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Madrid un anno dopo. Così è cambiata la strategia di Osama

di Massimo Introvigne (il Giornale, 11 marzo 2005)

L’11 marzo 2004 a Madrid, un anno fa, l’Europa ha avuto il suo 11 settembre. Di quella tragedia sappiamo ormai quasi tutto. L’ha realizzata Al Qaida attraverso personale reclutato in parte in Marocco e in parte in una rete di moschee radicali che dalla Spagna arriva fino all’Italia dalla sua branca originariamente irakena, ma da anni transnazionale, Ansar al Islam, guidata dal superterrorista giordano Zarqawi. Aznar aveva torto ad attribuirla all’ETA basca, ma aveva anche ragione perché senza l’appoggio logistico e la fornitura di esplosivo dell’ETA la strage non sarebbe stata realizzata. Mentre la macchina giudiziaria spagnola continua la sua corsa per arrivare alla condanna dei responsabili, c’è da chiedersi quanti abbiano compreso le lezioni del massacro di Madrid.

La prima è che il centro di comando di Al Qaida non va cercato nelle zone tribali del Pakistan, dove forse si nasconde Bin Laden. Qualunque sia la remota area da cui lo sceicco del terrore comunica con i suoi fedeli, il centro operativo si trova in Irak, e il ruolo di Zarqawi è sempre più importante. Ma non è in Iraq dal momento (né, come taluni sostengono, a causa) dell’invasione americana. C’era già prima, quando Zarqawi preparava con Saddam Hussein una “Gladio verde”, che intanto si esercitava a massacrare curdi ma che sarebbe dovuta entrare in azione, come è puntualmente avvenuto, se il dittatore avesse perso il potere.

In secondo luogo, anche il centro del reclutamento di Al Qaida si è spostato. Certamente si reclutano ancora terroristi sauditi, così importanti nell’attentato dell’11 settembre 2001, filippini, indonesiani, pakistani. Ma ormai la maggioranza delle nuove reclute viene dalla diaspora – soprattutto marocchina, ma anche tunisina e algerina – in Europa. Come è evidente a tutti tranne che a qualche giudice italiano, è la predicazione degli imam legati alla rete di Zarqawi il carburante che permette ad Al Qaida di continuare a reclutare terroristi. E l’operazione funziona anche grazie al continuo appoggio logistico di un terrorismo non islamico, dall’ETA agli anarco-insurrezionalisti.

Terzo: l’Europa non è solo luogo di reclutamento ma anche di attentati. La svolta di Al Qaida – non condivisa da tutti nel mondo del terrorismo ultra-fondamentalista islamico – consiste nel ritenere che sia di scarsa utilità, per conseguire uno scopo che rimane quello di prendere il potere nei paesi arabi, colpire i governanti locali. Questi, pensa Bin Laden, sono manichini dell’Occidente che, caduto un manichino, lo sostituirà con un altro. Per far cadere i manichini occorre piuttosto colpire il braccio che li sostiene, sperando che – ripetutamente colpito – si stanchi di sostenerli. Una strategia che, come l’11 settembre 2001 ha dimostrato, non funziona in America, un paese che porge difficilmente l’altra guancia. Ma che, come mostra invece l’11 marzo 2004, funziona benissimo in molti paesi europei dove – piazzando attentati e rapimenti al momento giusto – l’opinione pubblica si stanca e manda al potere governi che si ritirano dalla guerra al terrorismo.

Se si vuole davvero che le povere vittime di Madrid non siano morte invano occorre riconoscere il filo triplo che legava e lega i fedeli di Saddam Hussein al terrorismo e continuare a incidere sul bubbone irakeno, colpendo i terroristi sia in Irak sia nella rete che dalle moschee europee continua a mandare in Irak nuove reclute: alcune delle quali, debitamente addestrate, torneranno in Europa per uccidere.

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