La ricerca Musulmani in Piemonte, che don Augusto Tino Negri e Silvia Scaranari hanno coordinato per il Centro Federico Peirone e che sarà presentata oggi in un convegno a Torino, è la maggiore per estensione e diversificazione del campione finora condotta in Europa. Per la prima volta, le interviste sono state condotte da intervistatori di madre lingua ed etnia: i marocchini sono stati intervistati da marocchini, gli albanesi da albanesi, e così via.
La ricerca ha un rilievo nazionale, se si considera che il Piemonte con i suoi quarantamila musulmani è fra le regioni più “islamiche” d’Italia e presenta un’ampia differenziazione per etnie e tendenze. Lo studio smentisce due miti contrapposti: quello secondo cui anche da noi tutti i musulmani sono fondamentalisti e potenziali terroristi, e quello che vorrebbe tutti i musulmani immigrati rapidamente investiti dalla forza secolarizzante della nostra cultura laica e trasformati in pochi anni in illuministi.
Per quanto riguarda la secolarizzazione, quello che la ricerca definisce “islam laico” è presente in modo consistente, anche se non maggioritario, solo fra i musulmani albanesi, che rappresentano però un caso molto particolare legato alla storia recente della loro nazione. Fuori degli albanesi, solo il 3% dei musulmani non auspica una società basata sulla legge islamica, la shari’a. Il 61% auspica anche l’applicazione delle pene coraniche tradizionali in caso di adulterio, furto e simili; il 67% vuole che il diritto di famiglia sia regolato dalla legge islamica.
È vero che i musulmani piemontesi non frequentano in modo maggioritario le loro 43 moschee e sale di culto. La ricerca ha controllato le semplici affermazioni di chi dice di recarsi in moschea attraverso l’opinione degli imam e l’effettivo conteggio dei presenti al venerdì. Così a Torino il 26% dei fedeli afferma di recarsi in moschea tutti i venerdì, ma l’affluenza reale (che peraltro si raddoppia nel mese di Ramadan) è del 5% secondo gli imam e del 4% secondo le rilevazioni. Tuttavia, non esiste nell’islam un obbligo di frequenza settimanale della moschea simile al precetto domenicale cattolico. Sono più caratteristici dell’identità musulmana il digiuno del Ramadan (praticato a loro dire dal 96% degli intervistati) e la preghiera quotidiana (53%).
D’altro canto, non si deve neppure credere che tutti i musulmani siano fondamentalisti, né a più forte ragione compagni di strada del terrorismo. Sommando quelli che la ricerca definisce islam radicale (fondamentalista sia in religione sia in politica) e islam “islamista” (fondamentalista nelle scelte politiche anche se non nella pratica religiosa) si arriva al 24% di musulmani “fondamentalisti”, nei diversi sensi di questo termine, peraltro ambiguo. La maggior parte dei musulmani in Piemonte sono legati alla loro identità e tutt’altro che laici o illuministi, ma non sono fondamentalisti.
Un dato che colpisce è la prevalenza di forme di islam politico e di fondamentalismo, certo diverse fra loro, riscontrato nella letteratura distribuita nelle moschee, e nella maggiore radicalizzazione su temi come la legge islamica o le pene coraniche di chi frequenta regolarmente le moschee rispetto a chi non le frequenta. Un dato che, se non giustifica nessuna criminalizzazione delle moschee e degli imam, deve indurre però chi si occupa di ordine pubblico a una certa cautela. Non tutte, ma molte moschee sono vere e proprie fabbriche di fondamentalisti.