Un sondaggio tra gli spettatori di cinema degli Stati Uniti aveva indicato in The Passion, il film di Mel Gibson sulla passione di Gesù Cristo, la pellicola più meritevole dell’Oscar: eppure non ha ottenuto neppure la nomination. La novità è che continuano a protestare anche giornali poco sospetti di tradizionalismo cristiano come il quotidiano nazionale USA Today, che in un editoriale parla di “allergia ormai evidente dell’establishment di Hollywood alla religione”. Qualcuno potrebbe dire che le nomination dell’Oscar evitano come la peste le controversie in genere, non la religione, e che il film di Gibson era stato giudicato anti-semita da una parte di peso del mondo ebraico americano. Ma l’obiezione non vale, incalza USA Today, se si considera che nel 1988 era stato tranquillamente nominato L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, considerato un film anti-cristiano da milioni di cattolici e protestanti di tutto il mondo.
La vicenda si presta a diversi ordini di considerazioni. La prima è che i critici di Hollywood e l’establishment che gestisce la macchina degli Oscar, chiusi nel loro snobismo “politicamente corretto”, ormai rappresentano un altro paese: non l’America maggioritaria, quella che ha dato a George Bush il più alto numero di voti che un candidato alla presidenza abbia raccolto nella storia degli Stati Uniti. È vero che i soloni hollywoodiani hanno fatto ricorso a una sorta di par condicio: fuori dagli Oscar The Passion, ma fuori anche Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, il film anti-Bush escluso sia dalla categoria dei film sia da quella dei documentari (con un artificio tecnico altre volte superato). Tuttavia, con tutto il rispetto per il pubblico che ha coperto di soldi le bugie di Michael Moore, in termini di valore artistico Fahrenheit 9/11 non si può neppure paragonare a The Passion.
Il secondo commento è che Hollywood non è - come pensa USA Today - allergica alla religione, ma solo al cristianesimo e in particolare alla Chiesa cattolica. La religiosità vaga e vagamente esoterica - quella de Il Codice Da Vinci, che già ci si prepara ad applaudire anche nella versione cinematografica di Ron Howard - non fa problema, anche e forse soprattutto se se la prende con la Chiesa cattolica. Come ha scritto lo storico e sociologo (non cattolico) Philip Jenkins, l’anti-cattolicesimo è “l’ultimo pregiudizio accettabile” per intellettuali che pure si proclamano contro tutti i pregiudizi.
Il terzo commento è che l’eventuale - le opinioni divergono anche all’interno del mondo ebraico - caratterizzazione un po’ stereotipa degli ebrei in The Passion (ma lo stereotipo colpisce anche i romani, raffigurati come più cattivi e più stupidi) sembra davvero un pretesto se a invocarla è una élite intellettuale che non fa una piega di fronte non a semplici sospetti o a indizi di antisemitismo, ma a un odio anti-ebraico patologico, quando la fonte è musulmana o palestinese. Tra i critici che hanno bocciato The Passion ci sono fior di firmatari di appelli a favore del defunto Arafat, della cosiddetta “Resistenza” irakena e di predicatori come Tariq Ramadan, cui l’amministrazione Bush ha vietato l’ingresso e l’insegnamento negli Stati Uniti. Tutti galantuomini che, dal punto di vista dell’attivismo anti-ebraico, stanno a Mel Gibson come una bomba sta a un ceffone. Il presunto uso di stereotipi anti-semiti sembra dunque piuttosto un pretesto per una scelta non solo artisticamente scandalosa, ma oggettivamente anti-cattolica e discriminatoria.