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La guerra dell'acqua dietro le mire turche sul voto in Irak

di Massimo Introvigne (il Giornale, 15 gennaio 2005)

Si susseguono, in previsione delle elezioni irakene, visite in Irak di dirigenti dell’AKP, il partito del primo ministro turco Erdogan, e viaggi in Turchia di esponenti sunniti irakeni, in una fitta agenda messa a punto dal ministro degli Esteri turco Gul. Lo scopo del governo turco - e del partito islamico conservatore AKP di cui è espressione - è duplice: favorire la partecipazione sunnita alle elezioni in Irak, limitando il temuto boicottaggio, e tenere sotto controllo la situazione nel Kurdistan irakeno, la cui destabilizzazione si estenderebbe rapidamente all’Est turco abitato in maggioranza da curdi.

I turchi fanno leva su un elemento culturale. Molti sunniti rimpiangono l’egemonia perduta in Irak - dove elezioni democratiche non potranno che dare il potere alla maggioranza, cioè agli sciiti - ma non sono nostalgici né di Saddam Hussein né della debole monarchia sotto tutela inglese che aveva preceduto il colpo di Stato militare. Il loro punto di riferimento ideale è piuttosto l’Impero Ottomano, anch’esso sunnita e detentore del carisma religioso del califfato, sotto il cui governo - oggi rivalutato - i sunniti dell’attuale Irak hanno conosciuto un’epoca relativamente felice. Dal momento che anche Erdogan e il suo partito rivalutano il passato ottomano, a lungo disprezzato dal laicismo turco, vi è qui un elemento che può favorire il dialogo.

I turchi vogliono fare un favore al tradizionale alleato americano, ma anche a se stessi. Per le “tigri dell’Anatolia”, le aziende della Turchia orientale in rapida crescita, l’accesso all’Unione Europea è un sogno lontano ma la prospettiva di invadere con i loro prodotti il vicino mercato iracheno, a lungo chiuso a causa dell’embargo prima e dell’instabilità politica poi, è pressoché immediata.

Uno dei principali obiettivi dei turchi è una soluzione della questione dell’acqua, chiamata nella regione, dove scarseggia, “l’oro blu” e per certi versi non meno importante dell’“oro nero”, il petrolio. Il Tigri e l’Eufrate nascono entrambi in Turchia, da dove scorrono verso la Siria e l’Irak. Se il Tigri riceve metà delle sue acque da affluenti che lo raggiungono in Irak, l’Eufrate non incontra più affluenti dopo avere lasciato la Turchia. Del GAP, il Grande Progetto per l’Anatolia, si parla fin dai tempi di Kemal Atatürk, ma i turchi hanno cominciato a costruire dighe negli anni 1970 e stanno per arrivare al traguardo dei due milioni di ettari irrigati. Questo “furto” dell’“oro blu” ha fatto a suo tempo imbestialire la Siria e Saddam, che hanno reagito addestrando terroristi curdi, la prima i marxisti del PKK e il secondo i fondamentalisti di Ansar al-Islam. Alternando il bastone delle minacce e la carota di possibili aiuti economici, i turchi hanno convinto la Siria a congedare i militanti del PKK, che si sono però trasferiti nelle zone dell’Irak controllate dai terroristi.

Ankara sa che le tentazioni dei vicini irakeni e siriani di ospitare terroristi anti-turchi si elimineranno solo con una definizione del problema dell’acqua. In cambio del diritto a prelevare acqua dai grandi fiumi, la Turchia è in grado di offrire collaborazione economica e politica. Ma questa presuppone governi stabili, possibilmente democratici, oggi in Irak e forse domani per contagio anche in Siria. Per questo Ankara sta cercando di convincere i sunniti irakeni a non mettere in pericolo con l’astensione la legittimità delle prossime elezioni, promettendo aiuto in futuro se la maggioranza sciita dovesse cercare di discriminarli.

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