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Un'alleanza fra curdi e sciiti per il nuovo Irak

di Massimo Introvigne (il Giornale, 22 gennaio 2005)

Si è così presi dal dibattito se le elezioni del 30 gennaio in Irak vadano tenute o rinviate - si terranno, a meno che il terrorismo riesca a mettere a segno colpi di portata straordinaria, un 11 settembre dell’Irak - che si parla molto meno di chi vincerà e di che cosa potrà succedere dopo le elezioni. A chi andranno i 275 seggi è difficile da prevedere, se si pensa che alle elezioni partecipano 130 liste con oltre settemila candidati.

Tuttavia due sondaggi circolano da diversi giorni. Il primo, pubblico, è dell’Iraqi Research Institute, un centro con sede ad Ankara e vicino ai partiti laici irakeni. Prevede 112 seggi per l’Alleanza Unita Sciita dell’Irak, formata da tutti i partiti sciiti confessionali e garantita dall’autorità dell’ayatollah Sistani; 76 seggi per l’Accordo Nazionale Irakeno (una coalizione di partiti non confessionali guidata dal primo ministro Allawi) e 46 alla Lista Curda (che unifica tutte le fazioni curde che contano qualcosa), con il resto disperso fra una miriade di partiti minori.

Il secondo sondaggio, non pubblico, preparato da Gregory Hooker per il comando americano, prevede risultati diversi. L’Alleanza Unita Sciita avrebbe il 43,8% dei voti e 120 seggi, la Lista Curda il 36,4% e 100 seggi, l’Accordo Nazionale di Allawi l’8,1% e 22 seggi, il Partito Comunista Irakeno l’1,6% e 5 seggi, i partiti che rappresentano le minoranze non musulmane ovvero islamiche ma di etnia turca 5 seggi, con gli altri 23 seggi dispersi tra partiti minori, ciascuno dei quali non ne prenderebbe più di uno o due. Hooker si spinge anche a prevedere la distribuzione degli eletti all’interno dell’Alleanza Unita Sciita, di cui il dieci per cento (12 eletti) andrebbe ai candidati indicati dall’ex-ribelle Muktada al-Sadr, rispettivamente 14 e 12 a esponenti dei partiti sciiti SCIRI e Dawa, e il resto - il grosso - a candidati non iscritti a partiti, il che significa leali anzitutto a Sistani.

I sondaggi sono fatti per essere smentiti, tanto più in una situazione come quella irakena. Se avesse ragione Gregory Hooker - peraltro un professionista assai rispettato - il risultato più significativo sarebbe il successo dei curdi, che con il 18% della popolazione prenderebbero il 36% dei voti e dei seggi. Hooker spiega questa previsione con il fatto che in Kurdistan i partiti curdi mantengono l’ordine e l’affluenza al voto sarà ordinata e massiccia, il che non si verificherà nelle altre parti dell’Irak. Le previsioni sono peraltro note a Sistani, che da settimane sta lavorando a un accordo con i curdi per il prossimo governo, che taglierebbe fuori Allawi. L’accordo permetterebbe anche agli uomini di Sistani di sbarcare dalla coalizione, se necessario, gli ultra-fondamentalisti di al-Sadr (pesati al loro reale 5% del voto totale) e gli altri sciiti più legati all’Iran, con soddisfazione degli americani, a meno che decidano di tenerli a bordo per evitare che facciano maggiori danni fuori.

Se i sondaggi sono veri, corrispondono a quanto da tempo prevedono gli analisti americani: perderanno i laici di Allawi, gli sciiti vinceranno ma avranno bisogno dei curdi per governare e dovranno ingoiare il rospo dell’autonomia del Kurdistan. Resta il problema dei sunniti arabi (anche i curdi sono sunniti), che resterebbero fuori dal governo e che non vanno regalati al terrorismo. Sistani dovrà inventarsi un’alleanza con qualche partitino sunnita, e soprattutto rassicurare i sunniti sul fatto che la repressione del terrorismo non comporterà forme di discriminazione ai loro danni.

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