Pastore metodista, direttore dell'Istituto per lo studio della religione americana presso l'Università di Santa Barbara (California), J. Gordon Melton è uno dei più importanti storici della religione al mondo. Autore di una cinquantina di volumi, nel 2002 ha diretto la prestigiosa enciclopedia Religions of the World. Il suo ultimo libro, scritto insieme a Massimo Introvigne, si intitola L'ebraismo moderno (Elledici). Lo abbiamo incontrato a margine della presentazione organizzata dal Cesnur di Torino.
Professor Melton, nel 1967 il sociologo Peter L. Berger sosteneva che la correlazione tra modernizzazione e secolarizzazione. Gli Stati Uniti dimostrano il contrario. Ma come si configura questa "rivincita delle religioni"?
«Gli Stati Uniti erano alle origini un Paese molto secolare. Quando la polvere delle battaglie rivoluzionarie si è depositata, gli americani membri di una chiesa erano il 15-20%. Tuttavia, dalla rivoluzione americana ad oggi, è cresciuto in maniera piuttosto costante sia il numero di persone religiose sia il numero delle offerte religiose. Dall'800 al '900 il numero di religioni con una presenza consistente di membri è salito da 20 a 350. Nel XX secolo ci troviamo di fronte al periodo in cui la crescita è più spettacolare. Se nel '900 si consideravano in contatto con la religione istituzionale dal 30 al 35% degli americani, nel 2000 questi erano ben il 70%. In numeri assoluti il dato interessante è che mentre la popolazione degli Stati Uniti si è moltiplicata per quattro nell'ultimo secolo, il numero delle persone in contatto con una religione istituzionale si è moltiplicato per otto. Uno degli errori commessi dai sociologi consisteva nel limitarsi a osservare un piccolo gruppo delle religioni tradizionali, che stavano perdendo membri, senza accorgersi che questi si rivolgevano comunque ad altre denominazioni».
Verso quali chiese si verificato questo travaso?
«A essere declinate sono le chiese della mainline, che hanno fatto la storia degli Stati Uniti. Un declino iniziato negli anni Venti e diventato evidente a partire dagli anni Sessanta. La Chiesa metodista è stata la più grande degli States, ma oggi è al terzo posto. Il fenomeno più evidente è stato il declino delle denominazioni protestanti progressiste (liberal), e la crescita delle denominazioni evangelicali (evangelical). Tutto questo ha lasciato al primo posto, ormai da molti decenni, la Chiesa cattolica, che continua a crescere per l'afflusso di immigrati di lingua spagnola. Gli ebrei sono rimasti grosso modo gli stessi in numero assoluto rispetto a cento anni fa. Un altro aspetto di novità è che musulmani, indù e buddisti sono un numero significativo».
Quindi il cattolicesimo americano gode di buona salute?
«Senza dubbio. C'è stata la ferita dallo scandalo dei preti pedofili, tuttavia ha retto alla bufera, anche perché la maggioranza dei vescovi si è rivelata munita di buone doti di leadership. L'opinione pubblica ha compreso che ci sono anche degli ex-cattolici che si lamentano del loro passato, e ha imparato a fare la tara su quello che costoro dicono, rendendosi conto che ci sono state anche delle esagerazioni».
Bush viene etichettato come un "fondamentalista cristiano". E' una definizione che ha un senso?
«Bush è membro della Chiesa metodista unita, esattamente come il suo vice Cheney, così come Hillary Clinton ed Edwards, il vice-candidato alla presidenza dei democratici. Hillary Clinton rappresenta l'ala più progressista del protestantesimo, e Bush l'ala più conservatrice, eppure fanno parte non solo della stessa Chiesa, ma addirittura della stessa parrocchia. Questo dimostra la complessità della religione americana. Non si può studiare solo il pluralismo tra le Chiese, ma anche il pluralismo di posizioni all'interno delle stesse. Bush senza dubbio è un evangelical. Il movimento evangelicale ha dato testimonianza di un protestantesimo molto conservatore soprattutto sul piano morale, ma che entra nell'agone scientifico, attraverso la creazione di istituzioni universitarie, e quindi che vuole rendere rilevante per il mondo moderno un cristianesimo moralmente e politicamente conservatore».
Il suo volume è un monitoraggio dell'ebraismo contemporaneo. Ma esiste davvero negli States una lobby ebraica?
«Gli ebrei che si considerano religiosi sono grosso modo il 60% e questi sono divisi tra i quattro gruppi maggiori (hassidici, ortodossi non hassidici, riformati e conservatori), nonché tra decine di altri gruppi minori. Sicuramente esiste una lobby ebraica, ma che si occupa di pochi problemi precisi. Gli ebrei americani hanno imparato a costituire delle istituzioni che cercano di far parlare la maggioranza degli ebrei con un'unica voce su alcuni problemi che li preoccupano: la difesa dello Stato di Israele, la lotta contro l'antisemitismo, e l'assistenza pubblica alle fasce di popolazione ebraica urbana che è povera».