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Nanotecnologia, morale e religione: "Bush prepara la terza rivoluzione industriale"

di Massimo Introvigne (il Giornale, 1 febbraio 2005)

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Pochi lo immaginavano, ma il texano Bush è capace di pensare in grande, ben al di là della scadenza del suo mandato nel 2008. Concentrati sulla politica estera, pochi hanno colto l’accenno nella sua prima conferenza stampa del nuovo quadriennio a un progetto che vuole assicurare all’America la leadership della “terza rivoluzione industriale” con investimenti di mille miliardi di dollari (dieci volte la spesa preventivata per il Medio Oriente).

Se la prima rivoluzione industriale, del XIX secolo, è stata quella delle macchine a vapore e delle grandi fabbriche, e la seconda - del XX secolo - quella delle comunicazioni (dalla televisione a Internet), il nome “terza rivoluzione industriale” è riferito specificamente alla “nanotecnologia”. Un congresso a Orlando in Florida organizzato dall’associazione di giuristi AIPLA riunisce in questi giorni legali, politici, scienziati e sociologi di tutti i continenti (con il sottoscritto unico partecipante italiano) per discutere delle straordinarie implicazioni di questa rivoluzione già cominciata.

Non si tratta solo di componenti molto piccole. Per il governo Bush è nanotecnologia quella che lavora su oggetti misurabili in “nanometri”, e ci vogliono un milione di nanometri per fare un millimetro. Qui la quantità diventa qualità, perché i fisici hanno scoperto che molte leggi e proprietà del mondo “grande” non valgono quando si tratta di particelle così minuscole. Talora le sorprese sono negative, ma più spesso le nano-proprietà offrono possibilità favorevoli. Per esempio, è possibile già oggi concentrare i principi attivi di un antibiotico in particelle infinitesimali da inalare, evitando molti dei consueti effetti collaterali. Il futuro della nanomedicina è pieno di buone notizie per i pazienti. Si potrà entrare nel corpo con fibre e dischi di diametri molto più piccoli di un millimetro, dunque non invasivi, capaci sia di trasmettere immagini per la diagnosi, sia di rilasciare medicinali esattamente (e solo) nel punto del corpo dove il medico ordina loro di colpire.

Al prestigioso MIT c’è un Istituto di Nanotecnologia Militare che ha già pronti prototipi di “polvere intelligente”: granellini che sfuggono a qualsiasi rivelatore ciascuno dei quali è una vera telecamera, aprendo una nuova epoca per la sicurezza e lo spionaggio. In prospettiva, agendo sulle molecole (quelle complesse sono grandi qualche centinaia di nanometri) gli scienziati sognano di poter riprodurre corpi solidi semplici come oggi si riproduce una fotocopia, anche se resterà comunque impossibile riprodurre organismi viventi.

La letteratura - così il Michael Crichton di Preda - ha già immaginato robot infinitamente piccoli, “nanobot” capaci di auto-riprodursi e minacciare il mondo. In Europa il principe Carlo d’Inghilterra guida una lobby verde che vuole fermare la nanotecnologia (e gli OGM). Certo, ci sono problemi legali, religiosi e morali, di brevettazione e di privacy: temevamo il Grande Fratello, ed è in arrivo un potentissimo Piccolo Fratello. Ma l’Europa rischia di restare indietro paralizzata da quello che i sociologi chiamano determinismo tecnologico, il mito secondo cui una tecnologia ha di per sé effetti cattivi - o buoni. La tecnologia invece resta uno strumento: spetta agli uomini decidere come usarla. Ma restare alla finestra in nome di un ecologismo arcaico significa condannarsi, in nome dell’anti-americanismo, ad aumentare la distanza tecnologica che ci separa dall’America.