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Per chi suona la campana della democrazia

di Massimo Introvigne (il Giornale, 31 marzo 2005)

C’è uno tsunami della democrazia, che mostra sempre di più come il 2005 sia l’anno dei risultati per il progetto di esportazione mondiale della democrazia voluto da George Bush e Condoleeza Rice, che traduce – nei limiti del possibile – l’aspetto essenziale del programma neo-conservatore. Le elezioni in Afghanistan, in Irak e in Palestina si sono tenute, nonostante le minacce dei terroristi. In Libano una situazione che appariva congelata da anni si è rimessa in movimento. In Marocco e Giordania sovrani illuminati vanno avanti con i loro progetti di democratizzazione dall’alto. Quasi nessuno mette più in dubbio le credenziali dei musulmani conservatori e centristi che sono al governo, o ne fanno parte, in Indonesia, Turchia e Malaysia. Perfino in Egitto e Arabia Saudita si nota qualche timidissimo segnale di apertura.

Nel mondo ex-sovietico il fermo intervento occidentale ha garantito la continuità della democrazia in Georgia e in Ucraina. In Moldavia le elezioni del 6 marzo 2005 sono state le prime considerate eque e oneste dalle istituzioni internazionali. Si è aggiunto ora il Kirghizistan con la sua rivoluzione dei tulipani.

L’onda non si ferma qui. Gli analisti americani vicini alla Rice pensano che la prossima rivolta democratica potrebbe scoppiare in Kazakhistan, dove sono in programma elezioni presidenziali per il 2006. In mancanza, appunto, di una rivoluzione, il risultato è già scritto: comunque la pensino gli elettori, sarà proclamato vincitore il presidente Nursultan Nazarbayev, un burocrate ex-comunista al potere dal 1989. Gli Stati Uniti sono al lavoro dietro le quinte per superare la maggiore causa di debolezza dell’opposizione democratica kazakha, le divisioni all’interno dell’Ak Zhol, il maggiore partito che si oppone a Nazarbayev.

Ma anche il presidente kazakho non sta a guardare. Sul fronte della maggioranza islamica sunnita, ha fatto mettere fuorilegge Hizb-ut-Tahrir, la più grande organizzazione dell’islam politico dell’Asia Centrale, in passato accusata di legami con Al Qaida ma oggi in contatto con forze meno estremiste.

Nello stesso tempo il presidente kazakho corteggia le minoranze cristiane e in particolare la Chiesa cattolica, con un’offensiva propagandistica senza precedenti di cui si vedono tracce anche in Italia. La carta che gioca Nazarbayev è la stessa che non ha salvato il suo collega kirghiso Akayev: si presenta come l’unica alternativa a un islam fondamentalista e terrorista. Lo stesso fa Islam Karimov, presidente dell’Uzbekistan, finora sostenuto dagli americani perché nel suo paese Al Qaida c’è davvero. Ma anche per lui sta suonando la campana, e l’ultimo giro potrebbe finire con le elezioni previste per il 2007. Per il Tagikistan e l’Azerbaijan gli Stati Uniti per ora credono alle promesse di democrazia dei rispettivi presidenti, e aspettano le elezioni politiche azere del novembre 2005 per una prima verifica. Il Turkmenistan, dove il presidente Niyazov cerca di imporre un grottesco culto della personalità a colpi di statue d’oro erette a se stesso e pretese messianiche, sembra per ora privo di una credibile opposizione.

Ma le cose possono cambiare ovunque. E forse verranno presto notizie dalla Bielorussia, l’ultimo paese non democratico d’Europa, dove manifestazioni di piazza contro il presidente Lukashenko sono riprese questa settimana. Se Putin si convincerà che la democrazia nei paesi limitrofi non minaccia la Russia, la campana per Lukashenko sarà la prima a suonare.

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