Sperariamo che davvero la morte del primo ministro della Georgia Zurab Jvania sia dovuta a una banale fuga di gas. Tuttavia la cronologia degli eventi degli ultimi giorni induce a cattivi pensieri. Se questi dovessero rivelarsi giustificati saremmo di fronte, dopo l’episodio delle elezioni ucraine, a un secondo grave momento di tensione fra Russia e Occidente.
Nell’ultima settimana ci sono state diverse esplosioni di autobomba in Georgia, e un collaboratore del presidente ha dichiarato al Washington Post che “di solito, dietro questi attentati, ci sono settori dei servizi segreti russi”. Il 1° febbraio Sergey Bagapsh, che è il “presidente” dell’Abkhazia, una regione separatista con una forte componente musulmana la cui indipendenza e il cui governo sono riconosciuti dalla Russia ma non dalle Nazioni Unite e dall’Occidente, di ritorno da un viaggio a Mosca ha improvvisamente indurito i toni e dichiarato che il suo paese non rinuncerà mai all’indipendenza. Contemporaneamente il ministro dell’Interno georgiano Nano Merabihvili inaspriva a sua volta i toni nei confronti dell’Ossezia del Sud, un’altra “repubblica indipendente” non riconosciuta da nessuno ma sostenuta dalla Russia, che ne incoraggia l’aspirazione a riunirsi all’Ossezia del Nord (dove si trova la scuola di Beslan teatro dei tragici fatti del 2004), che fa parte a sua volta della Federazione Russa.
Stati Uniti ed Europa seguono con interesse tutta la zona del Caucaso (di cui fa parte la polveriera cecena) ma puntano soprattutto sulle eccellenti relazioni che hanno stabilito con la Georgia dopo la “rivoluzione delle rose” che ha sostituito una nuova classe dirigente vicina all’amministrazione Bush al regime dell'ex-ministro degli esteri sovietico Shevarnadze.
Il governo del presidente Sakashvili ha prontamente inviato un contingente di truppe georgiane in Irak, e ha nel suo programma l'apertura di negoziati per l'ingresso nell'Unione Europea. La Georgia, che prima dell'annessione russa del 1801 è stata per mille anni una delle più antiche monarchie cristiane europee, ha certamente le carte in regola per questo passo dal punto di vista storico e culturale.
Ma ha il problema dell’integrità territoriale: se una delle regioni che di fatto sfuggivano all'autorità del governo centrale, l'Ajara, è stata “recuperata” nel 2004 da Sakashvili, come si è visto l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud si comportano di fatto come Stati indipendenti.
Vi è inoltre la sorda opposizione della Russia all’ingresso di ulteriori Stati dell’ex-Unione Sovietica, dopo le repubbliche baltiche, nell’Unione Europea. Il Cremlino preferirebbe che questi Stati rimanessero in una zona d’influenza russa. Per questo Putin non vede bene governi filo-europei e filo-americani né in Ucraina né in Georgia, e fa il possibile per rendere loro la vita difficile.
Si comincia con l’incoraggiare movimenti separatisti, ma quando il primo ministro ucraino è avvelenato e quello georgiano muore in circostanze per dire il meno curiose non ci si può troppo stupire se la memoria dell’opinione pubblica di questi paesi corre ai metodi del vecchio KGB. Per non alimentare troppo queste voci, il Cremlino - come ha fatto in Ucraina - dovrebbe cambiare politica, aprire al governo Sakashvili e favorire, anziché ostacolare, una soluzione delle questioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia, evitando così di alimentare torbidi dove pescano anche i terroristi che operano nella vicinissima Cecenia.