anzitutto il modo di agire delle “sette” che “stranamente non vanno a cercare i loro fedeli nelle religioni tradizionali ma solo nella Chiesa cattolica” in un tentativo di “indebolirla”. Premesso che per “religioni tradizionali” s’intendono soprattutto forme sincretistiche e vudù, cui aderisce circa il cinquanta per cento della popolazione, sembrerebbe curioso che la Francia, la quale ha in patria istituzioni appositamente create per lottare contro le “sette” in nome del laicismo, le favorisca in Togo.
La contraddizione però si svela quando ci si rende conto che per “sette” l’arcivescovo intende qui le nuove forme proselitistiche del protestantesimo fondamentalista e pentecostale, peraltro divise nel loro appoggio alla famiglia Gnassingbé, essa stessa protestante.
E il discorso si fa ancora più chiaro quando il prelato cita fra le ragioni culturali dell’anticattolicesimo dominante “la forte presenza in Togo della massoneria francese”: una massoneria, come è noto, “dissidente” rispetto a quelle inglese e statunitense, e questo per il suo forte anticlericalismo, il quale sfocia spesso in propaganda aperta dell’ateismo.
Da ultimo, il prelato segnala che “il problema dell’islam è più difficile di quello delle sette”. Come ovunque in Africa, le religioni tradizionali perdono terreno e c’è una forte concorrenza missionaria fra Chiesa cattolica, nuovo protestantesimo e islam. La Chiesa cattolica e l’islam sunnita possono contare ciascuno su un quinto dei togolesi, ma l’islam avanza grazie al denaro saudita e a intrighi della Francia che guardano con piacere all’avanzata di gruppi musulmani anti-cattolici e anti-americani per ragioni sia nazionali sia internazionali. Nel frattempo, i profughi continuano a lasciare il Togo e il paese è alla vigilia della guerra civile. Per l’arcivescovo, che conta sull’appello per il Togo recentemente lanciato da Papa Benedetto XVI a Roma, l’unica speranza è un intervento internazionale: “Lasciare i togolesi a sbrogliarsela da soli significa preparare un’altra tragedia africana”.