CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
www.cesnur.org

Giudici e giornali. La santa alleanza aiuta i terroristi

di Massimo Introvigne (il Giornale, 21 maggio 2005)

Gli arresti che si susseguono in varie città italiane di ultra-fondamentalisti islamici sospettati di legami con Al Qaida ripropongono due interrogativi: Al Qaida opera in Italia? Se sì, l’attività di contrasto svolta dalle nostre istituzioni è adeguata?

Alla prima domanda la risposta non può che essere affermativa. Sono ormai decine non solo i rapporti di polizie, servizi, studiosi, ma anche i documenti sequestrati in Italia, Spagna, Francia, Germania, Irak, Afghanistan, Arabia Saudita da cui emerge la presenza ben radicata di cellule legate ad Al Qaida nel nostro paese. Queste cellule esistono, vivono, reclutano grazie al network delle moschee ultra-fondamentaliste. Come è sbagliato considerare vicine al terrorismo tutte le moschee italiane, così è ingenuo ostinarsi a non voler vedere il pericolo che una minoranza di moschee radicali rappresenta oggettivamente per le città che le ospitano.

Alla seconda domanda – se l’azione di contrasto sia adeguata – la risposta è più complessa. Partecipando regolarmente a incontri internazionali (pubblici e non) sul tema, ne ricavo l’impressione che – contro certi stereotipi auto-denigratori che circolano in Italia – sia la nostra polizia sia l’Arma dei Carabinieri godano di unanime e sincera stima in Europa e nel mondo. Gli stessi Stati Uniti hanno richiesto discretamente l’assistenza di esperti italiani per problemi di casa loro. Le forze dell’ordine, dunque, hanno in effetti – per quanto ragionevolmente possibile – il controllo del territorio: le cellule terroriste sono identificate e colpite in tempi anche più brevi di altri paesi.

Qui, però, cominciano i problemi. L’azione brillantemente iniziata da polizia e Carabinieri troppo spesso si impantana nelle secche degli uffici giudiziari. Qui un garantismo che ha anche i suoi lati buoni, ma che è evidentemente stato pensato per ipotesi diverse dal terrorismo internazionale, finisce per assicurare nella maggior parte dei casi ai sospetti terroristi se non l’impunità almeno quella libertà provvisoria di cui approfittano per dileguarsi. In alcuni casi si tratta di norme inadeguate. In altri, di pregiudizio ideologico di giudici per cui chi lotta contro gli Stati Uniti, Israele e l’“imperialismo” merita un certo grado di simpatia.

Vi è dunque una tela di Penelope, tessuta di giorno dalle forze dell’ordine e disfatta di notte da certi giudici, con frustrazione di poliziotti e ufficiali dei Carabinieri le cui faticose inchieste sono così spesso vanificate. La novità è che Penelope oggi si è dotata anche di un ufficio stampa. A ogni arresto di sospetti terroristi segue ormai in tempi brevissimi una campagna di stampa – spesso, tanto per non fare nomi, lanciata da La Repubblica – che grida alla sudditanza psicologica dei nostri inquirenti nei confronti degli Stati Uniti e versa calde lacrime sui “poveri” extracomunitari in nome di un terzomondismo che maschera un vetusto anti-americanismo da cui evidentemente la sinistra italiana non riesce a liberarsi. Gli articoli dei “soliti sospetti” sono subito ripresi da associazioni, siti Internet e parlamentari “anti-imperialisti”, e creano un clima che favorisce l’esito quasi obbligatoriamente assolutorio dei procedimenti, intimidendo quei giudici che fossero orientati diversamente. È giunto il momento di dirlo con chiarezza: la tela di Penelope si disfa in Italia anche grazie a questi uffici stampa, che giovano forse alle sorti elettorali della sinistra ma scherzano col fuoco della sicurezza di tutti noi.