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Ritorna la pista italiana

di Massimo Introvigne (il Giornale, 17 febbraio 2005)

Lo ha detto il compagno di Giuliana Sgrena, più lucido di tanti politici della sua parte: la giornalista ha sostanzialmente letto un comunicato preparato dai rapitori. Se le cose - come è più che probabile - stanno così, le implicazioni politiche e di polizia sono gravissime. Si deve infatti ritenere anzitutto che tra i terroristi responsabili del sequestro ci sia chi conosce perfettamente la lingua italiana. Ma non si tratta solo della lingua: la perfetta sincronia fra la diffusione della cassetta e il voto parlamentare sulla missione “Antica Babilonia”, e il tono stesso delle parole fatte pronunciare dalla Sgrena, mostrano che chi ha ideato e condotto le operazioni ha una conoscenza della politica di casa nostra davvero sorprendente per i “criminali comuni irakeni” cui molti avevano frettolosamente attribuito il sequestro.

La prima implicazione è politica. Benché il dubbio non sembri avere sfiorato Romano Prodi dal momento della diffusione della cassetta in poi, e fino alla liberazione della giornalista che tutti auspichiamo e per cui il governo sta davvero facendo l’impossibile, chi chiede il ritiro delle truppe italiane dall’Irak si assume una responsabilità in più. Chiede un gesto politico che i terroristi interpreteranno come cedimento al loro ultimatum e legittimazione dei loro criminali mezzi di pressione. E siccome il metodo che vince non si cambia, la semplice impressione che l’ultimatum abbia sortito l’effetto voluto farà sì che ci siano in futuro altri rapimenti e altre richieste ultimative, al nostro e ad altri paesi. Sarebbe il trionfo dei tagliagole di Al Qaida, i veri sconfitti in quelle elezioni irakene che invano avevano promesso di impedire. E con i tagliagole sta oggettivamente chiunque pensa che i rapitori di Giuliana Sgrena abbiano titolo a far parlare il loro ostaggio in nome del popolo irakeno, Il popolo dell’Irak ha già parlato, recandosi a votare oltre ogni più rosea previsione, e distribuendo i suoi voti in modo che un’ampia pluralità di posizioni - comprese quelle del Partito Comunista - siano rappresentate nell’Assemblea Costituente. Un’Assemblea che potrà lavorare in pace solo protetta da quelle truppe occidentali che sarebbe davvero scriteriato ritirare.

Distinto dal problema politico, ve n’è uno di intelligence e di polizia, che non va sottovalutato. Chi indica ai terroristi gli obiettivi da rapire? Chi attira giornalisti che vogliono intervistare “profughi da Falluja” (spesso un eufemismo per “terroristi”) in trappole potenzialmente mortali? Chi assicura il coordinamento fra i comunicati dei terroristi in Irak e i tempi della politica in Italia? Per la verità due fronti sono già aperti. Ci sono inchieste in corso che cercano di fare luce sulle attività più oscure di quei comitati e associazioni dell’ultra-sinistra no global, che raccolgono aiuti per la sedicente “resistenza” irakena e invitano in Italia terroristi in gita premio dall’Irak. Nello stesso tempo, intelligence e forze dell’ordine hanno già identificato gran parte delle reti che dalle moschee più radicali dell’islam italiano fanno partire per l’Irak candidati terroristi che hanno vissuto a lungo in Italia e qui mantengono amici e contatti. Se le indagini - faticosissime ma spesso coronate da successo - non fossero troppo spesso vanificate da magistrati ideologizzati che vedono nell’islam radicale il nuovo proletariato da sventolare come bandiera contro il governo e gli Stati Uniti, forse i casi Giuliana Sgrena potrebbero diminuire in futuro.

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