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"Il mercato dei martiri". L’industria del terrorismo suicida

di Roberto Cavallo (Il Corriere del Sud, anno XIV, n. 2, 1 Febbraio - 15 Febbraio 2005, p. 28)

Come spiegare il fenomeno del terrorismo suicida? Lo studio in questione affronta l’argomento dal punto di vista dell’economia religiosa, che è un ramo della sociologia delle religioni alquanto innovativo e che ha le sue origini nell’opera di Rodney Stark.

Gli autori Massimo Introvigne e Laurence R. Iannaccone hanno già presentato al pubblico opere di questo taglio e adesso il loro nuovo libro su “Il Mercato dei Martiri” (Lindau, Torino 2004, pp. 149, euro 14,00) affronta per la prima volta il fenomeno del terrorismo suicida in una prospettiva che non è né politico-giudiziaria né storica, ma appunto sociologica.

Interpretato così alla luce dell’economia religiosa, il terrorismo suicida trova una sua spiegazione nel rapporto fra domanda ed offerta di estremismo religioso.

Dal punto di vista della domanda, gli autori hanno riscontrato varie analogie con quanto accade nel mondo delle sètte o dei nuovi movimenti religiosi: chi si avvicina ad un’organizzazione terroristica di solito non è un povero disperato, ma occupa posizioni sociali di rilievo, con un elevato indice di scolarizzazione. Prima di aderire ad una fede o a un credo religioso, si è cooptati da preesistenti forti legami sociali, familiari o di amicizia.

All’interno di questo quadro di condivisione personale, prima ancora che ideale, c’è una nicchia nella nicchia ultra-fondamentalista composta da persone disponibili ad esperienze estreme. Nella maggior parte dei casi, tali esperienze sono affrontate e vissute con modalità del tutto pacifiche; esiste tuttavia una frangia che cerca avventure così radicali da essere potenzialmente interessata anche al suicidio. Questa conclusione non deve sorprendere, se si considera che molte persone, al di fuori della religione, in presenza di determinate circostanze, sono pronte a rubare o ad uccidere, o a contrarre l’AIDS. Anche in presenza di un elevato rischio di essere arrestati e condannati, o di ammalarsi gravemente, se da un lato la domanda di esperienze estreme illegali si riduce, dall’altro questa non sparisce mai del tutto.

La stessa cosa accade nel radicalismo fondamentalista: la paura di morire o di essere scoperti può al massimo far diminuire la domanda, ma non eliminarla del tutto. Quindi, l’aspirante suicida “… valuterà i benefici netti tenendo conto dei costi, che comprendono il dolore e la sofferenza fisici, i costi per i familiari, il rischio di fallimento con la conseguente umiliazione, cattura, processo e probabile esecuzione. Il risultato del calcolo rimane comunque, nella mente del terrorista, positivo, ed è per questo che decide di morire”.

Quanto all’identikit del terrorista suicida, se all’inizio era giovane, single e di sesso maschile, oggi alcuni dei “martiri” sono persone di mezza età, sposate e con figli. Soprattutto risultano in aumento le donne (in Palestina), mentre in Cecenia le votate al suicidio sono di regola esclusivamente donne. Da rilevare come siano sempre più frequenti negli ultimi tempi i casi di terroristi-bambini.

Dal lato dell’offerta, gli Autori considerano la presenza di efficienti aziende del terrorismo suicida, inscindibilmente legate ad organizzazioni religiose fondamentaliste, che ne rappresentano il naturale background umano e culturale. Anche nel mondo cristiano esistono organizzazioni religiose fondamentaliste. Dobbiamo allora chiederci: perché nell’Islam l’offerta di terrorismo è molto più diffusa di quanto non avvenga nel cristianesimo o comunque presso altre denominazioni religiose?

Se la risposta ultima a tale domanda rimanda ad un’opera di ricostruzione storica del fondamentalismo islamico e alla stessa teologia musulmana, si può comunque rilevare che il mondo islamico con percentuali assolutamente considerevoli guarda con simpatia – e in taluni casi condivide pienamente – l’azione dei terroristi. I Musulmani moderati, insomma, che spessissimo vediamo intervistati alla televisione, sono ben lungi dall’essere maggioranza all’interno del loro mondo: “Non si può evitare di concludere che l’offerta di terrorismo suicida può presentarsi in modo più articolato, organizzato e persuasivo nell’Islam rispetto ad altri contesti religiosi, perché le imprese terroriste sono pesci che nuotano in un’acqua preesistente”. Insomma, nella loro prospettiva, alla speranza di una vita di delizie ultraterrene, si accompagna un’aureola di santità e di eroismo che si manifesta concretamente nell’ambiente umano quotidianamente frequentato dagli aspiranti suicidi.